TORINO - Aggettivi a effetto come «inquietante», la parola «gravità» ripetuta quaranta volte in trentasei pagine e il colpo di scena delle «fatture corrette a penna» non riescono a rispondere ai perché che pendono ancora dalla sentenza che ha tolto quindici punti alla Juventus per la vicenda delle plusvalenze fittizie.
- 1. Perché proprio quindici punti? La Corte d’Appello Federale non lo spiega. Ci dice che devono essere di più di quanto richiesto dalla Procura, ma non spiega come arriva a quantificare proprio in quindici la penalizzazione. Sulla base di quale somma o calcolo si arriva lì? Non è proprio un dettaglio, visto che tabellari non esistono.
- 2. Perché le altre squadre coinvolte nel procedimento non vengono punite in nessun modo? La plusvalenza si fa in due, se la Corte accerta che quelle della Juventus sono fittizie, lo devono essere anche per le controparti che ne traggono ugualmente vantaggio. Eppure non ricevono neppure un’ammenda. La Corte scrive che mancano «evidenze documentali in grado di offrire certezza della sussistenza della violazione effettivamente contestata». In sostanza non ci sono intercettazioni o altri documenti che invece ci sono per la Juventus, intercettata dalla Procura di Torino. Ma non bastano le evidenze della Juventus? Se di «operazione a specchio» si tratta, perché questo specchio non riflette? In un altro passaggio la Corte scrive che è il numero e la sistematicità a incastrare la Juventus, mentre per gli altri club coinvolti ci sono poche operazioni. Ma può avere una logica giuridica che la stessa violazione reiterata più volte costi una pena durissima e commessa solo una volta non comporti nulla, nemmeno un’ammenda?
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Juventus condannata ma i 15 punti restano senza perché: trionfa la disparità
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I possibili scenari futuri