L'investitura di Giuntoli
I contratti di divorzio da Juve e Milan assomigliano a un gigantesco labirinto con minuscola via d’uscita, perché c’è in gioco l’orgoglio, quasi più dei soldi. Nell’ultima lettera autografata John Elkann, quella dell’investitura di Giuntoli per intendersi, alla Juventus venivano chieste sostenibilità e giovani. E di lottare fino alla fine, secondo slogan della casa. Ma non vittorie, almeno esplicite, tipo quelle su cui aveva investito Andrea Agnelli fino a pochi mesi fa che sembrano secoli. Perciò Allegri si sente in diritto di puntualizzare con i numeri, anziché le telechiacchiere. Più o meno lo stesso vale per Pioli, che però sconta un declino tristemente punteggiato dai derby persi a San Siro. In ogni caso, là dove c’erano Marotta, Nedved e Paratici, più Cherubini e struttura tecnica ambiziosa, adesso c’è solo Giuntoli. Là dove si stagliavano le figure di Boban e Maldini, più Massara e compagnia, adesso si affaccia Ibrahimovic accompagnato da Moncada. Non è la stessa cosa. E pure se le liste per il privé della tribuna d’onore sono state anche piene di imbucati, semplicemente a scorrere gli staff dirigenziali si intuisce che Juve e Milan non hanno più la potenza (e un po’ la prepotenza) dei tempi d’oro.