Cassardo: “Una vittoria da pazzi è vita per noi del Toro”

Lo scrittore Cassardo: "Abbiamo fame di identità non solo nei ricordi. Penso ai giovani: derby strazianti. I tifosi sognano una nuova fiammella"
Cassardo: “Una vittoria da pazzi è vita per noi del Toro”© ANSA

Quella sua creatura di fine Anni 90, “Belli e dannati”, è uno dei libri più belli, sanguigni e poetici sul Toro e sull’identità dei tifosi granata. Marco Cassardo, scrittore, giornalista, può essere orgoglioso per sempre del suo nuovo parto: un cerchio perfetto. Mesi fa ci disse: "Sento di aver scritto il mio romanzo della vita. Me lo pubblicherà Mondadori". Da qualche tempo è in libreria. Recensioni in sequenza, una più lusinghiera dell’altra: grandi firme ed elogi non di prammatica sui più importanti media italiani. "Eravamo immortali", 438 pagine: la storia intrecciata di due amici ciclisti, uno partigiano e l’altro fascista, dalla fine degli Anni 30 sino al 2000. Percorrono la storia d’Italia e di Torino con le loro famiglie. Tra loro, un’amicizia antica, inossidabile nonostante le divisioni. E il Toro come reciproco pendolo esistenziale: tra le pagine, compare ciclicamente nelle loro vite pure di tifosi. E segna anch’esso i tempi del romanzo, lo sviluppo dei periodi. La trama è molto avvincente, una sequela di colpi di scena e accadimenti che tolgono il respiro, anche tra ricerche storiografiche.

Marco Cassandro e il suo nuovo libro

La scrittura di Cassardo (ora sincopata, rapida, cinematografica, ora riflessiva, profonda, poetica) è un inno alla cura di una qualità stilistica raggiunta: il romanzo ti prende dentro, ti stringe le viscere, corri dietro alle pagine, ti emozioni, ti rivedi qua e là (oppure o di qua o di là, su qualche barricata dell’esistenza). L’immediato successo di critica e di pubblico è una prova, ma anche una sentenza. Diventerà un film, un giorno? "Questo libro è stata la missione della mia vita: è anche un po’ la storia dei miei ricordi, della mia famiglia, della mia città - ci dice Cassardo -. Ho la sensazione di essere vissuto per scriverlo. E non potevo che crearlo in età matura, dopo i 50 anni. Dopo aver elaborato il lutto della perdita dei miei genitori e della mia dimensione di figlio. Ho impiegato 4 anni: è stato anche un modo per tenere i miei ancora in vita con me. Mesi fa lo spedii ad Alberto Rollo, guru dell’editoria italiana e consulente editoriale di Mondadori. Dopo due settimane mi telefonò: 'Bellissimo! Si pubblica!'. Sono felice: è la storia di un secolo italiano, non si gira attorno a un ombelico".

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I ricordi granata

Compare il Filadelfia, nasce il Grande Torino, muore, poi tra le pagine emergerà il Toro operaio. O lo scudetto di Pulici. "Per noi grandissimi tifosi il calendario della vita è scandito anche dalle epoche granata. I 70 sono stati anni di gambizzazioni, di sangue, ideali e rivolte. Ma per noi granata over 50 i ricordi sono anche la cristallizzazione di date speciali vissute allo stadio. Un calendario tutto nostro, una bussola del tempo. La storia del Toro è un romanzo d’amore, di gloria, dolore, ribellione e speranza. E il Grande Torino è il nostro fonte battesimale. Non ce lo potrà mai togliere nessuno, è un’epopea nazionale inscalfibile. Ma non ha nulla a che fare con ciò che siamo diventati dalla metà degli Anni 90 in poi. Da decenni il Toro è un’entità che non capisco più, perché si sta staccando progressivamente dai suoi archetipi, dalle sue matrici simboliche: il Grande Torino, il Toro di Ferrini, Meroni, gli anni dei Gemelli del Gol, Junior e Dossena, il Toro indiano del Mondo. I nostri Grandi Padri. Ma dopo? Nell’ultimo trentennio non abbiamo avuto più nulla dell’immortalità che fu. Siamo diventati un ventre molle, un magma incomprensibile: e il macello dei derby degli ultimi 30 anni è l’immagine più crudelmente inevitabile di questa perdita di valori, non solo di un calcio stravolto dal business. L’identità e le tradizioni sono nel cuore e nei comportamenti di noi tifosi, non in campo".

