Gasp: la profezia del Trap, il dentista di Guardiola e quel pensiero a Ilicic

A Dublino l’apoteosi europea di un percorso che può diventare ancora più da record eguagliando Trapattoni. La mentalità da big, la cena con il Papu, quelle lacrime per Josip

Alza la Coppa, Gian Piero. Alzala e falla vedere al mondo perché hai superato due volte te stesso. Prima della finale, accarezzando l’Europa League, avevi detto: «Non sei un bravo allenatore se ottieni la vittoria, ma lo sei se riesci a superare i tuoi limiti». Ce l’hai fatta e pure in mondovisione, come questa impresa meritava. Il 22 maggio 2024, a Dublino hai scritto la storia: dell’Atalanta, la tua, di Antonio e Luca Percassi che hanno costruito questa società capolavoro; di Bergamo e dei bergamaschi che mai avevano provato una gioia simile nei 117 anni della loro amatissima Dea, da te portata per la quarta volta in Champions League nelle ultime sei stagioni. Hai fermato la corsa dei Bayerpanzer, neocampioni di Germania, presentatisi davanti a te dopo 51 partite di fila senza sconfitta, nuovo record mondiale. Hai infranto il tabù di questa Coppa che per l’Italia resisteva da venticinque anni, da quando la vinse il Parma di Alberto Malesani e il tuo tabù delle finali perché avevi perso le tre di Coppa Italia disputate negli ultimi cinque anni (eppure, per perdere una finale bisogna arrivarci. O no?).

Gasp, quante vittorie con l'Atalanta

Hai schiuso le porte alla sesta squadra tricolore nella prossima Champions League, un altro evento senza precedenti. Di vittorie alla guida dell’Atalanta ne hai firmate 200 in capo a 385 partite, percentuale per gli statistici: 52 per cento. Questa è la più preziosa, la più inseguita, la più esaltante. Te lo dimostra il delirio dei novemila bergamaschi sdilinquiti all’Aviva Stadium e non hai idea, o meglio ce l’hai eccome, di ciò che è accaduto e accadrà a Bergamo, sotto e sopra le Mura, nel maggio d’oro dell’Età dell’oro. Il fatto è che ce ne ha messo la Dea a cercare il tempo perduto rincorrendo la sua prima coppa europea: ci era andata vicina una volta sola, nell’88, con la doppia semifinale in Coppa delle Coppe, avversario il Malines che poi il trofeo lo vinse, battendo l’Ajax nella finale di Strasburgo. Trentasei anni sono stati molto lunghi da passare. Per l’esattezza, 36 anni, 1 mese e 3 giorni. Era il 20 aprile 1988, Bergamo, semifinale di ritorno, Atalanta-Malines 1-2 (Garlini, Rutjes, Emmers), allenatore Mondonico. Lassù, è da ieri sera che Emiliano sta festeggiando insieme con Achille e Cesare Bortolotti, Ivan Ruggeri, Mino Favini, Franco Previtali e tutti gli altri Immortali della Dea. In fondo, per dirla con Proust, interiore o esteriore che sia, il tempo perduto è legato al passato, ma è anche il tempo verso il quale tende il presente. Potrebbe essere più straordinario questo presente, Gian Piero?

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La profezia del Trap

Chiamavano l’Atalanta la regina delle provinciali, per via dei 63 campionati di Serie A a girone unico ai quali la squadra ha preso parte; del maggior numero di presenze nel massimo torneo delle squadre che non rappresentano capoluoghi di regione e non hanno mai vinto lo scudetto; del record assoluto di promozioni in Serie A e del maggior numero di vittorie del torneo di Serie B. alla pari del Genoa. Già, proprio il Genoa, il tuo Genoa, Gian Piero, dopo l’Atalanta la squadra che hai guidato per due volte in 297 partite e nel 2016 hai lasciato per andare a Bergamo. Avevi detto: «Siamo all’ultimo miglio di un percorso: la forza morale e mentale dei giocatori, la loro capacità di rigenerarsi ci ha portato a una stagione incredibile».

