Marotta: "Conte resta all'Inter. Io non tornerò alla Juve"

L'ad nerazzurro: "Ho buoni rapporti con i bianconeri tranne che con Paratici"
Marotta: "Conte resta all'Inter. Io non tornerò alla Juve"© Marco Canoniero/sync

Il giorno era il 30, il mese settembre, l’anno 2018, l’ora le 9 del mattino. Al telefono, la voce di Beppe Marotta tradiva tutta l’amarezza di chi, la sera prima, in diretta tv, suo malgrado aveva annunciato: «Il mio mandato di amministratore delegato della Juve scadrà il 25 ottobre, la società e gli azionisti stanno attuando una politica di rinnovamento. Nella lista dei nuovi candidati non ci sarà più il mio nome. Rimarrò al contempo nella Juve come direttore generale dell’area sport. Fino a quando? Questo è un accordo di cui parleremo col presidente. Smentisco categoricamente che io possa essere candidato alla Figc, in questo momento è un’esperienza che non mi tocca e quindi posso tranquillamente affermare che non sarò il candidato. La mia strada e quella della Juve si separano, è un dato di fatto, quindi non voglio aggiungere altro in questo momento. C’è in me anche un po’ di emozione, quindi evidentemente riprenderemo il discorso più avanti».

ALLE UNDICI DELLA SERA - Il discorso l’abbiamo ripreso ieri sera, quando non erano ancora scoccate le undici, prima che Beppe iniziasse il tour televisivo da neocampione d’Italia. Beffardo, il calcio. Con la Juve, Marotta ha vinto 7 scudetti, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe di Lega ed è arrivato a due finali di Champions League. Con l’Inter, lui, proprio lui, ex bianconero come l’allenatore dell’Inter tricolore, ha detronizzato la Juve ponendo fine al suo regno lungo nove anni, per usare il lessico di Conte. Ci diamo del tu perché ci conosciamo da quando frequentavamo il calciomercato a Villa d’Este, fine Anni Ottanta: lui direttore sportivo del Monza, io cronista. Chiama e subito fa: «Me la ricordo, sai, quella telefonata alle 9 del mattino...». Annuisco. Che cos’è per te questa impresa, Beppe? Una rivincita, una rivalsa, una rappresaglia nei confronti della Juve dopo quanto è accaduto due anni e otto mesi fa? «No, niente di questo: lo scudetto dell’Inter è un sogno diventato realtà. Immagino sarà gratificante tornare da campione d’Italia a Torino, sabato 15 maggio, per decidere il destino della Juve. È il bello dello sport». Il tono di Marotta è signorile, distaccato. Nessuna polemica verso il club di Agnelli, ma un distinguo sì: «L’esperienza torinese mi ha dato tanto, eccezion fatta per il congedo agrodolce, se così vogliamo definirlo. Sono rimasto in buoni rapporti con tutti, tranne con Paratici, però la questione è più umana che professionale. Sono un manager abituato ad accettare le scelte della società per la quale lavoro e così è stato in quel settembre del 2018, anche se onestamente non me l’aspettavo».

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IL FATTORE CONTE - Ti aspettavi, invece, che proprio tu e proprio Conte avreste firmato il diciannovesimo scudetto dell’Inter? «Francamente no, non così in fretta, non in meno di due anni. Voglio sottolinearlo ancora una volta e ancora con forza: il merito principale e straordinario di questa impresa deve essere ascritto ad Antonio. Lui, l’allenatore giusto preso al momento giusto. Questo tricolore nasce non soltanto dalla sua cultura del lavoro, dalla sua capacità di cementare un gruppo che, partita dopo partita, ha progressivamente creduto nelle proprie potenzialità e nelle proprie capacità. Nei mesi più delicati che abbiamo vissuto dall’inizio dell’anno, per via delle questioni societarie, Conte ha sapito isolare l’area sport dell’Inter, rendendola totalmente impermeabile alle situazioni esterne. In questo è stato formidabile e garantisco che non sarebbe stato facile per nessuno».

