Juve, Tudor ha parlato da allenatore esonerato: parole in fuorigioco ma è il campo che conta

La pressione atmosferica del pianeta bianconero, che già di suo è più alta della media, diventa quella di Giove quando i risultati non arrivano. E il tecnico croato inizia a mostrare qualche umanissimo segnale di cedimento

Tudor ha parlato da allenatore esonerato. Eppure nessuno dei dirigenti vuole esonerarlo e solo un precipitare delle cose renderebbe l’ipotesi concreta. La pressione atmosferica del pianeta Juventus, che già di suo è più alta della media, diventa quella di Giove quando i risultati non arrivano. E Tudor inizia a mostrare qualche umanissimo segnale di cedimento. Non che i concetti in sé fossero sbagliati o particolarmente fuori fuoco, ma gli sono sfuggiti di mano e, così, ragionamenti con una certa logica sono deragliati, dando l’impressione che Igor stia soffrendo oltremodo il momento. Detto ciò, conta la partita, non la conferenza stampa e, anche se gli allenatori svolgono una parte sempre più importante del loro lavoro dietro a un microfono, il lavoro di Tudor verrà giudicato questa sera, quando sarà chiamato a battere... se stesso. Nessuno gli chiede di vincere con il Real, magari di provarci, sicuramente di non fare brutte figure, ma un pareggio verrebbe accolto come una vittoria. La vera sconfitta, per Tudor e il suo progetto di Juve, sarebbe un’altra prestazione molle come quella di Como o distratta come quella di Villarreal o timorosa come quella contro il Milan.

Serve una reazione

Perché, se la Juve non è in testa alla classifica, i regali dell’arbitro al Verona c’entrano in modo piuttosto relativo e pesano indiscutibilmente di meno rispetto al torpore agonistico, all’imprecisione tecnica e alla carenza di concentrazione difensiva delle ultime sei partite. Alla Juventus non sono preoccupati per la posizione in campionato o per quella in Champions, tutto è ampiamente rimediabile, ma vogliono percepire una reazione, un cambio di marcia che possa trainare la fiducia. La situazione è chiara a Tudor, che ha spiegato bene alla squadra gli errori di Como e che, in altri tempi e in altre Juve, ha anche eliminato il Real dalla coppa, segnando pure un gol. La storia della sua juventinità, per quanto a volte ribadita in modo un po’ stucchevole dalla narrazione, è comunque autentica e, quindi, Igor ha il vantaggio, non indifferente, di sapere dove si trova e cosa serve. Deve farlo, ovviamente, e la cosa non è così semplice. Basterebbe rivedere la squadra correre, interpretare la gara con più intensità e intravedere sguardi meno persi e impauriti.

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L'obiettivo fondamentale

Sarebbe già un grosso passo avanti rispetto alle ultime prestazioni e un buon trampolino per le vere partite decisive contro Lazio, Udinese e Cremonese (ah, a proposito di scivoloni comunicativi, lo vediamo già, Nicola, appendere le parole di Tudor nello spogliatoio per preparare la sua squadra alla partita della vita contro i bianconeri). La Juventus deve sempre partire per vincere, anche al Santiago Bernabeu, e in qualsiasi campo della Serie A, ma l’obiettivo fondamentale, in questa stagione, è far crescere un gruppo di giocatori intorno ai quali costruire qualcosa di meglio l’anno prossimo. Azzerare tutto ogni anno, finora, ha portato a perdere tempo e soldi, quindi è il momento di tenere la testa freddissima evitando la deriva dell’anno scorso, quando - a fine autunno - era chiaro a tutti che Thiago Motta era destinato all’esonero e che la stagione stava naufragando. Sono giorni di riflessioni profonde su cosa è diventata la Juve, si respira un pessimismo cosmico tipico del catastrofismo bianconero che germoglia nei periodi di vacche magre e, dopo cinque anni senza scudetto e una serie di stagioni scombiccherate, le suddette sono proprio pelle e ossa.

