Oronzo Pugliese, il mago dei poveri

Da Turi un calcio ruspnate che divenne film: "I più deboli pssono sempre battere i più forti" E lo fece con Helenio Herrera guadagnandosi quel famoso soprannome
Oronzo Pugliese, il mago dei poveri© AldoLiverani

Il Mago di Turi ne era convinto: «I più deboli possono sempre battere i più forti». Ed è anche per questa ragione che Oronzo Pugliese è ricordato ancora oggi come il "mago dei poveri". Quello dei ricchi aveva l'accento argentino di Helenio Herrera.

E fu proprio battendo la Grande Inter dei Sarti, Burgnich, Facchetti, eccetera, eccetera che il vero Oronzo del pallone nostrano si guadagnò quel soprannome. Il 31 gennaio del 1965 i nerazzurri campioni di tutto scesero allo Zaccheria di Foggia, ospite della bella sorpresa del campionato di Serie A che, dopo essere passata in vantaggio di due reti, si era fatta raggiungere sul 2-2 da Luisito Suarez e compagni. Poco male, mentre in panchina Pugliese si mangiava letteralmente le mani, i suoi uomini riuscirono a sferrare la stoccata decisiva grazie al guizzo di Cosimo Nocera, il suo Aristoteles. Don Oronzo impazzì di gioia meritandosi il giallo: «Bisogna essere fatti di roccia per non sentirsi spinti a invadere il campo e abbracciare i miei 'picciotti'». Perché il tecnico a cui Sergio Martino e Lino Banfi si ispirano per il loro 'L'allenatore nel pallone' i suoi calciatori li chiamava così.

Oronzo Pugliese, il mago dei poveri

Pugliese di nome e di nascita. La sua prima esperienza in panchina arrivò in Sicilia a Lentini dove la sua paga mensile, parliamo del 1939, era di 15 lire e una cesta di arance siciliane. Li trattava come figli, i suoi picciotti. E da padre severo qual era si prendeva lussi impensabili oggi. Come quando portò al cinema la squadra e vedendo uno dei suoi calciatori fumare si avvicinò da dietro e gli diede due sonore sberle per poi accorgersi che non era uno dei suoi picciotti. O come quando fu sorpreso da un suo giocatore mentre era sdraiato a terra nel corridoio dell'hotel dove la sua squadra era in ritiro: «Sto facendo le flessioni», rispose prontamente. In realtà stava origliando.

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Pugliese e la vittoria contro Herrera

Ma torniamo alla memorabile vittoria del suo Foggia contro l’Inter e a quando gli chiesero come si sentisse per aver avuto la meglio «della psicologia vincente» del Mago Herrera: «La psicologia è roba da ricchi, la grinta è roba da poveri». Perché Don Oronzo non ha mai dimenticato le sue origini contadine. Anzi, ha fatto della perseveranza e dal suo essere sanguigno le sue caratteristiche principali. Nei campi dove glielo permettevano arrivava in campo con una gallina al guinzaglio e la legava alla panchina. Altre superstizioni, riprese da Banfi nel cult movie degli anni ‘80, come quella di buttare il sale sul terreno di gioco e dietro la porta avversaria per allontanare il malocchio, erano all’ordine del giorno con lui. Gianni Brera lo definì «un mimo furente di certe grottesche rappresentazioni di provincia». Etichetta, quella di provinciale, affibbiatagli spesso dall’altezzosa opinione pubblica cittadina e che, sebbene non abbia mai rinnegato la propria provenienza (né geografica né sociale), Pugliese contestò a modo suo: «Mi dicono che sono un allenatore provinciale. Che significa? Vuol dire forse che io la laurea non ce l’ho? La laurea in giurisprudenza o in qualche altra diavoleria del genere? No, non ce l’ho. Ma quella in calcisticheria, sì che ce l’ho!».

La carriera di Pugliese

Il suo più grande cruccio fu quello di non essere riuscito a sfondare in una grande. Quando ebbe l’opportunità di allenare la Roma non andò come il mago dei poveri avrebbe voluto. Ma, non era colpa sua. A sostituirlo, infatti, fu il mago dei ricchi - sì, di nuovo lui, HH - che non raccolse di certo risultati migliori a quelli del suo predecessore. Dopo un paio di stagioni al Bologna, un’avventura nel suo Bari e una campagna alla Fiorentina, il declino inesorabile, di nuovo in provincia, lo condusse al ritiro forzato che arrivò a Crotone nel 1978. Quattro anni dopo un ictus lo costrinse sulla carrozzina che lo accompagnò lentamente verso la morte arrivata nella sua Turi nel 1990. Una sorta di contrappasso per tutti gli sprint fatti lungo la fascia laterale, per chiedere all’ala rivale di passargli la palla. Perché, come avrebbe detto Canà, «è una guerra psicologica la nostra». E lui, la sua, la vinse.

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Il Mago di Turi ne era convinto: «I più deboli possono sempre battere i più forti». Ed è anche per questa ragione che Oronzo Pugliese è ricordato ancora oggi come il "mago dei poveri". Quello dei ricchi aveva l'accento argentino di Helenio Herrera.

E fu proprio battendo la Grande Inter dei Sarti, Burgnich, Facchetti, eccetera, eccetera che il vero Oronzo del pallone nostrano si guadagnò quel soprannome. Il 31 gennaio del 1965 i nerazzurri campioni di tutto scesero allo Zaccheria di Foggia, ospite della bella sorpresa del campionato di Serie A che, dopo essere passata in vantaggio di due reti, si era fatta raggiungere sul 2-2 da Luisito Suarez e compagni. Poco male, mentre in panchina Pugliese si mangiava letteralmente le mani, i suoi uomini riuscirono a sferrare la stoccata decisiva grazie al guizzo di Cosimo Nocera, il suo Aristoteles. Don Oronzo impazzì di gioia meritandosi il giallo: «Bisogna essere fatti di roccia per non sentirsi spinti a invadere il campo e abbracciare i miei 'picciotti'». Perché il tecnico a cui Sergio Martino e Lino Banfi si ispirano per il loro 'L'allenatore nel pallone' i suoi calciatori li chiamava così.

Oronzo Pugliese, il mago dei poveri

Pugliese di nome e di nascita. La sua prima esperienza in panchina arrivò in Sicilia a Lentini dove la sua paga mensile, parliamo del 1939, era di 15 lire e una cesta di arance siciliane. Li trattava come figli, i suoi picciotti. E da padre severo qual era si prendeva lussi impensabili oggi. Come quando portò al cinema la squadra e vedendo uno dei suoi calciatori fumare si avvicinò da dietro e gli diede due sonore sberle per poi accorgersi che non era uno dei suoi picciotti. O come quando fu sorpreso da un suo giocatore mentre era sdraiato a terra nel corridoio dell'hotel dove la sua squadra era in ritiro: «Sto facendo le flessioni», rispose prontamente. In realtà stava origliando.

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