Il tema della specificità dell’ordinamento della Giustizia Sportiva è centrale.
«Io lo conosco bene il principio di autonomia degli ordinamenti che hanno delle proprie regole. Però c’è un articolo del codice sportivo, l’articolo 44, che dice che il processo sportivo si ispira al modello del giusto processo. E ce n’è uno solo, nel mondo occientale, di “modello di giusto processo”. È basato su poche regole. Peraltro una delle quali, fondamentale, è l’indipendenza dei giudici: non per niente di solito vincono dei concorsi e quindi sono indipendenti visto che lo Stato che li assume non li può licenziare. Qui invece abbiamo giudici e magistrati scelti per chiamata diretta... Ma vabbè, al di là di questo, ci sono delle regole del giusto processo alle quali ci si dovrebbe ispirare».
C’è altro che non la convince?
«Un’altra cosa che mi ha colpito è la motivazione della prima archiviazione. Rispetto alla prima sentenza del Tribunale Federale, avevano usato parole severe sostenendo che questa operazione di uso delle plusvalenze poteva essere considerata opaca, sbagliata, non corretta ma che non era sanzionabile per la mancanza di una norma apposita che dica che questa prassi delle plusvalenze a specchio è vietata. In linguaggio giuridico si parla di principio di legalità grazie al quale il cittadino ha diritto a sapere prima quali possano essere le conseguenze penali della sua condotta, non è che se le deve intuire, immaginare o le deve presumere. Ci deve essere una norma che dice: se ti comporti così, commetti un reato. La Corte d’appello, nella prima sentenza, l’ha sottolineato chiaramente. Dopodiché, sei mesi dopo, senza che una legge in merito sia arrivata, ha cambiato idea. E perché mai ? Perché arrivano le intercettazioni e il materiale da Torino? Poco cambia, se non c’è la norma, il problema non è risolto. Tanto è vero che il ministro Andrea Abodi ha dichiarato ancora in questi giorni che “dobbiamo fare una legge”. E dunque, se si deve fare una legge per vietare queste cose, allora vuol dire che fino ad oggi non c’è nulla che dica che questa prassi è una prassi illecita».
Secondo lei come andrà a finire?
«Non lo so proprio. Si figuri che io ero convinto che non sarebbe stata accolta la richiesta di revocazione... Però attenzione: se vengono lesi diritti fondamentali, anche i tesserati possono rivolgersi al giudice ordinario per chiedere i danni. Io sono convinto che se dovesse essere confermata questa sentenza probabilmente la Juventus perseguirebbe questa strada e si rivolgerebbe al Tar per essere risarcita del danno. Se un domani il giudice ordinario italiano o la Corte di Giustizia europea dovessero sanzionare la Figc per un danno arrecato, beh, questo segnerebbe la perdita di credibilità della Giustizia Sportiva. Questo processo, storico per la Juventus, forse porterà a una riforma di questo ordinamento. Me lo auguro. Il luogo comune del fare presto e in fretta perché lo spettacolo-calcio deve continuare può andar bene se dobbiamo discutere la partita, il fallo, l’ammonizione... Ma quando cominciamo a parlare di processi penali modello Calciopoli o plusvalenze, come questo, quel tipo di giustizia brutalmente spicciola non può funzionare. Infatti la gente è sconcertata, non comprende la disparità di trattamento».
I tifosi potrebbero fare qualcosa? Magari una class action?
«È interessante da pensare. Altro non immagino che possa accadere: non c’è una modalità di intervento del tifoso nel procedimento penale o sportivo. Ma appunto si può pensare, in un futuro, alla possibilità di una class action di tifosi che si ritengono danneggiati da un provvedimento disciplinare iniquo e chiedono il risarcimento dei danni lamentando e portando le prove. Potrebbe essere un ulteriore sviluppo di questa vicenda».