Incredibile. Straordinario. Storico. In questi giorni rimbombano, ridondano persino aggettivi sportivamente né esagerati né eccessivi, considerati i risultati dell’Ottennio Gasp. Potrà diventare decennio, se dal 2025 al 2026 prolungherai il contratto propostoti dai Percassi e, se lo farai, eguaglierai il record bianconero di Trapattoni (‘76-’86). Trapattoni il Grande che nel 2016 ti candidò alla guida della Nazionale: («Gian Piero ha l’esperienza giusta per affrontare un’avventura come questa»). Trapattoni che ti fece esordire nella Juve direttamente dalla Primavera, alla fine degli Anni Settanta, in Coppa Italia: era il 29 giugno 1977, Juventus- Vicenza 2-1. Indossavi la maglia N.10, Gian Piero. Tempo dopo, il Trap fu profetico: «Gasperini era un giovane centrocampista che sapeva pensare calcio, con un certo carattere. Quando smetterà, diventerà un grande allenatore». Ci ha preso in pieno.

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Gasp mentality

Prima della finale, hai rimarcato: «Dublino è il punto più alto della mia carriera e della storia atalantina. Il Bayer si ferma con la difesa di tutta la squadra: attacchiamo in dieci, ci difendiamo in dieci, è la nostra filosofia». I tuoi ti hanno preso in parola, Gian Piero. Del resto, che cosa aspettarsi di diverso dagli stessi giocatori che, durante l’intervallo della gara di ritorno con il LIverpool, alla tua domanda: volete che ci abbassiamo? Che pensiamo più a difenderci? Ti risposero in coro: no, non se ne parla. È la Gasp mentality, testé magnificata da Stephen Pagliuca che ha sommerso di elogi te e i Percassi per ciò di cui siete stati capaci.

La mentalità di un’Atalanta meno di cinque anni fa N.104 del ranking Uefa: a Dublino si è presentata avendo sulla maglia il N.19. Per ora, dato che tu ami la filosofia tibetana: quando arrivi in cima alla montagna, continua a scalare. E, con te, la città di cui sei cittadino onorario. Perché Atalanta-Bayer non è stata soltanto la finale di Europa League. È stata la finale di un popolo, il popolo bergamasco. Che non dice andiamo allo stadio, ma andiamo all’Atalanta. A Dublino, la squadra ha giocato la partita del secolo in nome del milione e duecentomila abitanti di capoluogo e provincia, di padre in figlio, di generazione in generazione foderati di nero e azzurro.

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La cena con il Papu

Il capitano dell’Atalanta quando hai sfiorato la semifinale di Champions League, il 12 agosto 2020 era il Papu Gomez. Sarebbe potuto esserlo per molto tempo ancora se, nel dicembre precedente, la lite con Gasperini durante l’intervallo della partita con il Midtjylland non fosse stata il prodromo della rottura, traumatica e prolungata che portò durante il mercato invernale al trasferimento dell’argentino al Siviglia. Nelle sei stagioni e mezzo disputate a Bergamo, il futuro campione del mondo con l’Albiceleste in Qatar era diventato uno dei simboli dell’Atalanta gasperiniana: 252 presenze, 59 gol, la fascia di capitano, la conquista di un posto nell’Albiceleste, pur al tempo del fenomeno Messi.

Dieci giorni fa, dopo quasi tre anni e mezzo, Gasperini e il Papu si sono riabbracciati a cena, in CIttà Alta, nello storico Caffè del Tasso che conta 548 anni di vita e apre i battenti in Piazza Vecchia, secondo Le Corbusier, una delle piazze più belle del mondo. Galeotto l’invito formulato da Marcello Menalli, genoano trapiantato a Bergamo, amico di entrambi e di Tullio Gritti, testimone dell’incontro, alter ego di Gasp. Sui social, i tifosi l’hanno salutato l’incontro con centinaia di commenti positivi. Nel calcio, come nella vita, ci possono essere momenti di tensione, di litigio, di incomprensione e tuttavia non bisogna mai pensare che, prima o poi, sia impossibile ridarsi la mano. Adesso, le parole beneauguranti indirizzate dal Papu prima del fischio d’inizio suonano profetiche, testimonianza di un’amicizia vera, finalmente ritrovata.

