Pagina 3 | "Il primo problema del Toro di Cairo è questo. Red Bull? Cosa cambierebbe"

Tutto è cominciato così: con una telefonata al professor Bernardo Bertoldi, docente di Strategia all’Università di Torino (Economia e gestione delle imprese), editorialista del Sole 24 Ore, tifoso granata. In sintesi, ecco il flash-back. Domanda: buongiorno professore, possiamo chiederle un aiuto? Desidereremmo il suo giudizio sulla situazione economica del Torino, considerando i documenti disponibili: a cominciare dall’ultimo bilancio approvato, anno solare 2023. E poi saremmo interessati a conoscere la sua opinione su quanto potrebbe costare il Torino, dentro a quale forbice di prezzi sia realistico ragionare.

Sa, professore, questo è anche uno dei quesiti più d’attualità non solo nel mondo della tifoseria granata. Risposta cortesissima: "Ci credo! Argomento caldissimo! Lo faccio molto volentieri. Mi dia solo il tempo di tornare a consultare gli ultimi bilanci, innanzi tutto. Per interesse professionale e pure di tifoso, me li leggo ogni anno quando escono. Ma ora sono già trascorsi un po’ di mesi dall’ultimo bilancio approvato… Comunque un’idea me l’ero già fatta in questi ultimi tempi, viste le tante voci sulla possibile cessione del nostro Toro. Ma mi faccia studiare, ora". Adesso saltiamo in avanti nel tempo: stavolta è il professor Bertoldi a telefonarci: "Eccomi. Allora, vogliamo cominciare a valutare alcuni dati chiave del bilancio? Ho anche cercato di accorpare voci simili, per semplificare. Vi ho appena inviato qualche tabella via email per facilitare l’analisi, la chiacchierata".

Toro, l'ultimo bilancio

Grazie, professore. Intanto ricordiamo che l’ultimo bilancio del Torino si è chiuso con una perdita di 9,6 milioni. "Seguo un filo logico. Cominciamo col dire che l’anno solare 2023 ha portato ricavi per 6,1 milioni quanto a biglietti e abbonamenti; 15,6 milioni il gettito netto degli sponsor; altre entrate per 2 milioni circa; la grande voce nelle entrate riguarda i diritti tv, 52,3 milioni. Se li compariamo ai 6 milioni incassati per biglietti e abbonamenti, tocchiamo subito con mano quanto sia preponderante l’importanza dei ricavi televisivi rispetto alla biglietteria da stadio. Le tv tengono nei fatti in vita tutte le squadre, è solo una questione di proporzione caso per caso. È chiaro che il mondo del calcio, in difficoltà, in crisi, guardi quasi esclusivamente al gettito delle tv come primo interesse. Il ricchissimo calcio inglese, che vanta attivi e fatturati imparagonabili con la nostra realtà e vende i diritti tv sul mercato internazionale a cifre record, ha comunque mantenuto una maggior sacralità dell’evento sportivo seguito dal vivo dai tifosi. Significa anche maggior rispetto delle tifoserie: non esistono solo come clientela televisiva. Tutta un’altra cultura, rispetto alla nostra, ed è forse proprio per questo che hanno maggiori ricavi: hanno protetto la tradizione del calcio e distribuendo ricchezza a tutte le squadre hanno reso interessante il campionato. Come anche in Germania, dove per legge la quota di maggioranza di ogni singolo club, almeno per il 50% più uno, deve essere detenuta da soci differenti: qualcosa di simile all’azionariato popolare, una quasi totale identificazione tra club e tifosi. Ma torniamo al Torino".

Restiamo nell’ambito dell’ultimo bilancio. Ricavi per un centinaio di milioni, complessivamente. Una decina in meno rispetto al 2022. "Sì. Si arriva a questa cifra aggiungendo all’elenco precedente i ricavi derivati dal trading, dal calciomercato: 24,8 milioni, dei quali 23,2 di plusvalenze. I costi, invece, sono ammontati a quasi 110 milioni, grossomodo una decina in meno rispetto all’anno prima. E qui la voce grossa la fanno gli stipendi che deve pagare il club: 55,6 milioni… appunto 10 milioni in meno rispetto al 2022… quasi tutti relativi ai giocatori della prima squadra. Gli ammortamenti si sono invece attestati a quota 28,7 milioni".

