Il calcio è globale e c'è un unico arbitro: il mercato. Piaccia o non piaccia...

Le polemiche sul Mondiale per club ripropongono un duello tra modelli diversi che andranno sempre più a incrociarsi per avere accesso alle risorse

Non è che si giocano troppe partite, il problema è che si giocano troppe partite inutili. Perché se non è ancora certo il fatto che ci si possa stancare delle grandi sfide se ripetute più volte all’anno, una certezza ce l’abbiamo già dai dati d’ascolto: le piccole sfide (definiamole così) hanno già stancato da un pezzo e non trattengono davanti alla tv neppure i tifosi delle squadre coinvolte. Nella grande battaglia fra il calcio globale e quello locale, a decidere sarà il mercato, l’arbitro che fischia in base ai numeri. Questo decreterà la fine del calcio romantico? Non è detto. Ma sostenere che un modello sia preferibile a un altro sulla base di presunti principi etico-sportivi o morali è forse più presuntuoso che ingenuo.

Nessuno vuole rinunciare al Mondiale per club

Il Mondiale per Club è una manifestazione che verrà inaugurata alla fine della prossima stagione e allungherà la stagione stessa in modo anormale, tant’è che sta ricevendo molte critiche. Detto che molte di queste sono chiare strumentalizzazioni politiche, anche quelle più intellettualmente oneste si schiantano contro il fatto che nessuno ha intenzione di rinunciare a quella competizione. Vuoi per i soldi, vuoi per la visibilità (quindi per soldi in modo indiretto), vuoi per la storia e il prestigio, perché affascina assai l’idea di una competizione che assegna un vero titolo mondiale per club (e non quello che finora si è assegnato sulla base di un paio di partite di livello tecnico non sempre eccelso). E quindi il Mondiale si farà. Non perché l’ha deciso Infantino o la Fifa, ma perché ai club, cioè alle società che tengono in piedi lo spettacolo del calcio mondiale pagando gli attori, è sembrata una buona idea.

Il futuro del calcio mondiale

Accadrà o non accadrà la stessa cosa con la Superlega, perché è sempre più chiaro (anche grazie ai tribunali) che ogni club è padrone del suo destino. Non sarà una legge o una minaccia a impedire la nascita di una nuova competizione, ma semmai la mancata adesione dei club che ne preferiscono un’altra. Quindi, Superlega o SuperChampions, con questa logica moriranno i campionati nazionali? Diciamo che già oggi qualcuno inizia a non stare benissimo, quello che succederà domani è difficile prevederlo. Ci sono due fattori che vanno considerati: da una parte il forte radicamento al territorio e alle tradizioni che irrobustiscono i campionati nazionali di calcio; dall’altra il fatto che quasi tutti gli sport, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno quasi azzerato il valore dei titoli nazionali in virtù di una globalizzazione dello sport. L’ipotesi più probabile è che i prodotti globali del calcio (la Champions o Superlega da una parte, il Mondiale per club dall’altra) si mangino sempre più risorse, perché più appetiti dai media, visto il numero enorme di audience potenziale, ma che quindi le leghe locali ne escano ridimensionate economicamente, pur rimanendo rilevanti per la base del loro tifo. La partita, in ogni caso, la arbitrerà il mercato, non le chiacchiere e men che meno gli slogan.

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