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Pensando a Ilicic

C’è un altro giocatore, al quale stai sicuramente pensando in queste ore, Gian Piero. Si chiama Josip Ilicic, il tuo Professore, il Magnifico Professore che hai portato in cattedra, proprio ieri, a 36 anni, ufficialmente preconvocato dalla Slovenia per la fase finale dlel’Europeo. Quando hai ricordato il tempo della sua malattia, ti sei commosso: «A un certo punto, Josip ha cominciato ad avere dei sintomi, non stava bene. Lì si è completamente isolato e non sopportava il fatto di non poter tornare a casa, soffriva la lontananza dalla famiglia. Da quel momento, ha avuto difficoltà e noi gli siamo sempre stati vicino. Ricordo la partita di Valencia, dove fece quattro gol: era tra i migliori giocatori in Europa, avrebbe potuto vincere il Pallone d’oro. Quando dovevamo andare a Lisbona contro il Psg, la settimana prima ero andato a trovarlo in una clinica: aveva perso 10-12 kk. Cercai di sollevarlo, mi sembrò di avere fra le mani un manichino».

Ilicic, Valencia, i quattro gol dedicati a Bergamo e ai bergamaschi: quella maglietta con la scritta “Mòla mia”, vergata a pennarello e mostrata in mondovisione. Erano gli albori del Covid che a Bergamo ha fatto strage. I camion dell’esercito che portavano via le bare perché non c’era più spazio per tumulare, le hai viste anche tu, Gian Piero e anche tu non le hai mai dimenticate. Hai ricordato alla radio della Serie A: «La città e la provincia sono state fra i primi, grandi focolai. C’è stata una reazione fantastica di tutta la gente, nonostante le difficoltà. All’inizio non si capiva: quando siamo andati a Valencia, siamo stati trattati come portatori di un’infezione locale, soltanto dopo si è compresa la portata del virus. Molte famiglie hanno perso le persone più care; il loro dolore non si cancellerà mai. Il virus era un nemico subdolo, si sentivano sirene ogni tre minuti, gli ospedali erano stracolmi. La paura c’era, così come un po’ di incoscienza. Arrivavamo al campo già cambiati, ognuno doveva usare un solo pallone, portavamo tutti le mascherine. Gli allenamenti erano individuali, i fisioterapisti pulivano ogni pallone. Le prime mascherine ce le hanno calate da un elicottero, in mezzo al campo. È stato un periodo veramente devastante. Non sapevamo se il calcio sarebbe proseguito o meno: c’erano tanti disfattisti, ma devo dire che la Federazione è stata molto brava nella gestione. Il calcio ha aiutato anche le persone a ritrovare il sorriso».

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L'Atalanta simbolo di Bergamo

Ecco, celebrando l’Atalanta, cercando di capire dove affondi le radici questo fenomeno che dimostra come un altro calcio sia possibile, bisogna ricordare come in quel tempo maledetto di morte e di angoscia, per Bergamo e per i bergamaschi l’Atalanta divenne molto più di una squadra di calcio. Divenne un simbolo della resilienza di un popolo che, per sua natura, lotta sempre e non si arrende mai. Non a caso, s’intitola “Rinascerò, rinascerai” la canzone interpretata da Roby Facchinetti che ne ha composto la musica. Il testo è stato scritto dell’indimenticabile D’Orazio, portato via dal Covid, ma Stefano vive per sempre nel mondo di chi l’ha amato e ama i suoi Pooh. In quel tempo terribile della pandemia, l’Atalanta ha acceso una luce di speranza, con le sue imprese, la generosità dei Percassi, di Gasp, dei giocatori per l’ospedale Giovanni XXIII, avamposto contro il virus. Letteralmente, l’Atalanta non ha mai smesso di correre.