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Toro, il bilancio in rosso

Sesto bilancio di fila chiuso in rosso. "Da anni il Torino ha un bilancio in passivo: è come possedere un appartamento dove gli affitti sono inferiori ai costi. Ma il problema più grande, a mio parere, non è la perdita annuale che può materializzarsi, come è successo nel 2023, a quota 9,6 milioni. Le perdite sono comuni a quasi tutte le società di Serie A, come se il nostro appartamento fosse in una zona degradata dove tutti gli appartamenti rendono poco. Il difetto per me fondamentale che emerge è che non c’è niente che genera cassa. Non vedo nulla nel bilancio che mi faccia dire: il Torino sta generando redditi, sta creando ricchezza. Dal punto di vista economico il Torino non produce utili. Volendo dividere le attività in tre reparti (gli eventi sportivi, la gestione del parco calciatori e i diritti tv), si ottengono risultati non entusiasmanti. Stipendi e ammortamenti affossano la gestione del reparto calciatori e si mangiano abbondantemente i ricavi dalle televisioni. Per intenderci: con gli stessi risultati sportivi, se il Toro giocasse in Inghilterra avrebbe tra i 40 e i 100 milioni di utili. Sarebbe lo stesso appartamento, ma in una bella zona della città. Questo è il danno creato anche dalla suddivisione dei diritti sportivi decisa in Italia, che resta ancora molto sperequata. In ogni caso, adesso vado ad analizzare il patrimonio, seguendo sempre il mio filo logico di partenza: per rispondere a quella sua domanda sul possibile valore di mercato del Torino".

Fa in fretta a valutare il patrimonio, professore: il Torino ha una sede in affitto, ha uno stadio in affitto, ha il Filadelfia in affitto, ha in concessione trentennale la piccola area del Robaldo per gli allenamenti del vivaio che però è ancora un cantiere aperto… Insomma, il Torino è proprietario di poco o nulla, a parte ovviamente il parco giocatori e il marchio.

"Tornando alla metafora dell’appartamento che non rende con gli affitti, il nostro non è neppure un appartamento che ha al suo interno qualche elemento che lo faccia diventare di valore. Dal punto di vista patrimoniale, il Toro potrebbe valere circa 4 milioni, ovvero il suo patrimonio netto. Che tre anni fa, peraltro, era di 31 milioni. Il dato del reparto 'calciatori' non tiene conto del prezzo di mercato dei giocatori. Oggi… che non abbiamo più Buongiorno e Bellanova, venduti in questo 2024… il noto sito Transfermarkt determina il valore della squadra in 172 milioni. Il che, al netto dell’impatto fiscale, porterebbe una plusvalenza di circa 75 milioni. Questo fa passare il valore possibile del Torino da 4 a 79 milioni. Chi li pagasse, però, dovrebbe credere di poter realizzare parte del valore del parco giocatori, migliorando allo stesso tempo i risultati sportivi ed economici: altrimenti le perdite annuali dovrebbero essere coperte erodendo il valore patrimoniale".

Proviamo a tradurre semplificando il più possibile: stando così le cose, l’ipotetico acquirente dovrebbe vendere ciclicamente qualche giocatore e realizzare belle plusvalenze per inseguire un equilibrio di bilancio. Il tutto, però, migliorando anche i risultati sportivi.

"Sì. Non avendo lo stadio di proprietà o altre fonti di ricavo regolari consistenti, è così. È poi interessante notare che il valore patrimoniale del Torino è tenuto in piedi dal valore del marchio, che è stato inserito in bilancio attraverso una rivalutazione nel 2020. Nel bilancio si legge: '…(tutti i marchi facenti capo alla Società)… contribuiscono all’identificabilità del marchio principale, rappresentando, in una diversa declinazione grafica, realizzata anche in concomitanza con particolari eventi o ricorrenze sportive, i simboli che evocano la storia che ha reso celebre la Società (per l’appunto, il toro rampante e il color granata) e che consentono ai consumatori/tifosi di riconoscersi in un comune ideale sportivo e di identificarsi nella propria squadra del cuore”' Direi che solo in una cosa il bilancio firmato da Urbano Cairo e il sentimento dei tifosi, però identificati nel documento anche come clienti, sono d’accordo: il toro rampante evoca la storia e fa sì che ci si riconosca in un com une ideale sportivo. Ma ora parliamo dei debiti".

