Manuel Locateli, buongiorno. Cominciamo dai suoi inizi da bambino. Chi credeva in lei? Quando ha capito che sarebbe riuscito a sfondare? Chi sognava di diventare?
«I miei genitori sono sempre stati i primi a credere in me e hanno fatto tanti sacrifici per portarmi agli allenamenti. Sopratutto da Lecco a Zingonia quando ero nelle giovanili dell’Atalanta. A volte mio papà, mia mamma o mia nonna quando non c’era il pulmino della società. Quando dopo sono passato alle giovanili del Milan c’era sempre il bus del club ma mia mamma mi portava comunque la pasta che mangiavo in macchina con lei. Sono anni che rimarranno per sempre nella mia mente, ricordo tutti i compagni di allora, molti non ce l’hanno fatta e con tanti sono rimasto in contatto. Sì, c’è stato un momento in cui ho capito che avrei potuto farcela: ero in Primavera al Milan, la mia seconda stagione, c’era Brocchi in panchina e nonostante fossi sotto età mi diede la fascia di vicecapitano. Stavo veramente bene, mi sentivo in forma, venivo ogni tanto convocato per gli allenamenti con la prima squadra e mi dicevo “Dai Manuel che ce la facciamo!”. Ho cambiato molto l’atteggiamento, soprattutto negli allenamenti. Negli anni prima non ero riuscito a far mia totalmente la cultura del lavoro: qualche stiramento di troppo e non sempre al 100% concentrato. Poi sono stato fortunato, nel Milan, a fine stagione, con Brocchi in panchina in prima squadra ho esordito in A. Non avevo un idolo di riferimento ma un sogno solo: diventare un giocatore di Serie A e della Juve. Un sogno realizzato grazie a me, alla mia famiglia, a Dio. Ammiravo Del Piero, Nedved e Totti, quando ho visto qui per la prima volta Pavel mi sono emozionato. Sono fanatico di calcio e negli ultimi anni ho seguito tantissimo Kroos, un centrocampista pazzesco».
Anche suo papà è allenatore?
«Mi allenava nella squadra dell’oratorio, è convinto di essere un allenatore come tutti in Italia, si chiama Emanuele. Mi faceva usare tanto il sinistro».
Come mai un milanese cresciuto nel Milan che tifa Juve?
«Io non sono milanese, sono di Lecco. Che è a 40 km da Milano e fa provincia. E poi tutta la mia famiglia è juventina».
Quanto c’è di passione ancora in quello che è diventato un lavoro? E dove e quando la riscontra questa passione?
«Io la vivo tutti i giorni e lo dico col cuore. Ogni giorno che arrivo al campo sono contento di allenarmi, di fare lavoro in più in palestra, per me è tanta passione. Mi piace guardare le partite, la Champions League ma anche i match di Serie B. Amo il calcio, guardo gli altri calciatori».