Il dentista e gli analgesici

Dopo avere seguito la spettacolare esibizione dei nerazzurri con la Roma, Guardiola aveva sbottato: «Ma avete visto come gioca l’Atalanta? La squadra di Gasperini può battere chiunque». Anche i campioni di Germania nella finale di Europa League che partivano quali grandi favoriti. Visto, Gian Piero? Sei diventato il dentista del Grande Catalano, ti ha reso famoso con la sua metafora odontoiatrica, talmente azzeccata da fare il giro del mondo: «Affrontare l’Atalanta è come andare dal dentista: si soffre sempre». E non c’è analgesico che tenga. La verità è semplice: se Sacchi ha rivoluzionato il calcio e Guardiola l’ha cambiato, Gasperini sta accanto a loro, assurgendo a modello di caratura internazionale. La difesa a tre, con gli esterni che salgono a sostegno dell’azione offensiva e pronti a ripiegare sulla linea difensiva, portandola a cinque uomini; la marcatura uomo su uomo; le ripartenze veloci; il difensore centrale pronto ad avanzare a centrocampo; la vocazione offensiva di una squadra che, non paga di avere eliminato il Liverpool, pronti via e contro il Marsiglia ha schierato Koopmeiners, De Ketelaere, Scamacca e Lookman, tutti insieme appassionatamente dal primo minuto, tanto per far capire all’Om l’aria che tirava. Scamacca, ipse dixit: «Non sono mai stato così bene come da quando sono a Bergamo e all’Atalanta». Si vede: 18 gol, 7 assist, la Nazionale riconquistata. I suoi compagni di reparto, prima del calcio d’inizio a Dublino si sono presentati al Bayer con questi curricula: Koopmeiners, 15 gol e 7 assist; Lookman, 12 gol e 8 assist, De Ketelaere 14 gol e 9 assist. La metamorfosi di CDK è stata impressionante: da soggetto misterioso nel Milan a star della Dea. Gian Piero è sempre stato convinto che possa dare ancora di più. Non c’è niente da fare: come ti sistema il dentista di Zingonia, non ti sistema nessuno. Anche in Europa.

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Alza la Coppa, Gian Piero. Alzala e falla vedere al mondo perché hai superato due volte te stesso. Prima della finale, accarezzando l’Europa League, avevi detto: «Non sei un bravo allenatore se ottieni la vittoria, ma lo sei se riesci a superare i tuoi limiti». Ce l’hai fatta e pure in mondovisione, come questa impresa meritava. Il 22 maggio 2024, a Dublino hai scritto la storia: dell’Atalanta, la tua, di Antonio e Luca Percassi che hanno costruito questa società capolavoro; di Bergamo e dei bergamaschi che mai avevano provato una gioia simile nei 117 anni della loro amatissima Dea, da te portata per la quarta volta in Champions League nelle ultime sei stagioni. Hai fermato la corsa dei Bayerpanzer, neocampioni di Germania, presentatisi davanti a te dopo 51 partite di fila senza sconfitta, nuovo record mondiale. Hai infranto il tabù di questa Coppa che per l’Italia resisteva da venticinque anni, da quando la vinse il Parma di Alberto Malesani e il tuo tabù delle finali perché avevi perso le tre di Coppa Italia disputate negli ultimi cinque anni (eppure, per perdere una finale bisogna arrivarci. O no?).

Gasp, quante vittorie con l'Atalanta

Hai schiuso le porte alla sesta squadra tricolore nella prossima Champions League, un altro evento senza precedenti. Di vittorie alla guida dell’Atalanta ne hai firmate 200 in capo a 385 partite, percentuale per gli statistici: 52 per cento. Questa è la più preziosa, la più inseguita, la più esaltante. Te lo dimostra il delirio dei novemila bergamaschi sdilinquiti all’Aviva Stadium e non hai idea, o meglio ce l’hai eccome, di ciò che è accaduto e accadrà a Bergamo, sotto e sopra le Mura, nel maggio d’oro dell’Età dell’oro. Il fatto è che ce ne ha messo la Dea a cercare il tempo perduto rincorrendo la sua prima coppa europea: ci era andata vicina una volta sola, nell’88, con la doppia semifinale in Coppa delle Coppe, avversario il Malines che poi il trofeo lo vinse, battendo l’Ajax nella finale di Strasburgo. Trentasei anni sono stati molto lunghi da passare. Per l’esattezza, 36 anni, 1 mese e 3 giorni. Era il 20 aprile 1988, Bergamo, semifinale di ritorno, Atalanta-Malines 1-2 (Garlini, Rutjes, Emmers), allenatore Mondonico. Lassù, è da ieri sera che Emiliano sta festeggiando insieme con Achille e Cesare Bortolotti, Ivan Ruggeri, Mino Favini, Franco Previtali e tutti gli altri Immortali della Dea. In fondo, per dirla con Proust, interiore o esteriore che sia, il tempo perduto è legato al passato, ma è anche il tempo verso il quale tende il presente. Potrebbe essere più straordinario questo presente, Gian Piero?

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