Bremer, rivincita personale: quella gelida notte è un lontano ricordo

Il brasiliano ha trasformato Osimhen da incubo a sparring partner: "Importante non subire gol"

Tra l’arioso trionfo azzurro dello scorso gennaio e il granitico successo bianconero di venerdì sera non intercorrono “soltanto” 329 giorni. C’è di mezzo un’altra stagione, differente per definizione da quella precedente e da quella successiva. C’è di mezzo un’altra Juve, trasformata paradossalmente da un mercato mai così avaro di operazioni in entrata, oltre che un altro Napoli. E c’è di mezzo, anche se non soprattutto, un altro Bremer. Nel suo caso, più che mai, tra Napoli-Juventus e Juventus-Napoli ci passa una vita intera, altroché qualche mese.

Il duello con Osimhen

Il brasiliano, d’altronde, ha la data del 13 gennaio ancora cerchiata di rosso sul calendario in bella mostra in salotto, nella pre-collina torinese. Per motivarsi, per spingersi ogni giorno oltre i propri limiti. Ripensando alla fredda notte del Maradona, diventata d’un tratto gelida: il brasiliano aveva perso Osimhen sul primo gol, si era trasformato in birillo in occasione del secondo, aveva offerto il quarto in sacrificio perdendo un sanguinoso pallone in uscita. Di gran lunga la peggior prestazione in maglia bianconera, al punto che gli erano stati predetti per lungo tempo incubi notturni nel segno del bomber nigeriano. Ecco: insomma… Nemmeno un anno più tardi, infatti, la gara dello Stadium ha ribaltato quel mondo. Con la criniera leonina dell’attaccante azzurro divenuta all’improvviso il ciuffetto di un innocuo micio, governato per terra e per aria dai muscoli e dal tempismo di Bremer. Che ha trasformato la dolce serata torinese in una gustosa rivincita personale, oltre che nell’ennesima conferma collettiva di anti-Inter designata.

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Maturazione

In virtù di un percorso di maturazione tanto evidente quanto ancora incompleto: «Lo scorso era il suo primo anno alla Juve, normale stia crescendo in personalità e sicurezza: ha ancora margini spaventosi», aveva assicurato Allegri pochi giorni fa soltanto. Il big match contro i campioni in carica ha confermato tutto: i progressi e anche i margini, dato che una sua uscita alta avventata ha creato l’autostrada non sfruttata da Kvaratskhelia nel primo tempo. «Vittoria importantissima contro un’avversaria difficile, per di più senza subire gol», la sua esultanza ieri sui media brasiliani. Allegri alza lo sguardo all’orizzonte e punta alla trasferta di venerdì contro il Genoa sapendo di poter fare totale affidamento sul suo perno difensivo, che finora ha saltato appena 6’ in stagione nel finale della gara di Bergamo. E sapendo che ritroverà Weah, che ieri alla Continassa ha lavorato parzialmente in gruppo e che a Marassi sarà almeno in panchina.

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Tra l’arioso trionfo azzurro dello scorso gennaio e il granitico successo bianconero di venerdì sera non intercorrono “soltanto” 329 giorni. C’è di mezzo un’altra stagione, differente per definizione da quella precedente e da quella successiva. C’è di mezzo un’altra Juve, trasformata paradossalmente da un mercato mai così avaro di operazioni in entrata, oltre che un altro Napoli. E c’è di mezzo, anche se non soprattutto, un altro Bremer. Nel suo caso, più che mai, tra Napoli-Juventus e Juventus-Napoli ci passa una vita intera, altroché qualche mese.

Il duello con Osimhen

Il brasiliano, d’altronde, ha la data del 13 gennaio ancora cerchiata di rosso sul calendario in bella mostra in salotto, nella pre-collina torinese. Per motivarsi, per spingersi ogni giorno oltre i propri limiti. Ripensando alla fredda notte del Maradona, diventata d’un tratto gelida: il brasiliano aveva perso Osimhen sul primo gol, si era trasformato in birillo in occasione del secondo, aveva offerto il quarto in sacrificio perdendo un sanguinoso pallone in uscita. Di gran lunga la peggior prestazione in maglia bianconera, al punto che gli erano stati predetti per lungo tempo incubi notturni nel segno del bomber nigeriano. Ecco: insomma… Nemmeno un anno più tardi, infatti, la gara dello Stadium ha ribaltato quel mondo. Con la criniera leonina dell’attaccante azzurro divenuta all’improvviso il ciuffetto di un innocuo micio, governato per terra e per aria dai muscoli e dal tempismo di Bremer. Che ha trasformato la dolce serata torinese in una gustosa rivincita personale, oltre che nell’ennesima conferma collettiva di anti-Inter designata.

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