Mi è dolce cosa ricordare, nel dolore e nella nostalgia, due persone che, in maniera diversa, ma con tante “somiglianze”, hanno contribuito a rendere il calcio un gozzaniano, breriano “mistero senza fine bello”: Vladimiro Caminiti, poeta di Tuttosport, juventinologo, scomparso nel 1993, con ancora addosso, malgrado le fatiche di un fisico segnato profondamente dalla malattia, la voglia di andare per stadi a raccontare, con la sua penna inconfondibile, quello sport che era metafora stessa dell’esistenza; Salvatore Giglio, che ci ha saluto due giorni fa, ha fatto della fotografia, narrando per mezzo secolo la sua amata Juventus, firmando storiche copertine del “Guerin Sportivo”, soprattutto durante la direzione di Italo Cucci, cogliendo momenti epici (Platini a Tokyo), il mezzo, per illustrare, indagare l’anima dei calciatori. Del Piero, artista in campo e persona perbene nella quotidianità, lo ha voluto come fotografo ufficiale. Ma le affinità tra Camin e Salvo, due maestri, non finiscono qui: entrambi sono nati a Palermo, città di luce e contraddizioni, di buio e miele, ma così folgorante da aprire, ogni volta, i sensi alla meraviglia e allo stupore e alla commozione. Da Palermo sono venuti a Torino, ai tempi della migrazione meridionale per trovare nella città-simbolo del Boom Economico, all’ombra della Grande Fabbrica, il proprio presente e il proprio futuro.
Entrambi sognavano di diventare portieri, il ruolo più romantico
Caminiti ha subito conquistato i lettori di Tuttosport, confezionando articoli ditirambici, con i suoi polpastrelli ingobbiti, che, in occasione del resoconto delle partite, partivamo sempre dall’azzurro del cielo e dal verde del prato, diventando ben presto un punto di riferimento per tanti apprendisti cronisti, il sottoscritto compreso. Giglio, dopo alcune esperienze in altre attività, appena scoperte le potenzialità dell’immagine, non ha più abbondato la macchina fotografica. Ricordo quando, io, giovane corrispondente del “Guerino” dal capoluogo piemontese, portavo i miei pezzi al telex per essere trasmessi alla sede di San Lazzaro di Savena, mentre Salvatore, subito dopo il fischio finale dell’arbitro, partiva per la redazione con i suoi rullini, dopo averli sviluppati, da far vedere a Cucci. Non solo: entrambi, da ragazzi, sognavano di diventare portieri. Guarda caso il ruolo più romantico del football. Giocarono in porta scrittori come Albert Camus, Vladimir Nabokov, Evgenij Evtušenko, un inviato davvero speciale come Ryszard Kapuścinski, un rivoluzionario come Ernesto Che Guevara. Scriveva poesie il portiere del Toro, e anche del Milan, del Monza e del Lecce, Giuliano Terraneo, dal caminitiano “baffo circasso”: versi che il filosofo Gianni Vattimo paragonò, con le dovute distanze, a quelle di Maurizio Cucchi.
'Il fattore umano'
Camin mi ha insegnato a usare sempre il cuore, in ogni momento: perché il calcio aveva bisogno di calore, di sensibilità, anche di critica certo, ma senza mai perdere di vista il “fattore umano”. Salvo è stato il compagno ideale e leale di tante trasferte in giro per il mondo, e le fotografie che mi ha fatto le conservo tra i miei beni più preziosi. Loro resteranno per sempre nelle pagine che hanno arricchito con il loro talento. E nella mia infinita, brasiliana “saudade”.
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