Italia, mille guai ma adesso conta solo vincere

Guardare avanti dopo l'addio di Mancini è la priorità: serve un ct che abbia in testa solo l'azzurro e che sia supportato con fiducia

Ma certo, è ovvio che la scelta del nuovo commissario tecnico della Nazionale sia importante, necessaria e urgente, non fosse altro per questioni pratiche: tocca giocare due partite tra meno di un mese e, prima, diramare le necessarie convocazioni.

Tutto giusto, a patto però di non ricadere nello stesso errore: pensare che il nuovo commissario tecnico sia un taumaturgo salvifico e che basti il suo tocco per far guarire le piaghe del calcio italiano. Ma no che non è così, perché anche Roberto Mancini ha perso il tocco magico dopo la vittoria dell’Europeo e il logoramento di mesi in bilico tra il lancio dei giovani e la garanzia degli anziani.

Ecco, se Mancini ha commesso un errore è stato quello di confondere la selezione maggiore con una selezione sperimentale, con la conseguenza di mettere assieme sconfitte e incertezze che hanno finito per minare le sue sicurezze e, soprattutto, quelle dei vertici federali.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Italia

Da rabdomante della novità, il ct ha perso di vista la stabilità nelle sua inesausta (e nobile) ricerca della novità. Ha dovuto confrontarsi con una costrizione che non gli appartiene: quella della normalizzazione innescata dal combinato imposto della povertà del nostro calcio e dalla sconfitta contro la Macedonia. Una sconfitta personale prima ancora che di squadra, qualcosa che non è contemplato nel suo percorso, un inciampo fastidioso. E, così, la frenetica ricerca di calciatori diversi e nuovi era prima di tutto una ricerca di se stesso, delle fiducia perduta: dentro di sè e dagli altri.

Una questione personale, prima ancora che di sistema, ma che si avvinghiava con l’impossibilità di ottenere il tempo e il modo per sperimentare, per tornare a stupire. E perfino la nuova logica federale di affidargli una supervisione, forse perfino una buona idea nel grigiore del tempo che circonda il nostro calcio, l’ha vissuta come una prigione più che come un attestato di fiducia. E allora forse sì, forse è davvero il caso di ribaltare il concetto di partenza: serve un “uomo solo al comando” che si preoccupi soltanto di far tornare a vincere la Nazionale e basta. E se il resto non verrà, ce ne faremo una ragione.

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Ma certo, è ovvio che la scelta del nuovo commissario tecnico della Nazionale sia importante, necessaria e urgente, non fosse altro per questioni pratiche: tocca giocare due partite tra meno di un mese e, prima, diramare le necessarie convocazioni.

Tutto giusto, a patto però di non ricadere nello stesso errore: pensare che il nuovo commissario tecnico sia un taumaturgo salvifico e che basti il suo tocco per far guarire le piaghe del calcio italiano. Ma no che non è così, perché anche Roberto Mancini ha perso il tocco magico dopo la vittoria dell’Europeo e il logoramento di mesi in bilico tra il lancio dei giovani e la garanzia degli anziani.

Ecco, se Mancini ha commesso un errore è stato quello di confondere la selezione maggiore con una selezione sperimentale, con la conseguenza di mettere assieme sconfitte e incertezze che hanno finito per minare le sue sicurezze e, soprattutto, quelle dei vertici federali.

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