La Juventus vola in Borsa, con la chiusura ieri a Piazza Affari a +9,52%, raggiungendo i massimi dal 2008: a spingere in alto il titolo è stata sicuramente la vittoria nel derby d’Italia e l’approdo alla fatidica quarta posizione in campionato che garantisce la Champions della prossima stagione. Ma è indubbio che molto movimento è stato generato dall’ingresso nel capitale bianconero di Tether, la società che emette la stablecoin (cioè una criptovaluta) più usata al mondo con circa 400 milioni di persone. Un vero e proprio colosso del settore, con una capitalizzazione di mercato di 142 miliardi di euro e un utile nel 2024 di 13,7 miliardi di dollari: numeri che fotografano un folgorante successo che da tempo suscita interesse negli ambienti finanziari e da qualche giorno tra quelli della tifoseria juventina.
Stablecoin
Ma cos’è una “stablecoin”? Il funzionamento è semplice: si tratta di una criptovaluta che ha (o dovrebbe avere) un corrispettivo di una motena reale: cioè per ogni dollaro virtuale emesso, deve esserci un dollare reale nelle casse di Tether, che investe i guadagni in prodotti finanziari a basso rischio (per esempio nel caso di Tether: buoni del tesoro americani, a tal punto che è il 20° detentore del debito Usa). Lo stesso ad Paolo Ardoino, si è vantato che la società genera più profitti per dipendente di qualsiasi altra azienda e che nel 2023, attraverso la rete Tether, è passata una quantità di denaro quasi pari a quella delle carte Visa. A differenza del Bitcoin, la stablecoin è ancorata ad un asset (spesso il dollaro statunitense) in grado di garantire una certa stabilità. La criptovaluta non è esente da controversie, soprattutto di trasparenza visto che la stablecoin viene usata nei Paesi colpiti dalle sanzioni statunitensi per aggirare la normativa. I cripto-trader in Russia, per esempio, stanno facilitando lo scambio di rubli con stablecoin per eludere le restrizioni economiche imposte dopo l’invasione dell’Ucraina.
