Plusvalenze story, 1ª puntata: fitti scambi di giovani nel 2003, Inter e Milan vengono prosciolte

A Milano il peccato originale. Sanzioni sportive? 90 mila euro. Un esposto di Gazzoni Frascara aveva generato perquisizioni nelle sedi di 51 società
Plusvalenze story, 1ª puntata: fitti scambi di giovani nel 2003, Inter e Milan vengono prosciolte

TORINO - Vent’anni di plusvalenze, o poco ci manca. L’esordio del sempre più sinistro termine nel mondo del calcio nostrano, quantomeno associato alla sfera della giustizia, affonda le radici nell’ormai lontano 2004. L’impulso, nel solco del nuovo concetto di “doping amministrativo” battezzato dall’allora ad bianconero Antonio Giraudo, arriva da Giuseppe Gazzoni Frascara, storico presidente del Bologna, un cui esposto alla Procura di Roma in cui si ipotizza il reato di “falso in bilancio” genera perquisizioni nelle sedi di 51 delle principali società calcistiche in Italia. La prima ondata di verifiche lascia lungo la strada risultati scarsamente significativi, ma soltanto fino all’anno successivo.

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La genesi

I primi segni tangibili del matrimonio tra plusvalenze e giustizia, infatti, risalgono all’aprile del 2005, quando la Procura di Milano invia avvisi di garanzia ai dirigenti di Milan e Inter «per avere esposto nei bilanci fatti non rispondenti al vero su attività e passività, allo scopo di evitare di evidenziare perdite che avrebbero comportato l’obbligo di ripianarle o di ridurre il capitale sociale entro il successivo esercizio», citando numerose compravendite di giocatori «fittizie nella determinazione del prezzo di cessione o di acquisto».

La prassi di scambiarsi giocatori, in seno ai due club milanesi, era in realtà in vigore già da qualche anno: tra il 1999 e il 2001, infatti, si ricordano operazioni inerenti i ben poco conosciuti Paolo Ginestra, Matteo Bogani, Fabio Di Sauro, Davide Cordone, Andrea Polizzano e Marco Bonura. Ma gli occhi del pm Carlo Nocerino si concentrano soprattutto sui movimenti relativi a otto ragazzi, passati nell’estate del 2003 da una sponda all’altra di Milano in mezzo alla girandola di compravendite in salsa meneghina che aveva riguardato in quel periodo, tra gli altri, i ben più noti Pirlo, Brocchi, Guglielminpietro, Coco, Simic e Seedorf. Il Milan preleva infatti dall’Inter i giovanissimi Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi, generando nel bilancio nerazzurro plusvalenze per 12,9 milioni di euro, mentre compiono il percorso opposto Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma, assicurando ai rossoneri plusvalenze per 10,7 milioni. Cifre risultate sospette, se rapportate al modesto profilo tecnico dei giocatori interessati. Nessuno dei quali, con il senno di poi, in grado infatti di costruirsi una carriera ai vertici del calcio italiano.

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La giustizia ordinaria...

L’inchiesta sull’intreccio rossonerazzurro, in particolare, decolla quando uno dei ragazzi in causa, il portiere Brunelli, denuncia di essersi ritrovato all’Inter a sua insaputa, complice un contratto in cui compariva la sua firma falsificata. Il lavoro degli inquirenti vive così un’accelerata e finisce per coinvolgere Adriano Galliani, allora vicepresidente del Milan, il patron interista Massimo Moratti, Rinaldo Ghelfi e Mauro Gambaro, questi ultimi manager nerazzurri: per tutti, il 24 settembre 2007, arrivano le richieste di rinvio a giudizio con l’accusa di aver «evitato di rappresentare alla Figc l’esatta situazione patrimoniale ai fini delle verifiche propedeutiche all’ammissione ai campionati 2004-2005 e 2005-2006». Secondo la ricostruzione, basata sulle verifiche effettuate dal Nucleo di Polizia tributaria di Milano, i due club in particolare non sarebbero stati in regola per l’iscrizione al campionato 2005-2006, curiosamente proprio quello poi assegnato all’Inter in seguito a Calciopoli.

Le società, in ogni caso, vengono prosciolte dal gup Paola Di Lorenzo nel gennaio del 2008, in parte “perché l’azione penale non poteva essere esercitata per essere il reato presupposto anteriormente prescritto” e in parte “perché il fatto non costituisce reato”. La seconda motivazione, in particolare, poggia le proprie basi sulla appena promulgata legge del Governo Berlusconi sul falso in bilancio che prevede il dolo specifico, che in questo caso non viene riscontrato.

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... e quella sportiva

Ma la vicenda, naturalmente, ha risvolti anche nell’ambito della giustizia sportiva, sulla scorta della denuncia da parte di Italo Pappa, capo della Procura Federale, nel 2005. Il successore Stefano Palazzi, il 4 febbraio 2008, deferisce Milan e Inter per avere iscritto a bilancio, tra il 2003 e il 2004, una «abnorme e strumentale valutazione» di alcuni calciatori. L’accusa riguarda la violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza, ma in realtà non l’articolo 8 comma 4, ovvero il tentativo di iscriversi al campionato in modo fraudolento. Gli accusati Adriano Galliani, Gabriele Oriali, Massimo Moretti (da non confondere con Moratti), Rinaldo Ghelfi e Mauro Gambaro, unitamente alle due società, in ogni caso patteggiano la pena. L’ammenda che ne consegue e che chiude la vicenda, tanto per l’Inter quanto per il Milan, è di appena 90 mila euro. Meno di un buffetto.

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TORINO - Vent’anni di plusvalenze, o poco ci manca. L’esordio del sempre più sinistro termine nel mondo del calcio nostrano, quantomeno associato alla sfera della giustizia, affonda le radici nell’ormai lontano 2004. L’impulso, nel solco del nuovo concetto di “doping amministrativo” battezzato dall’allora ad bianconero Antonio Giraudo, arriva da Giuseppe Gazzoni Frascara, storico presidente del Bologna, un cui esposto alla Procura di Roma in cui si ipotizza il reato di “falso in bilancio” genera perquisizioni nelle sedi di 51 delle principali società calcistiche in Italia. La prima ondata di verifiche lascia lungo la strada risultati scarsamente significativi, ma soltanto fino all’anno successivo.

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