Il Torino era vicino a Milik: il retroscena di mercato

Rimpianti granata: con Belotti e Zaza in partenza, il duo Dovbyk-Pellegri sarebbe stata una gran soluzione. E il polacco...
Il Torino era vicino a Milik: il retroscena di mercato© Getty Images

TORINO - Forse non tutti sanno che tra gennaio e febbraio il Torino annusò, udite udite, persino il profilo di Arek Milik. Oggi alla Juventus, si sa: all’epoca ancora nell’Olympique Marsiglia. Voleva già andarsene e non solo da poche settimane. Questione di impiego rarefatto, di rapporti contrastati con lo staff tecnico, di contrasti turbolenti con la tifoseria. Di polemiche e critiche anche ingiuste. Era già stato preso di mira dalla parte più oltranzista del tifo dell’Om, i media francesi si accanirono, in campo e negli allenamenti il polacco faticava a legare e il ricordo dei 5 anni trascorsi in Italia, a Napoli, risuonava. Il Torino, a conoscenza di questo caso aperto, provò a effettuare più di un sondaggio. Nell’ottica di un aggancio in prestito. E in uno scenario che già da mesi prevedeva l’addio più che probabile di Belotti, a fine stagione. Ragionamento intelligente, con un suo bel perché. E Milik non chiuse la porta, così su due piedi. Però, al di là delle problematiche economiche legate all’ingaggio, pose l’approdo dei granata in Europa tra le condizioni per valutare concretamente un’eventuale proposta. Quando si giunse a marzo la questione era già tramontata. Fu una chimera, quella pista: lo temevano, nel club granata, ma un giro d’orizzonte poteva sempre essere utile. Un sondaggio comunque lungimirante. Poi non se ne fece nulla, d’accordo. Ma Vagnati aveva le idee chiare, potenzialmente. Stava muovendosi per rintracciare sul mercato un possibile sostituto di Belotti con le stigmate anche del nome, e non solo con le caratteristiche tecnico-tattiche appropriate. Questo retroscena va letto pure simbolicamente: Arek fu uno dei tanti attaccanti sondati in Europa, né il primo né l’ultimo. C’era una logica, alla base di tutto.
Come lucidissima fu poi la scelta maturata sul finire della stagione. Tra aprile e maggio un nome passò davanti a tutti, nel taccuino del ds. Artem Dovbyk, 25 anni, centravanti dell’Ucraina, prima punta del Dnipro. Un bomber come Dio comanda (24 gol in 45 partite in patria, subito 4 reti nella prima decina di gare in Nazionale), un giovane di gran fisico e dal fiuto potente, con esperienza anche internazionale e che avrebbe interpretato l’eventuale passaggio in Italia con motivazioni a dir poco enormi. Avrebbe lasciato la guerra, un Paese povero e dilaniato: è ancora lì, oggi. Venne anche a Torino, in quelle settimane che intanto stavano conducendo alla fine del campionato. Visitò il Filadelfia, vide una partita dei granata, intanto il suo agente stava già trattando da tempo con Vagnati.

Immaginatelo oggi, Dovbyk in granata: col problema del gol che incastra il Torino. Immaginate se Juric avesse a disposizione, oltre a Pellegri (almeno lui lucidamente riscattato date le qualità, le potenzialità, l’età verde e la stima cieca di Ivan), pure il centravanti ucraino. Pellegri è l’unica vera prima punta, l’unico vero giocatore con l’etichetta del centravanti di cui dispone Juric. Sanabria, come ancora una volta ricordava negli ultimi giorni Paro, «gioca quasi più da trequartista che da centravanti classico». E in Italia al massimo è arrivato a 6 gol, in una stagione. Con Belotti destinato all’addio e Zaza a seguire, sarebbe stata una scelta sulla carta vincente portare a casa Dovbyk, in aggiunta al riscatto di Pellegri. Costava però 12, 13 milioni. Sempre troppi, per chi comanda nel club. Poi, ad agosto inoltrato, il Torino prese per 4,5 milioni il giovane centrocampista turco Ilkhan. E così esaurì l’ultimo buco libero per l’ingaggio di un extracomunitario. Il fiore non colto. Brucia da morire. Come la sconfitta di San Siro.

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