Murgia: "Per quel gol alla Juve, a Roma mi fermano ancora per strada"

"Ho due sogni: un trofeo in Romania e tornare alla Lazio. Chiuderei così un cerchio"

Ha già iniziato il suo campionato. Con una vittoria: un secco 4-1 rifilato al Metaloglobus, piccola squadra di Bucarest. Per Alessandro Murgia un positivo spezzone nel secondo tempo, ora che indossa la maglia dell’U Cluj, club che punta a vincere in Romania. Per tutti, però, il centrocampista classe ’96 è rimasto scolpito nella memoria per una notte da eroe: quella del gol decisivo nella Supercoppa Italiana del 2017. Il 3-2 alla Juventus, infatti, porta la firma di Murgia. In pieno recupero, in una gara destinata ai supplementari. Nella storia della Lazio, da quel momento, occuperà per sempre un posto di prestigio. Alessandro, ancora qualche giorno e saranno passati 8 anni dalla notte che le ha cambiato la vita. Che emozioni le regala ancora la serata del 13 agosto 2017? «È passato tanto tempo, ma la sensazione che ti può dare un trofeo è indescrivibile. Vincere crea dipendenza, mi dà continui stimoli per riprovarci. Quella partita contro la Juventus mi ha donato convinzione e forza, mi ha regalato la consapevolezza di voler sempre pormi grandi obiettivi».

Qual è la prima immagine che le viene in mente?

«In Supercoppa Italiana c'era la rete della porta coi colori della bandiera italiana. Ricordo ancora il pallone che entra in porta: mi sento come se avessi segnato ieri quel gol decisivo. Poco dopo salto i cartelloni e vado sotto la Curva, ma faccio fatica a memorizzare quegli istanti: troppa adrenalina. Poi, tornati in campo, vedo Immobile a bocca aperte e Radu emozionato come un bambino. E poi l'abbraccio con Simone Inzaghi, per me era come abbracciare un padre. Era orgoglioso di me, ha sempre creduto che potessi fare grandi cose. Il mister è un lavoratore maniacale, la mia stima per lui è infinita: a volte messaggia ancora con mio padre. Anche nei confronti di Tare nutro ancora un affetto profondo».

E i giorni successivi? Come li ha gestiti?

«Sono cresciuto nella Lazio e sono tifoso biancoceleste da sempre, mi vedevano come un idolo. Mi fermavano. Ho dei bellissimi ricordi, ma non è stato facile gestire l'attenzione di quei giorni. Oggi, però, mi manca la pressione della grande città che vive di calcio».

La sua poteva essere una favola, invece la realtà le ha creato un percorso alternativo. Nel 2019 lei lascia il nido biancoceleste per la Spal. Le è rimasto un po' di rammarico?

«Ho sempre creduto che nella vita ci siano delle fasi. Se oggi sono questo significa che doveva andare così. Non ho rimpianti: ho cercato di essere sempre lucido. Anche se a volte alcune letture sbagliate mi hanno penalizzato: nel 2019, per esempio, ho sbagliato a slegarmi dalla Lazio. Volevo giocare, sentivo l'esigenza di avere minuti e così scelsi di entrare nell'operazione con la Spal che ai tempi portò Manuel Lazzari a Roma. A Ferrara ho trovato un ottimo ambiente e una buona squadra, ma siamo poi retrocessi. Alla Lazio c'erano Lucas Leiva, Milinkovic Savic e Luis Alberto: era un centrocampo mostruoso, così scelsi di lasciare casa mia. Oggi ripenso al percorso di Cataldi, per esempio. Lui ha avuto la pazienza e la tenacia di aspettare il suo momento e poi si è imposto con Sarri. Danilo è ancora in Serie A: significa che la sua è stata una scelta vincente».

Oltre a Tare e Inzaghi, quali persone sono state fondamentali nella sua carriera?

«Lupo e Fusco, i miei direttori alla Spal. Mi hanno aiutato anche dal punto di vista umano a diventare la persona che sono oggi».

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

Adesso sta vivendo una nuova fase della carriera in Romania. Come si trova?

«Devo dire molto bene: è il mio terzo anno in questa nazione e ora all'U Cluj spero di fare un salto di qualità importante. La vita è molto tranquilla, negli ultimi due anni ho giocato nell'Hermannstadt, che è un paese molto piccolo: mi hanno fatto sentire come in una famiglia. Ora l'approdo a Cluj mi ha ridato il valore di una città più grande e strutturata. In Italia c'è tanto pregiudizio nei confronti della Romania, ma qui si sta benissimo. Non mi pento assolutamente della direzione che la mia carriera ha preso adesso».