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"Ci servirebbe vivere di nuovo un derby storico, come quelli che ricordiamo noi ultracinquantenni, per comprendere se sotto la cenere covi ancora una vera fiammella: e quella fiammella può essere soltanto un derby vinto in un modo pazzesco. E subito dopo un altro, nel girone di ritorno. Lo dico pensando innanzi tutto ai più giovani. A chi, come mia figlia Lidia, 22 anni, granata anche lei e con nessun amore per le vie facili, avrebbe bisogno di vivere per la prima volta almeno un archetipo dei derby nostri, quelli degli Anni 70, 80: al confronto, è straziante pensare che non hanno mai visto e vinto nulla, i nostri figli. Ma un nuovo derby storico servirebbe anche a noi adulti maturi: un brivido lungo la schiena, per tornare giovani per qualche settimana. Abbiamo bisogno di incendiarci per un gol nel derby al 94’ di Radonjic: che pare un poeta maledetto o un personaggio di Dostoevskij. Ti prende per mano e ti porta ora in paradiso, ora all’inferno. Ci servirebbe una vittoria da pazzi, non un successo finto come quello del 2015. Sono decenni che aspettiamo un Toro davanti agli occhi che possa dialogare con l’identità granata che noi tifosi conserviamo nel cuore".

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Quella sua creatura di fine Anni 90, “Belli e dannati”, è uno dei libri più belli, sanguigni e poetici sul Toro e sull’identità dei tifosi granata. Marco Cassardo, scrittore, giornalista, può essere orgoglioso per sempre del suo nuovo parto: un cerchio perfetto. Mesi fa ci disse: "Sento di aver scritto il mio romanzo della vita. Me lo pubblicherà Mondadori". Da qualche tempo è in libreria. Recensioni in sequenza, una più lusinghiera dell’altra: grandi firme ed elogi non di prammatica sui più importanti media italiani. "Eravamo immortali", 438 pagine: la storia intrecciata di due amici ciclisti, uno partigiano e l’altro fascista, dalla fine degli Anni 30 sino al 2000. Percorrono la storia d’Italia e di Torino con le loro famiglie. Tra loro, un’amicizia antica, inossidabile nonostante le divisioni. E il Toro come reciproco pendolo esistenziale: tra le pagine, compare ciclicamente nelle loro vite pure di tifosi. E segna anch’esso i tempi del romanzo, lo sviluppo dei periodi. La trama è molto avvincente, una sequela di colpi di scena e accadimenti che tolgono il respiro, anche tra ricerche storiografiche.

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La scrittura di Cassardo (ora sincopata, rapida, cinematografica, ora riflessiva, profonda, poetica) è un inno alla cura di una qualità stilistica raggiunta: il romanzo ti prende dentro, ti stringe le viscere, corri dietro alle pagine, ti emozioni, ti rivedi qua e là (oppure o di qua o di là, su qualche barricata dell’esistenza). L’immediato successo di critica e di pubblico è una prova, ma anche una sentenza. Diventerà un film, un giorno? "Questo libro è stata la missione della mia vita: è anche un po’ la storia dei miei ricordi, della mia famiglia, della mia città - ci dice Cassardo -. Ho la sensazione di essere vissuto per scriverlo. E non potevo che crearlo in età matura, dopo i 50 anni. Dopo aver elaborato il lutto della perdita dei miei genitori e della mia dimensione di figlio. Ho impiegato 4 anni: è stato anche un modo per tenere i miei ancora in vita con me. Mesi fa lo spedii ad Alberto Rollo, guru dell’editoria italiana e consulente editoriale di Mondadori. Dopo due settimane mi telefonò: 'Bellissimo! Si pubblica!'. Sono felice: è la storia di un secolo italiano, non si gira attorno a un ombelico".

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