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Pesa il silenzio di Comolli

Si cercano i colpevoli, si ipotizzano soluzioni: dal cambio di proprietà a quello, più modesto, di un paio di centrocampisti. Pesa anche il silenzio enigmatico di Damien Comolli che, finora, ha parlato a sprazzi ma senza illustrare una strategia, senza tratteggiare un orizzonte in cui i tifosi possano scrutare un futuro. Ma questo è abbastanza tipico dei club calcistici che trattano i tifosi come se fossero bambini, senza il coraggio di dire loro la verità, ma edulcorandola attraverso slogan appesi alla storia e al blasone del club. Forse è tempo di un salto qualità e, nel 2025, si può provare a trattare i tifosi come adulti, spiegando loro qual è il progetto in modo pratico. Per carità, non è detto che funzioni, ma è accertato che al contrario non si ottiene nulla se non un crescere della frustrazione. Sono tempi duri, ma la Juventus ne ha passati pure di peggiori nella sua storia ultracentenaria.

La cosa buffa

La cosa buffa è che si dicono quasi sempre le stesse cose, anzi spesso sono pure le stesse persone a dirle, rimpiangendo tempi andati, vecchi condottieri e deprecando quelli in sella. Capitava così anche nel durissimo post Calciopoli, quando si pensava che la notte non finisse mai e poi sono arrivati i nove scudetti di seguito. La storia va così, di solito. E in quel periodo di grigia transizione ci fu anche una notte a Madrid in cui la Juve più improbabile di sempre sconfisse il Real 2-0 davanti a Diego Maradona in tribuna che si alzò ad applaudire.

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Tudor ha parlato da allenatore esonerato. Eppure nessuno dei dirigenti vuole esonerarlo e solo un precipitare delle cose renderebbe l’ipotesi concreta. La pressione atmosferica del pianeta Juventus, che già di suo è più alta della media, diventa quella di Giove quando i risultati non arrivano. E Tudor inizia a mostrare qualche umanissimo segnale di cedimento. Non che i concetti in sé fossero sbagliati o particolarmente fuori fuoco, ma gli sono sfuggiti di mano e, così, ragionamenti con una certa logica sono deragliati, dando l’impressione che Igor stia soffrendo oltremodo il momento. Detto ciò, conta la partita, non la conferenza stampa e, anche se gli allenatori svolgono una parte sempre più importante del loro lavoro dietro a un microfono, il lavoro di Tudor verrà giudicato questa sera, quando sarà chiamato a battere... se stesso. Nessuno gli chiede di vincere con il Real, magari di provarci, sicuramente di non fare brutte figure, ma un pareggio verrebbe accolto come una vittoria. La vera sconfitta, per Tudor e il suo progetto di Juve, sarebbe un’altra prestazione molle come quella di Como o distratta come quella di Villarreal o timorosa come quella contro il Milan.

Serve una reazione

Perché, se la Juve non è in testa alla classifica, i regali dell’arbitro al Verona c’entrano in modo piuttosto relativo e pesano indiscutibilmente di meno rispetto al torpore agonistico, all’imprecisione tecnica e alla carenza di concentrazione difensiva delle ultime sei partite. Alla Juventus non sono preoccupati per la posizione in campionato o per quella in Champions, tutto è ampiamente rimediabile, ma vogliono percepire una reazione, un cambio di marcia che possa trainare la fiducia. La situazione è chiara a Tudor, che ha spiegato bene alla squadra gli errori di Como e che, in altri tempi e in altre Juve, ha anche eliminato il Real dalla coppa, segnando pure un gol. La storia della sua juventinità, per quanto a volte ribadita in modo un po’ stucchevole dalla narrazione, è comunque autentica e, quindi, Igor ha il vantaggio, non indifferente, di sapere dove si trova e cosa serve. Deve farlo, ovviamente, e la cosa non è così semplice. Basterebbe rivedere la squadra correre, interpretare la gara con più intensità e intravedere sguardi meno persi e impauriti.

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