Danilo a nudo da Perin: "Mi massacravo. Fischi alla Juve, ho capito una cosa"

L'ex capitano della Vecchia Signora ha ripercorso diverse tappe della sua carriera con il portiere bianconero: dagli esordi all'esperienza in Europa

Danilo è stato ospite di Più Podcast, format realizzato da Mattia Perin per parlare della mentalità e del percorso di crescita di grandi sportivi. Come primo calciatore, dopo aver avuto figure come Marcell Jacobs, il portiere della Juventus ha voluto invitare il suo ex capitano in un'intervista realizzata prima del ritorno in Brasile a gennaio. Il difensore si è raccontato partendo dagli inizi in Sudamerica fino al trasferimento in Europa prima al Porto e poi al Real Madrid, in una carriera straordinaria intervallata da tanti momenti difficili.

Danilo e gli inizi in Brasile: "Non avevamo la colazione"

Danilo è partito parlando delle sue origini: "Vengo da un paesino di 15mila abitanti in Brasile. Non ho mai pensato di fare altro se non il calciatore, ma ho dovuto faticare durante il percorso. Ho iniziato all’Atletico Mineiro che aveva tante difficoltà nel 2005, sono andato via di casa che avevo 13 anni. Volevo diventare un calciatore importante ed aiutare la mia famiglia. È un motivo di orgoglio portare il nome del mio paese in tutto il mondo. Sono stato all’Atletico Mineiro fino al 2010, c’erano mattine che non avevamo neanche la colazione. Potevamo scegliere di non allenarci, ma io andavo lo stesso e davo rassicurazioni alla mia famiglia. In Brasile la maggior parte dei calciatori che diventa professionista ha vissuto difficoltà, penso sia stato quello a farmi diventare forte e resiliente".

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Danilo: "A 16 anni il primo momento di svolta"

Il brasiliano ha poi raccontanto molto chiaramente il primo grande momento di svolta della sua carriera: "C’era stata una volta in cui dovevamo fare un allenamento di corsa e io di solito arrivavo tra gli ultimi. Ad un certo punto ho però detto di voler cambiare, di voler essere il primo. Avevo 16 anni, gli allenatori erano sorpresi. Da lì in poi ho stabilito uno standard del mio lavoro, non potevo tornare indietro. Quel giorno lì mi ha cambiato. Il calcio ci fa maturare troppo presto, pensavo fosse già tardi per arrivare. La parola sacrificio è stata sempre presente nella mia vita, senza non è possibile raggiungere degli obiettivi importanti nella vita. Nel 2009 sono arrivato così in prima squadra e poi un anno dopo sono andato al Santos, ho segnato anche in finale di Copa Libertadores".

Danilo svela: "Porto? Pensavo sempre di tornare in Brasile"

Spazio poi al passaggio in Europa al Porto: "Da lì a 20 anni sono andato al Porto per tre anni e mezzo ed è stato difficile nonostante abbia iniziato a guadagnare e ad avere una vita tranquilla. Sono stato comprato per 18 milioni di euro, ero tra i più costosi della storia del club. Al primo anno non sono riuscito a rispettare le aspettative, i tifosi mi contestavano. Ogni giorno pensavo di tornare in Brasile dove avevo giocato già in una squadra importante ed ero nel giro della nazionale. Ho pensato però che per diventare veramente un calciatore importante non potevo tornare indietro, volevo essere qualcosa in più. Così ho iniziato a guardare i calciatori più esperti che giocavano bene ogni partita ed è stata la mia fortuna. In Brasile arrivavo agli allenamenti 5 minuti prima che iniziassero, mentre in Portogallo dovevo arrivare un’ora e mezza prima e non capivo perché, stavo ad aspettare con il telefono in mano. I calciatori più importanti invece trovavano sempre qualcosa da fare tra palestra e fisioterapia, così ho iniziato a farlo anch’io quasi per inerzia. Loro si allenavano come se fosse la partita, ho imparato che dovevo farlo anch'io. Il Porto mi ha dato tanto, dopo il primo anno ho iniziato a giocare bene".

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"Ricordo i fischi del Bernabeu"

Dal Porto arriva quindi il grande salto al Real Madrid: "Sono arrivato alla squadra che mediaticamente e per trofei è la più importante al Mondo. Il mio percorso è stato sempre crescente, nella mia testa era la carriera perfetta. Dopo il primo anno di ambientamento è stato però veramente difficile. Non mi riconoscevo come calciatore e persona, non riuscivo ad esprimermi per quello che era il mio talento. Ogni tanto facevo delle scelte e dei passaggi in campo che non volevo veramente fare. Mi massacravo perché avevo tutto: soldi, club, stavo bene fisicamente. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Provavo nervosismo, ansia e paura di sbagliare, dopo arrivava anche la frustrazione. In questi momenti però la vita ci dà dei regali importanti. Nel mio caso Luca Silva, un centrocampista brasiliano del Real Madrid che ha avuto dei problemi di cuore, mi ha consigliato uno psicologo dello sport da cui andava. All’inizio ho pensato che non era il caso, ma ho accettato per rispetto. La prima cosa che mi ha insegnato è stata la respirazione, perdevo energia respirando nel modo sbagliato. Poi in campo pensavo a tante altre cose, così mi ha consigliato di scriverle sul telefono e pensarci dopo. Poi mi ha dato dei piccoli obiettivi obiettivi da raggiungere nella partita. Ho capito subito che i suoi consigli stavano funzionando e ho ritrovato il sorriso giocando a calcio".