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"I debiti del Torino di Cairo"

Sbagliamo o i debiti complessivi del Torino di Cairo sono saliti da 143 a 159 milioni? Di questi, 10 milioni sono nei confronti dell’azionista di maggioranza, cioè lo stesso Cairo, per via del suo nuovo finanziamento versato nelle casse del Torino nel 2023. "Dal punto di vista finanziario, chi comprasse il Torino per un valore patrimoniale di 79 milioni dovrebbe far fronte, in base a quanto risulta a bilancio, al pagamento di un flusso di debiti fino al 31 dicembre del 2028, ovvero nei canonici 5 anni post chiusura del bilancio: complessivamente, 133,3 milioni di debiti. Per ripagarli, sempre stando così le cose come da fotografia dell’ultimo bilancio approvato, l’acquirente non potrebbe contare su un grande flusso di cassa dalla gestione, considerati gli scarsi risultati economici che caratterizzano il Torino come molte altre squadre di calcio. Né potrebbe puntare troppo sulla vendita con plusvalenza di calciatori in rosa, che a oggi, se venissero venduti tutti, genererebbe circa 75 milioni di plusvalenze. Non granché, insomma. E stiamo parlando per assurdo, ovviamente: perché se vendessi tutti i giocatori che ho, poi chi manderei in campo? Devo vendere e acquistare, insomma. L’acquirente non potrebbe inoltre ottenere cassa dai 40 milioni di marchio nel patrimonio, perché nessuno lo comprerebbe staccato dal Toro. La morale è che l’acquirente del Torino dovrebbe quindi pensare di dedicare all’investimento, oltre ai soldi per l’acquisto del club, un buona dotazione di capitale per ripagare nei prossimi 4 anni, fino al ’28, i debiti creati nel passato".

Riassumiamo, allora.

"Il valore del Torino dal punto di vista della redditività è zero, se non addirittura negativo. Dal punto di vista patrimoniale potrebbe attestarsi tra 4 e 79 milioni, ma ricordando sempre che chi lo acquista avrebbe poi debiti da ripagare già oggi a bilancio per 133 milioni. E ora proviamo a individuare un prezzo realistico del Torino".

Il primo aspetto fondamentale da sottolineare?

"Il prezzo è qualcosa di molto diverso dal valore di bilancio: è stabilito dalla domanda e dall’offerta, che a loro volta sono influenzate da fattori comportamentali come l’umore e il momento, i quali, invece, non giocano un ruolo chiave nella determinazione del valore. Vediamo allora quale potrebbe essere la domanda sul mercato: i potenziali acquirenti, insomma. Dividiamoli per categorie. 1) Un accanito tifoso alla ricerca di ciò che l’accademia definisce un “bene trofeo”: di tanto in tanto i tifosi sperano in qualche ricco imprenditore dal cuore granata con il portafoglio in mano, ma allo stato attuale non sembra esistere. 2) Un miliardario magari non del Toro, ma amante dell’Italia e alla ricerca di un “bene trofeo”. Una specie di Commisso per la Fiorentina, i fratelli Hartono del Como, Niederauer del Venezia o Krause del Parma. Potrebbe anche esistere, ma fino a oggi non si è palesato neppure lui. E non si è palesata neanche la versione araba del miliardario, ovvero il fondo sovrano. E in questo caso, restando alla Serie A, non aiuta il fatto che gli arabi non provino la medesima attrazione per il nostro Paese che provano invece per altre realtà calcistiche. Poi c’è la categoria numero 3: un imprenditore alla ricerca di un “bene trofeo” capace anche di farlo rendere. Una specie di De Laurentiis, o di Lotito, o di Percassi. Cairo poteva essere uno di loro sia per la sua capacità imprenditoriale sia per i tanti anni, 19, in cui è stato presidente. Sembra proprio aver fallito, sotto questo punto di vista".

