City-Fluminense, Guardiola vs Diniz: posizione, relazione e catarsi perfetta

La finale dell’ultimo Mondiale per club con questa formula mette di fronte due scuole calcistiche completamente diverse: i duellanti 2.0
City-Fluminense, Guardiola vs Diniz: posizione, relazione e catarsi perfetta

Venerdì 22 dicembre, allo stadio Principe Abd Allah bin Fay?al di Gedda, si gioca l’ultima finale del Mondiale per club Fifa, la prima edizione risale al 2000, con questa formula. Dal 2025, negli Stati Uniti, prenderà il via il nuovo format con 32 squadre, ma di questo avremo modo di scrivere abbondantemente. Come tredici delle precedenti diciannove volte, la sfida finale sarà tra il vincitore della Champions League, il Manchester City di Pep Guardiola, contro quello della Libertadores, il Fluminense di Fernando Diniz: Europa contro Sud America, catalano contro portoghese, posizione contro relazione. Mondiale per club che, rispetto all’Intercontinentale, ha spostato la bilancia verso l’Uefa, con 15 vittorie contro 4, mentre nella coppa con partita secca – in precedenza andata e ritorno –, la Conmebol era in vantaggio 22 a 21. Quanto conteranno questi numeri, venerdì sera, è difficile dirlo adesso, anche perché l’attenzione più che sulle due squadre è sui due allenatori, per la bellezza del calcio proposto, nel quale – guai a dimenticarlo – la vittoria è la sintesi perfetta, e per le idee con cui schierano le rispettive formazioni. 

Diniz, l’incompreso

Classe ’74 il primo, ’71 il secondo, la bacheca è inconfrontabile, ma il ragazzo di Patos de Minas in questo 2023 ha già vinto la Taça Guanabara, il campionato Carioca e la Libertadores, per la prima volta nella storia del Fluminense, battendo in finale ai supplementari il Boca Juniors; da questa estate, inoltre, è anche allenatore ad interim della nazionale brasiliana. La sua ascesa è stata altalenante, collezionando ben cinque esoneri ed essendo apostrofato come ‘incompreso’, in modo evidentemente sarcastico e sappiamo quanto può essere dura risollevarsi da un soprannome affibbiato da media e opinione pubblica. La cosa che faticava di più a gestire da calciatore, tra le altre di Internacional, Palmeiras, Corinthians e Fluminense (nel 2019 per una sola stagione, prima di tornare nel 2022), era la pressione psicologica, così una volta attaccate le scarpette al chiodo ha preso una laurea in psicologia, con tesi dedicata all’importanza del ruolo dell’allenatore nel calcio.

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Relazione contro posizione

Jamie Hamilton, allenatore e blogger scozzese, raccontando e facendo conoscere il futbol di Diniz, ha parlato di calcio di relazione, messo a confronto con quello di posizione. Questo considera lo spazio come un’entità statica da occupare in modo razionale, l’altro si affida alle relazioni che responsabilizzano gli individui, affidandosi alla loro imprevedibilità e occupando lo spazio in modo dinamico; secondo alcuni analisti, in realtà, si tratterebbe di due formule contigue, dove talento e organizzazione alla fine si equivalgono. Passato da essere ‘incompreso’ al ‘Guardiola brasiliano’, intervistato Diniz ha detto la sua: «Il suo tipo di possesso palla è quasi opposto al mio, perché nel gioco posizionale i giocatori tengono molto la posizione ed è il pallone ad andare da loro». 

La rivoluzione di Guardiola

Secondo gli analisti, il gioco di relazione altro non sarebbe che l’evoluzione di quello di posizione che porta la firma di Guardiola e del suo Manchester City. Come a dire che Diniz sarebbe già nel futuro, mentre Guardiola sarebbe rimasto fermo. Un errore fatto altre volte nei confronti dell’allenatore catalano. Un anno fa circa, infatti, Pep ha modificato il modulo e passando al 3-2-4-1 ha guidato la rimonta in campionato e la cavalcata che l’ha portato a vincere la Champions League: Walker e Akanji giocavano quasi come normali terzini con Ruben Dias che rimaneva dietro e Stones centrocampista davanti alla difesa. Per quanto riguarda il reparto arretrato, il nuovo sistema era molto simile al 3-4-3 del calcio totale di Cruijff: Ruud Krol e Suurbier come terzini più un giocatore a centrocampo; Stones, insieme a Rodri, con Gundogan e De Bruyne spostati più avanti formavano una sorta di quadrato in mezzo al campo. Lì dove la firma del tecnico è evidente e dove i giocatori sono pedine ben utilizzate dentro un pensiero scientifico e razionale. Ma nell’evoluzione di questo sport ci sono anche le contromosse degli avversari che spingono a cambiare ulteriormente. Così la posizione diventa funzione e questa relazione.