IO E IL COVID - Immagino sia stato molto duro per te vivere l’esperienza Covid... «Puoi giurarci. Ho passato tre settimane in ospedale. Il virus mi ha toccato in modo pesante. Mi ha spaventato e mi ha indotto a vedere la vita in un altro modo. Ecco, questo scudetto è ancora più bello per me proprio perché ho avuto il Covid, sono guarito e ora posso apprezzarlo ancora di più. Somiglia molto al primo titolo che Conte ed io vincemmo con la Juve: insperato, inatteso e per questo ancor più esaltante». In questi giorni delicati per la Juve c’è stato chi ha ipotizzato un tuo ritorno in bianconero... «Lo escludo. È un’eventualità mai presa in considerazione né, tantomeno, mai ho ricevuto richieste da Torino. C’è solo l’Inter». E adesso? «E adesso con Antonio vogliamo aprire un ciclo lungo e ricco di successo. La garanzia assoluta è lui. Ha inculcato nella squadra la mentalità vincente. Questo è il quinto titolo che vince in dieci anni. Conte è il migliore».

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Il giorno era il 30, il mese settembre, l’anno 2018, l’ora le 9 del mattino. Al telefono, la voce di Beppe Marotta tradiva tutta l’amarezza di chi, la sera prima, in diretta tv, suo malgrado aveva annunciato: «Il mio mandato di amministratore delegato della Juve scadrà il 25 ottobre, la società e gli azionisti stanno attuando una politica di rinnovamento. Nella lista dei nuovi candidati non ci sarà più il mio nome. Rimarrò al contempo nella Juve come direttore generale dell’area sport. Fino a quando? Questo è un accordo di cui parleremo col presidente. Smentisco categoricamente che io possa essere candidato alla Figc, in questo momento è un’esperienza che non mi tocca e quindi posso tranquillamente affermare che non sarò il candidato. La mia strada e quella della Juve si separano, è un dato di fatto, quindi non voglio aggiungere altro in questo momento. C’è in me anche un po’ di emozione, quindi evidentemente riprenderemo il discorso più avanti».

ALLE UNDICI DELLA SERA - Il discorso l’abbiamo ripreso ieri sera, quando non erano ancora scoccate le undici, prima che Beppe iniziasse il tour televisivo da neocampione d’Italia. Beffardo, il calcio. Con la Juve, Marotta ha vinto 7 scudetti, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe di Lega ed è arrivato a due finali di Champions League. Con l’Inter, lui, proprio lui, ex bianconero come l’allenatore dell’Inter tricolore, ha detronizzato la Juve ponendo fine al suo regno lungo nove anni, per usare il lessico di Conte. Ci diamo del tu perché ci conosciamo da quando frequentavamo il calciomercato a Villa d’Este, fine Anni Ottanta: lui direttore sportivo del Monza, io cronista. Chiama e subito fa: «Me la ricordo, sai, quella telefonata alle 9 del mattino...». Annuisco. Che cos’è per te questa impresa, Beppe? Una rivincita, una rivalsa, una rappresaglia nei confronti della Juve dopo quanto è accaduto due anni e otto mesi fa? «No, niente di questo: lo scudetto dell’Inter è un sogno diventato realtà. Immagino sarà gratificante tornare da campione d’Italia a Torino, sabato 15 maggio, per decidere il destino della Juve. È il bello dello sport». Il tono di Marotta è signorile, distaccato. Nessuna polemica verso il club di Agnelli, ma un distinguo sì: «L’esperienza torinese mi ha dato tanto, eccezion fatta per il congedo agrodolce, se così vogliamo definirlo. Sono rimasto in buoni rapporti con tutti, tranne con Paratici, però la questione è più umana che professionale. Sono un manager abituato ad accettare le scelte della società per la quale lavoro e così è stato in quel settembre del 2018, anche se onestamente non me l’aspettavo».

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