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La Red Bull per il Toro

La quarta categoria di potenziale acquirente? "Un imprenditore del calcio che ci sa fare e cerca un buon affare: una specie di Pozzo, di Cellino, di Corsi che vuole cimentarsi in una piazza più grande. Se è un imprenditore di calcio bravo, starà però lontano da una grande piazza, perché questa richiede molti più investimenti pur offrendo le stesse possibilità di realizzare plusvalenze con il lancio e la vendita di calciatori. La quinta categoria porta a un investitore che compri il Torino in attesa di rivenderlo a qualcun altro alla ricerca di un “bene trofeo”: una specie di Calleri del nuovo secolo, con più soldi e anche maggiore voglia di farne. In Serie A è pieno di fondi d’investimento più o meno blasonati che hanno comprato una società sperando di rivenderla come “bene trofeo”. In passato Elliot al Milan, per esempio. Ora si può pensare a Oaktree all’Inter, a 777 Partners al Genoa… Se si analizza la lista dei proprietari attuali in Serie A, si possono individuare molti di questi archetipi descritti. Quale sarebbe a questo punto del ragionamento un prezzo del Torino dipenderebbe da quale di quegli archetipi si presentasse per l’acquisto. Una forchetta possibile, considerato il bilancio e le transazioni simili, oscillerebbe probabilmente tra i 130 e i 170 milioni. La forchetta dipende anche dalle motivazioni di chi vuole comprare e da quelle di chi vuole vendere. Direi che restiamo dentro a parametri già emersi nel caso della Fiorentina, pagata da Commisso circa 170 milioni nel 2019, o del Genoa, comprato da 777 nel 2021 per circa 150 milioni".

Da tempo si parla tanto della Red Bull per il Torino.

"Tra i possibili acquirenti, la Red Bull non rientrerebbe in nessuno degli archetipi precedenti. Si tratta di una multinazionale che fattura 10,5 miliardi di euro e utilizza gli sport come veicolo pubblicitario fin dai tempi in cui Mateschitz, il proprietario dell’azienda al 49%, decise di comprare nel 2004 una scuderia di Formula 1. Ha sempre preferito avere la proprietà dei veicoli di marketing. Si tratta di una giusta strategia quando il segmento da raggiungere con la comunicazione è chiaramente definito, perché la proprietà del veicolo permette maggiore efficacia con costi simili o anche minori. I tifosi del Toro, abbagliati dal tintinnio dei miliardi ed esasperati dalle ristrettezze… diciamo così… di Cairo, sembrano in larga maggioranza pronti ad accogliere a braccia aperte una nuova proprietà come Red Bull. Hanno anche visto l’incredibile decollo, in questi anni, del Salisburgo e del Lipsia, società di proprietà della Red Bull. Subito scudetti a cascata in Austria, e in Germania partecipazioni a raffica nelle maggiori competizioni europee, partendo dall’Interregionale… Di sicuro, viste le scelte della Red Bull in ambito calcistico con i vari club che ha acquistato nel mondo, anche in Brasile e in Giappone, dovremmo dedurre per amor di logica che se mai questa multinazionale austriaca acquistasse il Torino, non solo farebbe decollare le ambizioni del club in classifica alzandone il livello, ma cambierebbe anche il nome del club da Torino Fc a RB Torino. Anche lo stemma potrebbe venir modificato, sfruttando il binomio perfetto bull-toro e quindi inserendo il marchio Red Bull dei due tori che si confrontano. Che peraltro sono rossi, non granata. Poi, naturalmente, il nome dello stadio passerebbe da Grande Torino a Red Bull Arena".

Ecco, sì: con lo stadio Grande Torino di proprietà e non più in affitto dal Comune, il club granata potrebbe generare ricchezza, finalmente?