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"Il problema era dentro di me"

Danilo ha proseguito: "Era tornato il bambino che ha iniziato per strada in Brasile, ho capito che potevo portarlo al Bernabeu. Era lo stesso periodo in cui è nato il mio primo figlio. Mi è piaciuto tanto il lavoro con questo psicologico, capire come funziona il nostro cervello. Da lì ho iniziato a leggere ed informarmi. Ho capito che il problema non era il Real, ma era dentro di me. Prima di capirlo sarei voluto andare via a tutti i costi, ma non sarebbe cambiato niente. Per fortuna il presidente non mi ha lasciato partire. Poi sono comunque andato via alla fine del secondo anno, ma è stato diverso. Lo avevo scelto io e avevo ritrovato me stesso, ero tranquillo. Mi ricordo un ottavo di finale di Champions League con il Real Madrid. Giocavamo contro il Wolfsburg in Germania e abbiamo perso 2-0, giocando malissimo. Tutti ce l’avevano con me, con la mia prestazione. Nel weekend sono andato in panchina in campionato e sono entrato al ‘70. Tutto il Bernabeu mi fischiava e avevo paura anche solo nel toccare la palla. A quel punto potevo accettare la sconfitta o reagire. Ho fatto quindi quei 20 minuti come se fosse stata la finale di Champions ed è stata una vittoria personale importante, a fine partita tutti mi hanno applaudito. Oggi giocando alla Juve e col Brasile, dove la pressione è massima, capita che la gente ci fischi come squadra o singoli. Io in quei momenti riesco però a capire come cambiare la situazione".

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Il passaggio al Manchester City e alla Juve

Quindi il Manchester City e la Juventus, ultime due tappe in Europa: "Fino a quel momento la mia carriera è stata sempre in crescendo. Il City non dico che sia stato un passo indietro, ma è stato sicuramente un cambiamento rispetto al Real Madrid. I due anni in Inghilterra sono stati belli, ma poi ho dovuto cambiare ancora andando alla Juve. La vita non è lineare, ci sono tanti cambiamenti. Io li ho sempre accettati, mi davano un po’ di paura, ma anche motivazione ed eccitazione. Oggi sono arrivato ad essere il capitano del Brasile e della Juve e quando guardo indietro mi dico: 'Menomale che ho avuto tutti quelle difficoltà, altrimenti non sarei arrivato qui'. La vita è incertezza ed è una parte molto importante della nostra crescita".

Danilo e il sogno per il futuro

Danilo ha infine svelato il suo grande obiettivo per il futuro: "Voglio riuscire a trasmettere le cose che ho imparato nella vita calcistica a più persone possibili, principalmente ai bambini. Io sono un appassionato di psicologia infantile, il rapporto con i bambini è una cosa bella perché loro vivono nel loro mondo. Noi calciatori possiamo avere un impatto importante con le nostre parole, dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilità".

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Danilo è stato ospite di Più Podcast, format realizzato da Mattia Perin per parlare della mentalità e del percorso di crescita di grandi sportivi. Come primo calciatore, dopo aver avuto figure come Marcell Jacobs, il portiere della Juventus ha voluto invitare il suo ex capitano in un'intervista realizzata prima del ritorno in Brasile a gennaio. Il difensore si è raccontato partendo dagli inizi in Sudamerica fino al trasferimento in Europa prima al Porto e poi al Real Madrid, in una carriera straordinaria intervallata da tanti momenti difficili.

Danilo e gli inizi in Brasile: "Non avevamo la colazione"

Danilo è partito parlando delle sue origini: "Vengo da un paesino di 15mila abitanti in Brasile. Non ho mai pensato di fare altro se non il calciatore, ma ho dovuto faticare durante il percorso. Ho iniziato all’Atletico Mineiro che aveva tante difficoltà nel 2005, sono andato via di casa che avevo 13 anni. Volevo diventare un calciatore importante ed aiutare la mia famiglia. È un motivo di orgoglio portare il nome del mio paese in tutto il mondo. Sono stato all’Atletico Mineiro fino al 2010, c’erano mattine che non avevamo neanche la colazione. Potevamo scegliere di non allenarci, ma io andavo lo stesso e davo rassicurazioni alla mia famiglia. In Brasile la maggior parte dei calciatori che diventa professionista ha vissuto difficoltà, penso sia stato quello a farmi diventare forte e resiliente".

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