Mancini e l’Arabia infelice tra gaffe, scuse e ultimatum

Dietro le quinte del contratto da 25 milioni l’anno fino al 2027, con tasse e penali

L’immagine che ci arriva dalla tribuna dello stadio “Prince Sultan bin Abdulaziz Sports City” di Abha, sud-ovest dell’Arabia Saudita, non è particolarmente edificante. Ritrae il ct dei “Falchi” sauditi Roberto Mancini mentre sbadiglia annoiato, lo sguardo abbassato e quasi assorto, durante una fase dell’incontro fra Abha e Al Taawoun valido per la 20ª giornata della Roshn Saudi League. Quella precedente risale invece a tre settimane fa quando il 59enne allenatore jesino lasciò clamorosamente (e sdegnosamente) la panchina della Nazionale verde nel momento in cui all’Education City di Doha si stavano battendo i calci di rigore che avrebbero deciso quale squadra fra Arabia Saudita e Corea del Sud si sarebbe qualificata per i quarti della Coppa d’Asia dopo una “battaglia campale” durata complessivamente oltre 120 minuti. Il “Mancio” aveva intuito che dopo i due errori su tre tiri dal dischetto dei suoi (contro il 3 su 3 di realizzazione dei sudcoreani di Klinsmann), il passaggio del turno fosse ormai irrimediabilmente compromesso. Ma anziché restare in campo attendendo l’evoluzione della sequenza dagli 11 metri, come deve fare e fa ogni allenatore di qualsiasi squadra del mondo, aveva deciso di piantare tutti in asso rientrando da solo negli spogliatoi per poi addurre in conferenza stampa una giustificazione ancora peggiore, ancora più irrispettosa, suonata come una derisione a tutti quanti: «Scusate, non volevo mancare di rispetto a nessuno, pensavo che la partita fosse finita...».  

Gesto inconsulto

Ne nacque conseguentemente una bufera mediatica colossale, ingigantita dalla grancassa planetaria dei “social network”. La stampa locale, quella qatariota sede del torneo asiatico, non esitò a utilizzare l’espressione “codardo” per definire quel gesto inconsulto. Sconsiderato, avventato, ingiustificabile. E lo stesso presidente della SAFF (la Federcalcio di Riyad) Yasser Al Misehal, uno dei 37 membri del Consiglio FIFA, l’organo più importante della Federazione internazionale, dichiarò a caldo all’emittente saudita SSC negli spogliatoi: «L’uscita dell’allenatore è del tutto inaccettabile», aggiungendo: «Discuteremo con lui quanto è accaduto, ha il diritto di spiegare il suo punto di vista e poi decideremo l’azione appropriata».  

Reprimenda e scuse

Frasi forti che fecero sospettare persino il licenziamento di Mancini per grave danno d’immagine alla Nazionale e al calcio saudita, impegnato in una megagalattica opera d’investimento (vedi l’ingaggio di alcuni fra i migliori giocatori del mondo) e già vincitore della corsa per l’assegnazione ai Mondiali 2034. Ma il provvedimento paventato dal presidente federale, al momento, non è arrivato. Ufficialmente. A livello ufficioso si parla di una reprimenda, un rimprovero severo d’intonazione moraleggiante e sentenziosa. Un “warning” per dirla all’inglese cioè un avvertimento più che un’ammonizione vera e propria. E non c’entra il mega-contratto da 25 milioni di euro all’anno (netti se il tecnico soggiornerà in Arabia per almeno 183 giorni su 365, altrimenti decurtati del 50% dall’Agenzia delle Entrate italiana) sottoscritto fino al 31 gennaio 2027 – quando si concluderà la prossima edizione della Coppa d’Asia la cui fase finale è in programma proprio in terra saudita – con il potentissimo, munifico e iper-ambizioso Principe Ereditario Mohammad bin Salman Al Saud.  

Tagikistan decisivo 

Pare che la lettera ufficiale di ammissione di colpa pubblicata dal “marchigian fuggiasco” (ricordate come abbandonò la FIGC lo scorso Ferragosto?) sul suo profilo X al rientro a Riyad lo abbia salvato («Voglio reiterare ancora le mie scuse nei confronti di tutti per l’uscita anticipata verso gli spogliatoi prima della fine dei calci di rigore. Con il vostro supporto e la vostra fiducia continuiamo a costruire il futuro del calcio saudita...»). Ora per lui diventano decisive le prossime due partite (andata-ritorno fra un mese) contro il sorprendente Tagikistan nel quadro della seconda fase preliminare di qualificazione ai Mondiali 2026. Dovessero andar male (accedono comunque al turno successivo le prime due di ogni girone, il terzo incomodo è la Giordania finalista dell’ultima Coppa d’Asia), chissà, potrebbe profilarsi magari lavoro extra per la sua seconda moglie, l’avvocatessa romana Silvia Fortini che ne tutela gli interessi... 

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