"Beh, certo! Per una multinazionale come la Red Bull, che già con il Lipsia e il Salisburgo ha accompagnato il business dello stadio di proprietà ristrutturato secondo le esigenze di oggi in linea con la crescita della squadra, diventare proprietaria di uno stadio come il Grande Torino in un quartiere popoloso... sito in un territorio di cerniera tra il centro storico e la periferia... in un’area ampia dedicata all’attività sportiva non solo calcistica, visti gli altri impianti limitrofi… nonché destinata anche al tempo libero… un’area che potrà riqualificarsi più ancora nei prossimi anni… insomma... tornando alla metafora dell’appartamento, sarebbe come comprare un appartamento con la possibilità di raddoppiare la metratura...".

Tra l’altro nei piani del Comune arriverà anche la metropolitana, tra qualche anno.

"Ebbene… certo che la Red Bull può essere interessata ad ac quistare lo stadio Grande Torino, oltre al club. Una multinazionale che cura così tanto il marketing non può non essere interessata, lo ha già dimostrato proprio con il Salisburgo e il Lipsia".

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Toro, questione stadio

Il 30 giugno scadrà il contratto di affitto dello stadio al Torino e il Comune vorrebbe cedere l’impianto, fonte per la Città di perdite. Per adesso tutte le ipotesi sono aperte: cessione dello stadio Grande Torino o rinnovo dell’affitto. "Proseguo nello scenario. Se io fossi il padrone della Red Bull o di una multinazionale interessata a promuovere i miei prodotti a consumatori appassionati di calcio in Italia, allora punterei a formalizzare un contratto di compravendita con Cairo a cifre garantite, con una condizione sospensiva a 90 giorni. Una compravendita, cioè, condizionata dal raggiungimento di un accordo anche con l’ente pubblico, con il Comune, per l’acquisto dello stadio. A quel punto tanto Cairo quanto il Comune avrebbero tutto l’interesse a mettermi in condizione di poter acquistare lo stadio, così da siglare un accordo con tutte le parti in ballo. In un contesto del genere, anche le tanto chiacchierate ipoteche sullo stadio, accese a seguito del fallimento nel 2005 di Cimminelli, sarebbero facilmente rimovibili, diventerebbero un ostacolo molto relativo".

A proposito di fallimento. Ricorda quanto spese Cairo per acquistare il Torino dai Lodisti, nel 2005?

"Mi pare circa 200 mila euro, se non mi sbaglio".

Cairo rimborsò complessivamente 10 mila euro di spese ai 16 Lodisti mediante altrettanti assegni da 625 euro cadauno. E poi rimborsò a Giovannone quel prestito di 180 mila euro che costui aveva versato al Torino in quell’estate di morte e rinascita del club. In tutto, Cairo spese 190 mila euro per acquistare il club. Ora ipotizziamo che venda il Torino per 150 milioni…

"La plusvalenza potrebbe coincidere nei fatti con il prezzo di vendita. Anche considerando i soldi che Cairo ha investito in questi vent’anni, si tratterebbe comunque di una condizione vantaggiosissima, straordinaria!".

Da economista che segue con passione il Torino, che idea si è fatto delle volontà di Cairo?

"Metto insieme tutto, anche la contestazione e il mediocre rendimento della squadra dopo un percorso lunghissimo di 19 anni. La mia sensazione, diciamo così, è che come minimo Cairo stia seriamente pensando di vendere, e anche già da diverso tempo".

Si vocifera che Cairo valuti il Torino sui 300 milioni, per eventualmente venderlo tra i 200 e i 250. A un candidato acquirente come la Red Bull, che volesse entrare anche nel calcio italiano (oltre che in Francia con il Paris, come socio di minoranza di Arnault), Cairo potrebbe chiedere anche 50 milioni in più di quel valore “realistico” del Toro che lei ci ha descritto in precedenza: sia per la potenza di fuoco della multinazionale, sia, proseguendo in questo scenario, per le motivazioni dell’acquirente. L’abbinamento di marketing bull-toro sarebbe un plus valore, un unicum che potrebbe garantire soltanto il Torino, in Italia, tra le società di medioalto livello da rilanciare.