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Da posizione a relazione

Come spiega con efficacia Antonio Gagliardi, attuale assistente di Roberto Mancini nella rappresentativa dell’Arabia Saudita e già collaboratore dello staff tecnico della Nazionale italiana: «È il continuo e costante movimento della palla, dei compagni e degli avversari a determinare gli smarcamenti intorno al giocatore in possesso. Di volta in volta i vari giocatori nella zona del pallone diventano “vertice”, “appoggio laterale” o “scarico”, indipendentemente dalla loro posizione o dalla funzione iniziale di partenza. Dunque è la “relazione” con la palla, con i compagni, con gli avversari – è la relazione con il contesto – a determinare e influenzare i movimenti, le scelte, il gioco dei singoli. Si tratta di un ulteriore passaggio nella naturale evoluzione dei ruoli, con i giocatori che tornano a essere al centro di tutto e non più ingabbiati in una determinata posizione, ma neanche limitati da una o più funzioni. I giocatori, cioè, saranno completamente liberi di esprimersi all’interno di principi di gioco comuni. Ci saranno meno allenatori protagonisti ma più giocatori protagonisti. O forse, meglio, gli allenatori saranno protagonisti in maniera diversa». 

La catarsi perfetta

Tutto è più semplice quando dietro c’è grande preparazione, impegno, ripetizione dei concetti essenziali, vale nel public speaking, per esempio, come nel calcio: quello che appare più genuino, quello che arriva prima, quello che appassiona il pubblico, generalmente è proprio ciò che si è preparato di più e con maggiore meticolosità. Poi, non sempre, tutto quello che si prepara a tavolino riesce perché in campo ci sono gli avversari e innumerevoli variabili, come ha ampiamente dimostrato la finale di Champions League tra Inter e Manchester City, dove ai nerazzurri più che il gioco e le contromosse è mancata la fortuna sotto porta. E se fino a qualche anno fa i duellanti – seconda una sagace intuizione giornalistica – erano Guardiola e Mourinho, anche perché ‘messaggeri’ di due filosofie calcistiche molto diverse, a Gedda si sfideranno per la prima volta due coetanei, portatori sani di bellezza calcistica. Uno dei due alzerà al cielo per l’ultima volta il trofeo del Mondiale per club con questa formula, in una finale – Fluminense-Manchester City – che rappresenta il meglio che il calcio può esprimere in questo momento: relazione o di posizione, in portoghese o in catalano, Sud America o Europa. La catarsi perfetta.

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Venerdì 22 dicembre, allo stadio Principe Abd Allah bin Fay?al di Gedda, si gioca l’ultima finale del Mondiale per club Fifa, la prima edizione risale al 2000, con questa formula. Dal 2025, negli Stati Uniti, prenderà il via il nuovo format con 32 squadre, ma di questo avremo modo di scrivere abbondantemente. Come tredici delle precedenti diciannove volte, la sfida finale sarà tra il vincitore della Champions League, il Manchester City di Pep Guardiola, contro quello della Libertadores, il Fluminense di Fernando Diniz: Europa contro Sud America, catalano contro portoghese, posizione contro relazione. Mondiale per club che, rispetto all’Intercontinentale, ha spostato la bilancia verso l’Uefa, con 15 vittorie contro 4, mentre nella coppa con partita secca – in precedenza andata e ritorno –, la Conmebol era in vantaggio 22 a 21. Quanto conteranno questi numeri, venerdì sera, è difficile dirlo adesso, anche perché l’attenzione più che sulle due squadre è sui due allenatori, per la bellezza del calcio proposto, nel quale – guai a dimenticarlo – la vittoria è la sintesi perfetta, e per le idee con cui schierano le rispettive formazioni. 

Diniz, l’incompreso

Classe ’74 il primo, ’71 il secondo, la bacheca è inconfrontabile, ma il ragazzo di Patos de Minas in questo 2023 ha già vinto la Taça Guanabara, il campionato Carioca e la Libertadores, per la prima volta nella storia del Fluminense, battendo in finale ai supplementari il Boca Juniors; da questa estate, inoltre, è anche allenatore ad interim della nazionale brasiliana. La sua ascesa è stata altalenante, collezionando ben cinque esoneri ed essendo apostrofato come ‘incompreso’, in modo evidentemente sarcastico e sappiamo quanto può essere dura risollevarsi da un soprannome affibbiato da media e opinione pubblica. La cosa che faticava di più a gestire da calciatore, tra le altre di Internacional, Palmeiras, Corinthians e Fluminense (nel 2019 per una sola stagione, prima di tornare nel 2022), era la pressione psicologica, così una volta attaccate le scarpette al chiodo ha preso una laurea in psicologia, con tesi dedicata all’importanza del ruolo dell’allenatore nel calcio.

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