Stipendi Juve, il retroscena: c'era ok di Chiné, il Coni ha bloccato tutto

C'era soddisfazione per la Procura Federale, ma il procedimento è stato rifiutato per un motivo. Oltre al club coinvolti 8 dirigenti. Ora il processo, però...

Patteggiamento fallito e Juventus deferita. O forse no, non è davvero andata così. Non sempre il sottobosco della giustizia sportiva segue un andamento logico e lineare, infatti. E questo parrebbe proprio uno di quei frangenti. Secondo le ricostruzioni intorno all’atto con cui ieri il procuratore federale Giuseppe Chiné ha deferito la Juventus e otto suoi dirigenti o ex dirigenti per il secondo filone dell’indagine – quello sulle manovre stipendi 2019-20 e 2020-21, sui rapporti con gli agenti e le partnership sospette – un precedente accordo tra le parti sarebbe stato anche trovato. Per la soddisfazione della Procura Federale e per quella della Juventus, naturalmente. Il contenuto dell’intesa, non essendo ancora stato istituito il processo, è però dovuto passare al vaglio della Procura Generale del Coni, che ha posto una sola, ma dirimente, obiezione: quella della recidiva, dato che le violazioni riguardo il secondo fascicolo si sovrapporrebbero perfettamente a quelle del primo. Articolo 4.1 prima e articolo 4.1 dopo.

Un problema non insormontabile, ma risolvibile solamente con un’apposita argomentazione che però, forse per il timore di esporsi troppo, la Procura Federale non avrebbe presentato. Rendendo così inevitabile il deferimento arrivato ieri, un atto dovuto alla luce delle evoluzioni. Così, a titolo di responsabilità diretta e oggettiva, al club bianconero è stata contestata la violazione dell’articolo 6, mentre il già citato articolo 4.1, quello sulla lealtà sportiva, è stato addebitato ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved, Fabio Paratici, Federico Cherubini, Giovanni Manna, Paolo Morganti, Stefano Braghin e Cesare Gabasio.

 

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Patteggiamento si può riproporre

L’accordo, secondo quanto ricostruito, sarebbe stato trovato principalmente se non esclusivamente sotto forma di sanzione economica, e non è escluso che ora non venga riproposto. Arrivato l’atto di deferimento, infatti, il patteggiamento può questa volta essere proposto direttamente al Tribunale Federale, aprendo una vera e propria partita a scacchi. L’organo potrebbe infatti rispondere allo stesso modo della Procura Generale del Coni, ma anche accettare la pena concordata soprattutto se – questa volta – adeguatamente argomentata. Una pena che, dopo il deferimento, potrebbe risultare leggermente meno conveniente alla Juventus, per altro di fronte a un altro bivio.

Procedere con l’applicazione di sanzione su richiesta delle parti dopo aver ricevuto un’incolpazione, infatti, avrebbe come conseguenza quella di doversi poi presentare davanti alla giustizia ordinaria con una sorta di ammissione di colpa alle spalle. La via alternativa, altrimenti, resta quella del processo, con effetti verosimilmente destinati a ricadere sulla prossima stagione. Verosimilmente, ma non sicuramente. Un iter molto snello e rapido, infatti, potrebbe portare a una sentenza di primo grado di giudizio entro il 30 giugno: dovendo le sanzioni della giustizia sportiva essere immediatamente esecutive, non si può escludere che la pena ricada sul campionato corrente. Facile, in ogni caso, che la situazione inizi a schiarirsi dopo la giornata di lunedì, quando la Corte Federale d’Appello rimotiverà ed eventualmente rimodulerà la penalizzazione di 15 punti legata al filone d’inchiesta sulle plusvalenze.

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Stipendi Juve, il caso Lombardo

Nel mirino della Procura Federale, grazie alla corposa documentazione inviata dai pm di Torino, sono finite le due manovre stipendi coinvolgendo le figure di Agnelli e Paratici (per entrambe) e quella di Nedved (per la seconda). Per i rapporti con gli agenti deferiti Cherubini, Manna, Morganti e Braghin, per le partnership sospette, infine, Paratici e Gabasio.

 

Stupisce come non compaia invece il nome di Maurizio Lombardo, all’epoca segretario del club, che - ascoltato dalla Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta Prisma - aveva confessato di custodire le side letter non depositate in Lega e aveva accusato anche Beppe Marotta, coinvoto nella recompra di Mandragora dall’Udinese.

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Patteggiamento fallito e Juventus deferita. O forse no, non è davvero andata così. Non sempre il sottobosco della giustizia sportiva segue un andamento logico e lineare, infatti. E questo parrebbe proprio uno di quei frangenti. Secondo le ricostruzioni intorno all’atto con cui ieri il procuratore federale Giuseppe Chiné ha deferito la Juventus e otto suoi dirigenti o ex dirigenti per il secondo filone dell’indagine – quello sulle manovre stipendi 2019-20 e 2020-21, sui rapporti con gli agenti e le partnership sospette – un precedente accordo tra le parti sarebbe stato anche trovato. Per la soddisfazione della Procura Federale e per quella della Juventus, naturalmente. Il contenuto dell’intesa, non essendo ancora stato istituito il processo, è però dovuto passare al vaglio della Procura Generale del Coni, che ha posto una sola, ma dirimente, obiezione: quella della recidiva, dato che le violazioni riguardo il secondo fascicolo si sovrapporrebbero perfettamente a quelle del primo. Articolo 4.1 prima e articolo 4.1 dopo.

Un problema non insormontabile, ma risolvibile solamente con un’apposita argomentazione che però, forse per il timore di esporsi troppo, la Procura Federale non avrebbe presentato. Rendendo così inevitabile il deferimento arrivato ieri, un atto dovuto alla luce delle evoluzioni. Così, a titolo di responsabilità diretta e oggettiva, al club bianconero è stata contestata la violazione dell’articolo 6, mentre il già citato articolo 4.1, quello sulla lealtà sportiva, è stato addebitato ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved, Fabio Paratici, Federico Cherubini, Giovanni Manna, Paolo Morganti, Stefano Braghin e Cesare Gabasio.

 

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