"Diciamo che se l’appartamento della nostra metafora si trovasse vicino al posto di lavoro di un grande manager a cui serve perché viene a lavorare a Torino, costui sarebbe disposto a pagarlo di più per una sua motivazione specifica. In economia chi compra deve pensare di concedere al venditore una parte delle maggiori sinergie che farà con il bene. In fondo anche noi compriamo magliette granata con numeri stampati dietro la schiena a un prezzo molto più alto di quanto si potrebbero vendere in qualsiasi altra parte del mondo». Grazie, professore. «Prego. È stato un piacere".

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"I debiti del Torino di Cairo"

Sbagliamo o i debiti complessivi del Torino di Cairo sono saliti da 143 a 159 milioni? Di questi, 10 milioni sono nei confronti dell’azionista di maggioranza, cioè lo stesso Cairo, per via del suo nuovo finanziamento versato nelle casse del Torino nel 2023. "Dal punto di vista finanziario, chi comprasse il Torino per un valore patrimoniale di 79 milioni dovrebbe far fronte, in base a quanto risulta a bilancio, al pagamento di un flusso di debiti fino al 31 dicembre del 2028, ovvero nei canonici 5 anni post chiusura del bilancio: complessivamente, 133,3 milioni di debiti. Per ripagarli, sempre stando così le cose come da fotografia dell’ultimo bilancio approvato, l’acquirente non potrebbe contare su un grande flusso di cassa dalla gestione, considerati gli scarsi risultati economici che caratterizzano il Torino come molte altre squadre di calcio. Né potrebbe puntare troppo sulla vendita con plusvalenza di calciatori in rosa, che a oggi, se venissero venduti tutti, genererebbe circa 75 milioni di plusvalenze. Non granché, insomma. E stiamo parlando per assurdo, ovviamente: perché se vendessi tutti i giocatori che ho, poi chi manderei in campo? Devo vendere e acquistare, insomma. L’acquirente non potrebbe inoltre ottenere cassa dai 40 milioni di marchio nel patrimonio, perché nessuno lo comprerebbe staccato dal Toro. La morale è che l’acquirente del Torino dovrebbe quindi pensare di dedicare all’investimento, oltre ai soldi per l’acquisto del club, un buona dotazione di capitale per ripagare nei prossimi 4 anni, fino al ’28, i debiti creati nel passato".

Riassumiamo, allora.

"Il valore del Torino dal punto di vista della redditività è zero, se non addirittura negativo. Dal punto di vista patrimoniale potrebbe attestarsi tra 4 e 79 milioni, ma ricordando sempre che chi lo acquista avrebbe poi debiti da ripagare già oggi a bilancio per 133 milioni. E ora proviamo a individuare un prezzo realistico del Torino".

Il primo aspetto fondamentale da sottolineare?

"Il prezzo è qualcosa di molto diverso dal valore di bilancio: è stabilito dalla domanda e dall’offerta, che a loro volta sono influenzate da fattori comportamentali come l’umore e il momento, i quali, invece, non giocano un ruolo chiave nella determinazione del valore. Vediamo allora quale potrebbe essere la domanda sul mercato: i potenziali acquirenti, insomma. Dividiamoli per categorie. 1) Un accanito tifoso alla ricerca di ciò che l’accademia definisce un “bene trofeo”: di tanto in tanto i tifosi sperano in qualche ricco imprenditore dal cuore granata con il portafoglio in mano, ma allo stato attuale non sembra esistere. 2) Un miliardario magari non del Toro, ma amante dell’Italia e alla ricerca di un “bene trofeo”. Una specie di Commisso per la Fiorentina, i fratelli Hartono del Como, Niederauer del Venezia o Krause del Parma. Potrebbe anche esistere, ma fino a oggi non si è palesato neppure lui. E non si è palesata neanche la versione araba del miliardario, ovvero il fondo sovrano. E in questo caso, restando alla Serie A, non aiuta il fatto che gli arabi non provino la medesima attrazione per il nostro Paese che provano invece per altre realtà calcistiche. Poi c’è la categoria numero 3: un imprenditore alla ricerca di un “bene trofeo” capace anche di farlo rendere. Una specie di De Laurentiis, o di Lotito, o di Percassi. Cairo poteva essere uno di loro sia per la sua capacità imprenditoriale sia per i tanti anni, 19, in cui è stato presidente. Sembra proprio aver fallito, sotto questo punto di vista".

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