La giustizia sportiva impone logiche di diritto e di potere
Ancora una volta, la giustizia sportiva impone logiche di diritto e di potere. Il messaggio recapitato alla Juventus è di una grande compattezza del sistema che, non dovendo rispondere a un meccanismo giuridico rigoroso, può sfruttare l’evanescenza di un concetto come la “lealtà” per condannare anche in assenza di una norma che stabilisca i criteri per i quali una plusvalenza è fittizia e un’altra non lo è. E può giustificare l’assurdità di punire un solo club per una violazione che si commette in due. E può nascondere la coda di paglia di chi ha commesso le stesse identiche violazioni ma, agendo in città con Procure meno zelanti o con problemi più importanti, non è stato intercettato. Siamo sempre lì, alla fine, alla disparità di giudizio che avvelena e avvelenerà qualsiasi discussione, perché la giustizia per essere tale deve essere uguale per tutti. O quanto meno simile.
Invece, il senso di tutto sta nella psichedelica defi nizione di «dosimetria sanzionatoria» con la quale, si ha la sensazione, si voglia nascondere il più prosaico concetto di salumeria giudiziaria con la quale verranno ristabiliti i punti di penalizzazione e con la quale si imbastirà l’eventuale trattativa per la manovra stipendi. Sono venuti 12 punti, Signora, lascio?