Plusvalenze, sistema Juventus o sistema Europa?

Ecco cosa dimostra uno studio di tre Università, che spiegano come è nato il fenomeno

TORINO - Lo hanno chiamato il “sistema Juve” e l’hanno tratteggiato come una diabolica macchina da plusvalenze. Il problema, almeno per chi non vuole fare finta di niente, è che forse sarebbe più onesto chiamarlo “sistema Europa”, perché le plusvalenze, in particolare quelle provenienti da scambi (quelle più sospette, insomma), sono un fenomeno diffusissimo in tutti e cinque grandi campionati. Non bastassero le esaurienti cronache di calciomercato, lo dimostra scientificamente uno studio condotto da tre professori e studiosi in ambito economico: Massimiliano Bonacchi (Professore Ordinario di Economia aziendale alla Libera Università di Bolzano), Fabio Ciaponi (Ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Aquila) e Antonio Marra (Direttore della Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo dell’Università Bocconi).

Cosa rivela lo studio

Il loro approfondito lavoro parte per analizzare gli effetti del FairPlay Finanziario sul mercato dei calciatori e arriva a cogliere una stortura involontariamente innescata dall’esigenza di rispettare i paletti di bilancio imposti ai club che vogliono partecipare alle coppe europee. «Abbiamo analizzato campagne trasferimenti e bilanci delle società partecipanti a campionati di “serie A” delle cinque principali leghe europee (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia) nel periodo dal 2008 al 2018. L’analisi di 815 bilanci e 4.626 operazioni di cessione di calciatori ha fatto emergere alcuni effetti indesiderati dell’introduzione del financial fair play (Ffp) da parte della Uefa (la norma è stata varata nel 2010 e a regime dal 2013). Con la nuova regolamentazione, l’Uefa mira sostanzialmente all’autofinanziamento del sistema calcio, alla riduzione del livello di indebitamento e a un reindirizzamento degli investimenti in infrastrutture, nonché a una migliore gestione dei vivai di giovani calciatori. Un ruolo chiave, nel Ffp, è affidato al requisito del break-even, che impone sostanzialmente la copertura dei costi con i ricavi, ossia il pareggio di bilancio. Proprio questa particolare imposizione può avere generato un effetto indesiderato».

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Gli scambi tra club

Questo effetto è un aumento delle operazioni di mercato e, all’interno di queste operazioni, l’aumento di quelle che generano plusvalenze e, ancora più specificamente, degli scambi fra giocatori, compresi quelli «a specchio». Insomma, il ragionamento degli studiosi è: la Uefa ha messi paletti, per rispettarli i club hanno sfruttato maggiormente il mercato, con tutte le sue possibilità. Ora, qui non ci interessa capire se la tesi è corretta (viene comunque molto ben documentata), quanto i freddi numeri che lo studio contiene, perché sono interessanti per capire quanto sia estesa la pratica delle plusvalenze. Dal 2014 al 2018, il valore degli scambi di giocatori fra club, nei cinque principali campionati europei, sono aumentati del 141% (passando da un valore medio di 4,6 milioni a 8,4); le plusvalenze generate da quel tipo di scambi è aumentato del 333% (da 2,12 milioni a 9,2) e se si isolano le plusvalenze generate da operazioni con giovani calciatori si registra un +101%.

Un problema europeo

Sono numeri enormi e, soprattutto, diffusi. Il problema delle plusvalenze gonfiate per dare ossigeno al bilancio non è di una sola squadra, ma è chiaramente un problema di sistema europeo e per risolverlo servono regole specifiche e possibilmente chiare più che condanne sommarie. Gli stessi professori, nelle loro conclusioni, segnalano come l’utilizzo eccessivo di plusvalenze da scambi possa generare problemi di equilibrio e sostenibilità per i bilanci dei club, suggerendo all’Uefa di non sottovalutare il fenomeno, che si è diffuso così ampiamente proprio perché non regolato da norme. La plusvalenza gonfiata, come spesso è stato detto e dimostrato, non è provabile in modo oggettivo e, quindi, non è stata mai punita, almeno fino al -15 inflitto alla Juventus, considerata colpevole di aver creato «un sistema». Ma davvero si può pensare che sia stata solo la Juventus a utilizzare intensivamente quel meccanismo, certamente pericoloso, ma a tutt’oggi non vietato? I numeri dicono altro.

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TORINO - Lo hanno chiamato il “sistema Juve” e l’hanno tratteggiato come una diabolica macchina da plusvalenze. Il problema, almeno per chi non vuole fare finta di niente, è che forse sarebbe più onesto chiamarlo “sistema Europa”, perché le plusvalenze, in particolare quelle provenienti da scambi (quelle più sospette, insomma), sono un fenomeno diffusissimo in tutti e cinque grandi campionati. Non bastassero le esaurienti cronache di calciomercato, lo dimostra scientificamente uno studio condotto da tre professori e studiosi in ambito economico: Massimiliano Bonacchi (Professore Ordinario di Economia aziendale alla Libera Università di Bolzano), Fabio Ciaponi (Ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Aquila) e Antonio Marra (Direttore della Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo dell’Università Bocconi).

Cosa rivela lo studio

Il loro approfondito lavoro parte per analizzare gli effetti del FairPlay Finanziario sul mercato dei calciatori e arriva a cogliere una stortura involontariamente innescata dall’esigenza di rispettare i paletti di bilancio imposti ai club che vogliono partecipare alle coppe europee. «Abbiamo analizzato campagne trasferimenti e bilanci delle società partecipanti a campionati di “serie A” delle cinque principali leghe europee (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia) nel periodo dal 2008 al 2018. L’analisi di 815 bilanci e 4.626 operazioni di cessione di calciatori ha fatto emergere alcuni effetti indesiderati dell’introduzione del financial fair play (Ffp) da parte della Uefa (la norma è stata varata nel 2010 e a regime dal 2013). Con la nuova regolamentazione, l’Uefa mira sostanzialmente all’autofinanziamento del sistema calcio, alla riduzione del livello di indebitamento e a un reindirizzamento degli investimenti in infrastrutture, nonché a una migliore gestione dei vivai di giovani calciatori. Un ruolo chiave, nel Ffp, è affidato al requisito del break-even, che impone sostanzialmente la copertura dei costi con i ricavi, ossia il pareggio di bilancio. Proprio questa particolare imposizione può avere generato un effetto indesiderato».

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