Martello e ventaglio: così il Toro spaventa la Juve

L'analisi granata: squadra compatta che si contrae e si allarga a memoria, pressing alto in 25-30 metri, dribbling, cross e tocchi più veloci di quelli degli avversari che sono anche obbligati a correre di più. Il 90% delle giocate di Lukic sono “passaggi chiave”
Martello e ventaglio: così il Toro spaventa la Juve© Getty Images

TORINO - Il martello e il ventaglio: per lottare, per sperare, per far paura, per tentare di farcela. Il martello e il ventaglio rappresentano le stigmate della filosofia di Juric applicata al Torino in questa stagione, riveduta e corretta data la radicale ricomposizione della rosa rispetto alla scorsa stagione (Bremer, Pobega, Mandragora, Praet, Brekalo e Belotti: 6 i titolari usciti di scena, con le loro peculiarità). Abbiamo negli occhi le immagini di queste prime 9 giornate dei granata, partita per partita: quanto si vede dagli spalti o davanti alla tv sono le fronde, diciamo così, delle due fasi di gioco promosse da Ivan. Le radici, che affondano nel lavoro quotidiano al Filadelfia, si possono invece scorgere attraverso l’analisi comparata di tutti gli ampi, complessi report (statistiche e immagini rielaborate al computer) che compaiono sul sito ufficiale della Lega di Serie A. E si scorge ogni volta un insieme costante di specifiche attitudini tattiche. Ogni gara fa storia a sé, naturalmente, e nessun avversario è, sic et simpliciter, paragonabile a un altro. Sono le somiglianze, a interessarci. Partendo dall’esplosione di gioco visto domenica contro l’Empoli, quale picco di indice di pericolosità, per atterrare sulla sfida di San Siro contro l’Inter, avversario per tanti aspetti assimilabile alla Juventus. Anche allora i granata si trovarono davanti una big in crisi di identità e di punti, balbuziente (giocando molto peggio dei granata e subendo 7 occasioni nitide da gol, i nerazzurri la sfangarono solo all’89’ grazie a un blackout dei granata in marcatura). Si possono così prefigurare ampie porzioni di derby quantomeno sotto il profilo tattico, a pochi giorni dalla sfida con un’altra grande in crisi di gioco e con limiti di forma atletica.

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Il Torino spaventa la Juve

Sovrapponendo i vari report analitici in 9 giornate si scorge un fil rouge: l’identikit di questo Torino. Capace di giocar bene (non sempre, ma spesso) e di mettere a lungo in difficoltà anche formazioni dalla potenza di fuoco (quanto alla qualità della rosa) ben superiore (Lazio, Inter, Atalanta; solo la gara di Napoli fa storia a sé: 2 a 0 dopo appena 12 minuti...). Il primo macrodato elaborato al computer che salta agli occhi riguarda la fase di non possesso. Punto primo, l’occupazione degli spazi: mediamente, il Toro aggredisce con un pressing di squadra gestito nell’arco di 25/30 metri, a seconda dell’avversario. Significa 10 giocatori di movimento che si contraggono a cavallo della metà campo, con una concentrazione che aumenta nel cuore del prato. I difensori salgono, mentre i 2 trequartisti e il pivot arretrano andando a pestare i piedi al portatore di palla. Con un mediano deputato a francobollare quasi a uomo l’avversario più di qualità tra centrocampo e trequarti avversaria. Il tutto, con un baricentro alto che oscilla mediamente tra i 50 e i 55 metri (mentre, in fase di costruzione, si sale anche oltre i 60 metri). I giocatori si muovono a grappoli di 3 e ogni insieme è interconnesso con quelli ai lati, davanti o dietro. La disposizione media che risulta, relativamente alle posizioni dei 10 giocatori di movimento (vedasi il campetto con i circoletti), dà perfettamente l’idea della compattezza tattica della squadra, quando martella in pressing attraverso una serie di sfide sì uno contro uno, ma con la rapida moltiplicazione delle marcature (doppie o triple).

Torino, martello e ventaglio

Il martello sa però trasformarsi velocemente in un ventaglio quando è il Torino a manovrare. La squadra si muove a memoria, i braccetti difensivi e gli esterni si allargano, il pivot e uno dei due trequartisti salgono per dare profondità, mentre l’altro (a turno) tende a restare tra mediana e trequarti per dare meno punti di riferimento. E qui brilla un altro valore elaborato al computer: in media la velocità del pallone trattato dai granata è maggiore rispetto a quella degli avversari (fin clamoroso quanto si vide a San Siro: 45 chilometri orari di media, contro i 38 dei nerazzurri). «Il pallone va fatto correre. Se dovesse venir portato, gli avrebbero disegnato i manici»: Eraldo Pecci sa essere fulminante nelle sue battute ricche di buon senso, quando commenta il calcio contemporaneo. Ed esattamente questa è la filosofia di Juric. Creando una rete di interscambi e fraseggi come dentro a un flipper, il Torino riesce di frequente anche nell’impresa di far correre di più gli avversari, stancandoli maggiormente se non addirittura frustrandoli nello spirito (e le differenze possono oscillare anche oltre i 3 chilometri totali, alla fine: sia che il Torino giochi contro una big come l’Inter, sia contro una formazione del valore dell’Empoli). Difatti il Torino è “soltanto” 13° nella classifica delle squadre che corrono di più (chilometri percorsi da inizio campionato), ma con una coerenza speculare è 4° per possesso palla generale (in minuti) e addirittura 2° per possesso palla nella metà campo avversaria (comanda la Fiorentina; la Juventus è 9ª). I problemi atletici fin qui mostrati dai bianconeri si contrappongono, sulla carta, allo sviluppo del gioco in crescendo mostrato dal Torino in quasi tutti i secondi tempi per indice di pericolosità.

Il Torino prepara il derby

L’allargamento a ventaglio in fase di possesso produce automaticamente un ampio numero di cross (difatti il Torino è 5° in Serie A per numero di traversoni), ma si appoggia anche sulla ricerca a ripetizione di dribbling uno contro uno per creare la superiorità numerica. Statistiche alla mano, i report ci dicono che i granata tendono a scartare di più sulla trequarti sia al centro sia sulle fasce. Straordinario per importanza è poi il fulcro rappresentato da Lukic: il quale in media arriva a toccare anche un’ottantina di palloni a partita. E la percentuale delle sue giocate etichettate dagli analisti come “passaggi chiave” (cioè capaci di tagliar fuori uno o più avversari con spostamento in avanti del pallone) oscilla tra l’85 e il 90% (contro l’Inter arrivò al 93%, contro l’Empoli al 94%). Sull’asse verticale del centrodestra il Toro manovra di più, guarda caso (si vedano i dati analitici connessi, con il campo suddiviso in 24 rettangoli). Tutta questa montagna di trame di squadra e di caratteristiche di gioco mandate a memoria sono il frutto di un lavoro fin asfissiante in allenamento: con Juric è tutto un continuo prova e riprova, giorno dopo giorno. E così si proietterà il Torino sul derby, con la sua consueta aggressività (il martello) e la sua identità di gioco (il ventaglio). Il nostro Manuale delle Giovani Marmotte soltanto a un quesito non sa rispondere, e tanto più dopo gli sprechi incredibili di nuovo visti l’altro ieri, come già contro Inter, Cremonese, Monza, Atalanta: chi imparerà prima a buttarla dentro, una buona volta?

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