© ANSALa migliore Juventus della stagione e la vittoria, fin qui, più importante della stagione. Non è detto sia la svolta, sicuramente è una tappa importante nel processo di solidificazione della squadra, che ha avviato Luciano Spalletti un mese e mezzo fa. Rispetto ai successi contro Bodo, Cagliari, Udinese e Pafos, infatti, si è visto un agonismo più lucido, una concentrazione più stabile e una voglia di vincere che è andata oltre il clamoroso numero di occasioni fallite. Una fase offensiva più incisiva ha, infatti, portato la Juve ai limiti dell’area avversaria e con una situazione favorevole una decina di volte, ma imprecisione, fretta, goffaggine nel controllo della palla, hanno fatto sprecare tanto, anzi troppo. David, per esempio, è stato sicuramente propositivo, ma è difficile perdonargli tutti gli errori in rifinitura o sotto porta. Anche Yildiz poteva essere più cattivo in un paio di occasioni (ma suo è il delizioso assist per Cabal), così come Conceicao e Openda, entrato in campo con piglio piuttosto indiavolato e piede poco calibrato.
Maggiore concretezza
Spalletti, insomma, avrà di che mostrare nelle prossime riunioni tecniche, ma lo spessore calcistico del successo di Bologna dà un senso di concretezza maggiore alle parole, ai propositi, alle idee. Non è poco. Dei limiti di questa Juventus abbiamo parlato fino alla noia e certo non sono spariti con la prestazione del Dall’Ara, tuttavia rivedere una certa robustezza nell’approcciare la partita e la costanza nel rimanerci dentro per tutta la durata dà l’impressione di un passaggio di livello a livello collettivo. La partita contro la Roma, di sabato all’Olimpico, sarà un altro durissimo test per misurare la crescita della Juve, che Spalletti potrà allenare senza impegni infrasettimanali (di questi tempi, per un allenatore di una grande, un lusso inestimabile). E in questo senso ha un tempismo assai felice il rientro di Bremer, pilastro che cambia non solo la fase difensiva ma la sicurezza generale della squadra.
Un mattone alla volta
Al di là di rimettere mano ai discorsi sulle ambizioni e sugli obiettivi, la Juve di quest’anno deve perseguire un processo di crescita che renda prestazioni come quella di ieri sera il minimo sindacale, con la contestuale crescita di un gruppo di giocatori da cui selezionare lo zoccolo duro su cui ricostruire. In giorni in cui il tifo juventino è scosso (e forse anche diviso) dal tentato acquisto del club da parte di Tether, respinto orgogliosamente da John Elkann, si parla tanto di futuro, progetti e rilancio. L’isterismo con cui si invoca il cambiamento (negli ultimi anni dell’allenatore, ora di proprietà, dirigenti e giocatori) è frutto di una frustrazione comprensibile, visto che gli ultimi anni hanno avuto momenti umilianti, ma non è un modo lucido di ragionare. Qualcosa va cambiato di sicuro, ma va tenuto presente che gli ultimi vorticosi cambiamenti di panchina, dirigenti e giocatori hanno portato solo più confusione. La Juventus, oggi, deve essere ricostruita mattone per mattone, selezionandoli bene e incastrandoli in un progetto di ricostruire di un’identità agonistica. Ci voglio dieci, venti, trenta Bologna da qui alla fine della stagione e, allora, si costruirà una base per il futuro e si potrà capire cosa c’è veramente da cambiare e cosa no.
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