Allegri inizia a salutare la Juve: avviso sul futuro e messaggio tra le righe

Il tecnico lancia un monito all’ambiente bianconero che, in questo momento, lo individua come la causa di tutti i mali. E lo fa da juventino autentico

«Sono dieci anni che vivo a Torino e per otto ho allenato la Juventus. Ho avuto la fortuna di far parte di questa famiglia e di questo club che ha un DNA unico. Difficilmente potrà essere cambiato, può essere modellato ma non cambiato. Il DNA di ogni società va sempre rispettato». Così ha parlato Massimiliano Allegri.

Allegri e il DNA Juve

E suona come l’inizio di un saluto, ma senza dubbio è un avviso nel quale riecheggiano le parole della famosa conferenza del 18 maggio 2019 (quella del «Se non vincono mai ci sarà un motivo»). Un avviso a chi sta progettando il futuro del club e, in fondo, al suo successore, chiunque esso sia. Perché secondo Allegri il DNA della Juventus, «che non si può cambiare», ha una carattere dominante ed è il pragmatismo agonistico teso sempre e comunque alla vittoria, mai all’estetica (quindi Thiago Motta, o chi per lui, sarà chiamato a vincere non a dare spettacolo). E quello stesso codice genetico prevede che lo spessore tecnico e caratteriale dei giocatori debba, necessariamente, essere “da Juve”, perché quella maglia pesa tantissimo.

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Allegri, messaggio da juventino vero

Insomma, senza specificare se continuerà o meno a esserne l’allenatore (le possibilità di conferma, tuttavia, sono davvero poche), Allegri lancia un monito all’ambiente bianconero che, in questo momento, lo individua come la causa di tutti i mali. E lo fa da juventino autentico, Max, perché effettivamente è dura contestarne la juventinità, visto che nel corso dei suoi otto anni ha impersonato la filosofia del club. Allegri è stato il Trapattoni del terzo millennio, incarnandone pregi e difetti, ma soprattutto venendo colpito dagli stessi anatemi (nota bene: ora il Trap è giustamente riverito, ma negli Anni 80 veniva trattato come Allegri, solo senza l’aggravante tossica dei social network).

Allegri, il ciclo è finito

La campagna d’odio nei suoi confronti è una delle ingiustizie più insensate che i nuovi media hanno perpetrato nella loro breve storia. E non è solo una questione di ingratitudine, ma è pure fuorviante perché nel monopolizzare il dibattito juventino, l’Allegrioutismo ha finito per oscurare gli altri problemi della squadra e della società. Così, pensare che basti l’esonero dell’allenatore significa sottovalutare clamorosamente le difficoltà che la Juventus deve superare per tornare a essere vincente. Certo, il ciclo di Allegri è finito. E se l’odio è immeritato, nascondere le sue responsabilità nello sgretolamento tecnico che ha eroso la Juventus negli ultimi tre anni sarebbe un imperdonabile negazionismo calcistico.

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Juve, il ritorno e la rifondazione tecnica

Sì, Allegri ha tenuto insieme la baracca e navigato sicuro in acque agitate, ma ha offerto uno spettacolo che non può essere sempre giustificato con il pragmatismo perché, troppo spesso, è mancato l’agonismo, la voglia di vincere, la capacità di reagire, quel tremendismo che, secondo il tifoso juventino, è il “vero” DNA del club (tanto per rimanere in tema di genetica calcistica). Il modo con cui la Juventus si è disintegrata in questo girone di ritorno è emblematico del fatto che sia necessario cambiare, che Allegri - al netto del valore tecnico dei singoli - non sia riuscito a far superare ai suoi il trauma della lotta scudetto, sfumata a San Siro il 4 febbraio. Vivacchiare a caccia di un quarto posto anche la prossima stagione rischia di corrodere ancora di più l’entusiasmo dei tifosi e rimandare di un anno un’indispensabile rifondazione tecnica.

Futuro Juventus: servono obiettivi chiari

Rifondazione che può avvenire solo se, compatibilmente con le finanze, verrà alzato il livello tecnico della squadra (soprattutto a centrocampo) e verrà ritrovata una diffusa disciplina. Quella, per intendersi, che dalla dirigenza scende per gradi fino allo spogliatoio, rendendo granitico il club. Servono, insomma, obiettivi chiari e condivisi a tutti i livelli, spiegati bene anche all’esterno e perseguiti con severa compattezza. Al netto del DNA di cui parla Allegri, le Juventus che hanno vinto, da quella di Edoardo Agnelli a quella di Andrea Agnelli, passando per Boniperti e Giraudo/Moggi, avevano una guida salda, un progetto chiarissimo e un rigore inflessibile nell’applicare le leggi del club.

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«Sono dieci anni che vivo a Torino e per otto ho allenato la Juventus. Ho avuto la fortuna di far parte di questa famiglia e di questo club che ha un DNA unico. Difficilmente potrà essere cambiato, può essere modellato ma non cambiato. Il DNA di ogni società va sempre rispettato». Così ha parlato Massimiliano Allegri.

Allegri e il DNA Juve

E suona come l’inizio di un saluto, ma senza dubbio è un avviso nel quale riecheggiano le parole della famosa conferenza del 18 maggio 2019 (quella del «Se non vincono mai ci sarà un motivo»). Un avviso a chi sta progettando il futuro del club e, in fondo, al suo successore, chiunque esso sia. Perché secondo Allegri il DNA della Juventus, «che non si può cambiare», ha una carattere dominante ed è il pragmatismo agonistico teso sempre e comunque alla vittoria, mai all’estetica (quindi Thiago Motta, o chi per lui, sarà chiamato a vincere non a dare spettacolo). E quello stesso codice genetico prevede che lo spessore tecnico e caratteriale dei giocatori debba, necessariamente, essere “da Juve”, perché quella maglia pesa tantissimo.

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