Allegri, aria di divorzio Juve: dalle vittorie di Agnelli alla lettera di Elkann

Allo Stadium va in scena il duello tra Max e Pioli, due tecnici che hanno perso appeal con le rispettive tifoserie e vivono questa coda della stagione con il peso del pregiudizio

Appena sentita in radio: mattina, pomeriggio, sera. O di notte se è una replica. “Pronto?” Sì, pronto… “Buongiorno, sono un tifoso juventino: posso fare una domanda?” Dica pure. “Vorrei perdere la finale di Coppa Italia, così cacciano Allegri!”. Scusi, ma dov’è la domanda? L’assenza della domanda viene compensata dall’abbondanza di certezze con tre punti esclamativi, come si scrive oggi senza percezione di esagerazione. Infatti la sfida di domani, Juve-Milan, non viene percepita per valore, nobiltà, storia e nemmeno come spareggio per il secondo posto. Immaginando non un meme che spopola sui social, ma semplicemente un “memo”, cioè un appunto scritto piccino o detto sottovoce: Juventus e Milan si giocano il secondo posto, non il penultimo! Ma non conta.

La sfida tra Juve e Milan

Sabato sembra in programma una partita che, per gran parte dei tifosi, non vale nemmeno il nostalgico Trofeo Berlusconi. Ricordate? I nuovi acquisti erano i fuochi d’artificio di Ferragosto. I vecchi, la scaramanzia: chi perdeva il trofeo, poi vinceva lo scudetto. Stavolta, sembra che chi vince fa il suo. Chi perde apre il cancello d’uscita all’allenatore. Anzi, il cancelletto, come viene tradotto in italiano l’hashtag # più usato e abusato della storia del campionato: #out. I milanisti hanno scortato l’allenatore con #Pioliout fin dal trolley nel bagagliaio. Per sua fortuna aveva il Telepass, altrimenti l’avrebbe sentito dal casellante già a Melegnano. La sbarra della diffidenza non si è alzata in automatico. Poi è arrivato Ibra e anche Pioli “on fire”. Simile al primo Allegri, quello cui nel 2014 tirarono le uova ma lui non fece frittate. Anzi. Non era una Juve da dieci euro e nemmeno da cento. Però arrivò in finale di Champions con il Barcellona dei tempi d’oro, quello che (a buon intenditor…) vinse la Champions con Messi e Luis Enrique esattamente come tempo prima con Messi e Guardiola.

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Allegri e Pioli, due uomini soli

Allegri e Pioli: due uomini soli. Perciò si faranno compagnia. Anche nei ricordi da doppi ex. E perfino nei gol passati alla storia. Il ventenne e riccioluto Pioli, vestito di bianconero, corse ad abbracciare Platini a Tokyo, nella rete annullata più iconica della storia del calcio. Il quarantenne e discretamente pettinato Allegri, in abito rossonero, rimase inebetito quando annullarono il gol a Muntari. Incroci. Sliding doors. Ne è piena la loro storia. Addirittura quella di pochi mesi fa: il Milan di Pioli ha giocato la Champions “grazie” alla penalizzazione della Juve di Allegri. Ora uno migliora di sicuro il quinto posto dell’anno scorso e l’altro spera di rimontare e arrampicarsi sul secondo gradino del podio, per migliorare i piazzamenti collezionati nelle ultime due stagioni. La seconda stagione di Allegri alla Juve ha le recensioni come le serie tv. Tre episodi anziché cinque e - classica frase accompagnata da un sospiro - “la prima era nettamente più bella”. Peccato che, mentre scorrevano live le immagini della prima stagione, compariva anche l’avviso “film per bambini non accompagnati da genitori che pensano solo alla Champions”. Tifosi incontentabili. Vale anche per il Milan di Pioli: si vedevano giocate che non avevano bisogno di gioco, semplicemente lo abbellivano. Il centrocampo cucinava sorrisi e palloni. La Juve di Vidal-Pirlo-Pogba si era evoluta in Khedira-Pjanic-Matuidi: un pochino meglio di McKennie-Locatelli-Rabiot… Il Milan che oggi utilizza Adli, Bennacer e Loftus-Cheek, aveva mescolato Calhanoglu, Kessie e Tonali. Non c’è paragone.

Il futuro di Allegri e Pioli

Infatti erano anni difficili anche per l’Inter di Spalletti e il Napoli di Ancelotti oppure la stessa Inter di Inzaghi, per citare tre allenatori che adesso - giustamente - sono molto “in”. Loro, inesorabilmente “out”. Tre lettere. Non una di più. Come Max e Ste, immaginando la sigla posta su ogni foglio della rescissione di contratto, se ci sarà. Poi, all’ultima pagina, la firma leggibile e per esteso, ma sotto al compenso pattuito. Che non è secondario. Hanno ancora un anno di contratto. Allegri più staff, Pioli più staff. E a proposito di staff, un altro link, una figurina che li unisce: Marco Landucci, vice bianconero, era compagno dell’attuale tecnico rossonero nella Fiorentina di fine anni Novanta. Il calcio è un intreccio di storie.