Quando torna a Roma le capita ancora di essere fermato per strada?

«Si, ancora adesso. Ogni tanto trovi le persone riservate. Le senti dire: "Lui è Alessandro Murgia, ci ha fatto vincere la Supercoppa Italiana". Poi trovi il tifoso vero, che ancora mi dice: "Noi ci ricordiamo di te, ci potresti essere utile. Ci serve la tua lazialità". Mi rende orgoglioso e fiero, soprattutto perché penso di aver lasciato qualcosa a livello umano».

Le è rimasto un sogno nel cassetto?

«Ne ho due: vincere qui in Romania un trofeo e un giorno tornare alla Lazio. Sarebbe la chiusura di un cerchio per me. Poi in futuro capirò se voglio fare l’allenatore, ma di sicuro vorrei restare nel calcio».

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Ha già iniziato il suo campionato. Con una vittoria: un secco 4-1 rifilato al Metaloglobus, piccola squadra di Bucarest. Per Alessandro Murgia un positivo spezzone nel secondo tempo, ora che indossa la maglia dell’U Cluj, club che punta a vincere in Romania. Per tutti, però, il centrocampista classe ’96 è rimasto scolpito nella memoria per una notte da eroe: quella del gol decisivo nella Supercoppa Italiana del 2017. Il 3-2 alla Juventus, infatti, porta la firma di Murgia. In pieno recupero, in una gara destinata ai supplementari. Nella storia della Lazio, da quel momento, occuperà per sempre un posto di prestigio. Alessandro, ancora qualche giorno e saranno passati 8 anni dalla notte che le ha cambiato la vita. Che emozioni le regala ancora la serata del 13 agosto 2017? «È passato tanto tempo, ma la sensazione che ti può dare un trofeo è indescrivibile. Vincere crea dipendenza, mi dà continui stimoli per riprovarci. Quella partita contro la Juventus mi ha donato convinzione e forza, mi ha regalato la consapevolezza di voler sempre pormi grandi obiettivi».

Qual è la prima immagine che le viene in mente?

«In Supercoppa Italiana c'era la rete della porta coi colori della bandiera italiana. Ricordo ancora il pallone che entra in porta: mi sento come se avessi segnato ieri quel gol decisivo. Poco dopo salto i cartelloni e vado sotto la Curva, ma faccio fatica a memorizzare quegli istanti: troppa adrenalina. Poi, tornati in campo, vedo Immobile a bocca aperte e Radu emozionato come un bambino. E poi l'abbraccio con Simone Inzaghi, per me era come abbracciare un padre. Era orgoglioso di me, ha sempre creduto che potessi fare grandi cose. Il mister è un lavoratore maniacale, la mia stima per lui è infinita: a volte messaggia ancora con mio padre. Anche nei confronti di Tare nutro ancora un affetto profondo».

E i giorni successivi? Come li ha gestiti?

«Sono cresciuto nella Lazio e sono tifoso biancoceleste da sempre, mi vedevano come un idolo. Mi fermavano. Ho dei bellissimi ricordi, ma non è stato facile gestire l'attenzione di quei giorni. Oggi, però, mi manca la pressione della grande città che vive di calcio».

La sua poteva essere una favola, invece la realtà le ha creato un percorso alternativo. Nel 2019 lei lascia il nido biancoceleste per la Spal. Le è rimasto un po' di rammarico?

«Ho sempre creduto che nella vita ci siano delle fasi. Se oggi sono questo significa che doveva andare così. Non ho rimpianti: ho cercato di essere sempre lucido. Anche se a volte alcune letture sbagliate mi hanno penalizzato: nel 2019, per esempio, ho sbagliato a slegarmi dalla Lazio. Volevo giocare, sentivo l'esigenza di avere minuti e così scelsi di entrare nell'operazione con la Spal che ai tempi portò Manuel Lazzari a Roma. A Ferrara ho trovato un ottimo ambiente e una buona squadra, ma siamo poi retrocessi. Alla Lazio c'erano Lucas Leiva, Milinkovic Savic e Luis Alberto: era un centrocampo mostruoso, così scelsi di lasciare casa mia. Oggi ripenso al percorso di Cataldi, per esempio. Lui ha avuto la pazienza e la tenacia di aspettare il suo momento e poi si è imposto con Sarri. Danilo è ancora in Serie A: significa che la sua è stata una scelta vincente».

Oltre a Tare e Inzaghi, quali persone sono state fondamentali nella sua carriera?

«Lupo e Fusco, i miei direttori alla Spal. Mi hanno aiutato anche dal punto di vista umano a diventare la persona che sono oggi».

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