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L'investitura di Giuntoli

I contratti di divorzio da Juve e Milan assomigliano a un gigantesco labirinto con minuscola via d’uscita, perché c’è in gioco l’orgoglio, quasi più dei soldi. Nell’ultima lettera autografata John Elkann, quella dell’investitura di Giuntoli per intendersi, alla Juventus venivano chieste sostenibilità e giovani. E di lottare fino alla fine, secondo slogan della casa. Ma non vittorie, almeno esplicite, tipo quelle su cui aveva investito Andrea Agnelli fino a pochi mesi fa che sembrano secoli. Perciò Allegri si sente in diritto di puntualizzare con i numeri, anziché le telechiacchiere. Più o meno lo stesso vale per Pioli, che però sconta un declino tristemente punteggiato dai derby persi a San Siro. In ogni caso, là dove c’erano Marotta, Nedved e Paratici, più Cherubini e struttura tecnica ambiziosa, adesso c’è solo Giuntoli. Là dove si stagliavano le figure di Boban e Maldini, più Massara e compagnia, adesso si affaccia Ibrahimovic accompagnato da Moncada. Non è la stessa cosa. E pure se le liste per il privé della tribuna d’onore sono state anche piene di imbucati, semplicemente a scorrere gli staff dirigenziali si intuisce che Juve e Milan non hanno più la potenza (e un po’ la prepotenza) dei tempi d’oro.

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Milan, Juve e il mercato

Non è solo apparenza. Anche sostanza. Malgrado il superbonus Tonali di un’estate fa, i rossoneri devono conteggiare le partenze di Maignan e/o Theo per finanziare il prossimo mercato. Stessa storia in bianconero, dove tutte le buone intenzioni attraversano problemi ancora insoluti: Chiesa lascia o prolunga, Vlahovic parte o spalma, Rabiot magari si accorda ancora con contratto che assomiglia a un noleggio a lungo termine. All’Inter ci saranno anche i maxidebiti di Zhang, ma intanto hanno preso Taremi e Zielinski per irrobustire una squadra che già chiuderà il campionato con una ventina di punti sulla seconda. Appena riaccesa la radio. “Sono un tifoso del Milan, stufo dell’allenatore e degli errori della difesa”. A quale partita si riferisce in particolare? “A nessuna. Da un anno non guardo più niente”. Scusi, ma se non guarda… “Non ne posso più di Pioli, lui e Allegri se ne devono andare!”. Ah, quindi sta seguendo la Juventus? “No, assolutamente! Ma Pioli si scopre troppo: come si fa a giocare così, non si vince mai! Allegri invece si difende troppo: potrà anche vincere, ma non si gioca così!”. Per correttezza ortografica, i punti esclamativi erano uno per frase. Ma nel tono del tifoso, ovviamente, ce ne erano tre per ogni #Allegriout, #Pioliout “e domani macché partita, vado al mare anche se piove!!!”. Buon viaggio verso Juve-Milan di domani, sabato 27 aprile 2024.

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Appena sentita in radio: mattina, pomeriggio, sera. O di notte se è una replica. “Pronto?” Sì, pronto… “Buongiorno, sono un tifoso juventino: posso fare una domanda?” Dica pure. “Vorrei perdere la finale di Coppa Italia, così cacciano Allegri!”. Scusi, ma dov’è la domanda? L’assenza della domanda viene compensata dall’abbondanza di certezze con tre punti esclamativi, come si scrive oggi senza percezione di esagerazione. Infatti la sfida di domani, Juve-Milan, non viene percepita per valore, nobiltà, storia e nemmeno come spareggio per il secondo posto. Immaginando non un meme che spopola sui social, ma semplicemente un “memo”, cioè un appunto scritto piccino o detto sottovoce: Juventus e Milan si giocano il secondo posto, non il penultimo! Ma non conta.

La sfida tra Juve e Milan

Sabato sembra in programma una partita che, per gran parte dei tifosi, non vale nemmeno il nostalgico Trofeo Berlusconi. Ricordate? I nuovi acquisti erano i fuochi d’artificio di Ferragosto. I vecchi, la scaramanzia: chi perdeva il trofeo, poi vinceva lo scudetto. Stavolta, sembra che chi vince fa il suo. Chi perde apre il cancello d’uscita all’allenatore. Anzi, il cancelletto, come viene tradotto in italiano l’hashtag # più usato e abusato della storia del campionato: #out. I milanisti hanno scortato l’allenatore con #Pioliout fin dal trolley nel bagagliaio. Per sua fortuna aveva il Telepass, altrimenti l’avrebbe sentito dal casellante già a Melegnano. La sbarra della diffidenza non si è alzata in automatico. Poi è arrivato Ibra e anche Pioli “on fire”. Simile al primo Allegri, quello cui nel 2014 tirarono le uova ma lui non fece frittate. Anzi. Non era una Juve da dieci euro e nemmeno da cento. Però arrivò in finale di Champions con il Barcellona dei tempi d’oro, quello che (a buon intenditor…) vinse la Champions con Messi e Luis Enrique esattamente come tempo prima con Messi e Guardiola.

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