Cairo-Toro, ultimo Natale: tutti gli scenari, nel 2025 ci sarà la svolta?

Voci su Red Bull, arabi e fondi Usa. Prime smentite del presidente granata ("Non voglio vendere"), poi comunicazioni diverse ("Vendo se arriva uno più ricco") e incontri segreti con il sindaco Lo Russo: che a sua volta vuole cedere lo stadio

TORINO - L’ultimo Natale? Sì. O, quantomeno, più sì che no, decisamente. Giacché sarebbe davvero clamoroso se tra un anno il padrone del Torino fosse ancora Urbano Cairo, Cairo Urbano. Se mettiamo in fila tutto quanto è successo già soltanto negli ultimi 4 mesi e proviamo anche a immaginare i prossimi... appuntamenti, il peso delle indiscrezioni e l’analisi delle parole e dei fatti ci fanno concludere che il 2025 sarà l’anno della (agognata) cessione del club granata. A chi, però, è ancora tutto da vedersi: e capirsi. Red Bull? Arabia Saudita, fondo Pif? Investitori qatarini? Fondi Usa? A sentire Cairo, non lo sa neanche lui: «Per ora non si è presentato nessuno», ha ripetuto a più riprese pure di recente. Poi, certo, si può anche decidere di credergli solo in parte. Però le sue parole restano. Come le sue smentite, elargite in forme diverse un po’ a tutti i media da almeno due mesi a questa parte. Un tempo diceva: «Io non voglio vendere, difatti il Toro non è in vendita». Poi la comunicazione è man mano cambiata, tra novembre e dicembre. «Non voglio rimanere patron a vita, i ventenni finiscono» (e Cairo aveva acquistato il club dai Lodisti nel 2005). Adesso, e da qualche settimana, siamo al: «Non voglio vendere, ma se arrivasse qualcuno più ricco e bravo di me sarei disposto a cedere il club». Però? «Però non è ancora arrivato nessuno». Intanto? «Intanto sono diventato il presidente più longevo della storia del Torino». Non certo un dettaglio irrilevante, per un personaggio come lui accusato spesso di qualcosa di simile al culto della personalità.

Chi vuole il Toro?

La sensazione, se ci fermassimo qui? Ci sembrerebbe di partecipare a un gioco dell’oca. Ma le indiscrezioni, le analisi a largo spettro e l’esigenza di sintesi ci invitano a considerare un altro gioco da tavolo, se proprio è necessario evocarne uno: il Monopoli, ça va sans dire. In ballo la possibile compravendita di due caselle direttamente interconnesse, al momento di proprietà di due soggetti diversi: il Torino Fc, in mano a Cairo, e lo stadio Grande Torino, tornato nelle tasche del Comune dopo il fallimento del club di Cimminelli nel 2005 (con annesse ipoteche da 38 milioni complessivi: cifre oggi da rivalutare). L’esito possibile nel nuovo anno, e specificatamente nel primo semestre? Un doppio passaggio di proprietà a un solo acquirente. Prefigurare infatti l’acquisto del solo Torino, cioè senza lo stadio (a quel punto da affittare sulla medesima falsariga della gestione Cairo), significherebbe dover immaginare l’epifania di un candidato acquirente di modesta levatura economica e dal ridotto respiro strategico. Non certo un soggetto «più ricco e bravo» di Cairo. Un club come quello granata, che da 6 anni non produce utili ma soltanto perdite a bilancio (e che può avere un valore di mercato tra 130 e 170 milioni), non può interessare, sic et simpliciter, a qualche fondo arabo o statunitense oppure a una multinazionale come la Red Bull (nella galassia delle sue società di calcio, l’affare stadio si è sempre collegato all’acquisto/rilancio di un nuovo club di proprietà). Il colosso della bevanda energetica ha mai confermato o smentito alcunché: da anni la policy aziendale di Red Bull è questa. Gli austriaci hanno varato una sponsorizzazione, nel Torino: un anno a 400 mila euro. E guardano da tempo al calcio italiano, uno dei campionati europei (e quindi uno dei mercati) più importanti ancora da conquistare (Austria a parte, tra acquisti in solitudine e compartecipazioni sono già entrati in Germania, in Inghilterra e in Francia). L’evocazione bull-toro è poi sotto gli occhi di tutti: a cominciare degli strateghi di marketing della multinazionale di Salisburgo. Tuttavia, al di là delle tante voci e indiscrezioni, non si hanno ancora certezze su un definitivo interesse di Red Bull per l’acquisto del Torino. Rumours diffusi anche su Pif (il fondo sovranno dell’Arabia Saudita), ma anche in questo caso senza certificazioni di sorta.

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Toro, Cairo e la questione stadio

Da settimane, Cairo pare sempre di più (e non solo alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori calcistici) un patron ormai giunto al capolinea, stanco, in larga parte svuotato, forse addirittura finito in un vicolo cieco (ovviamente qui si valuta esclusivamente il presidente del Torino, non certo l’editore proprietario di un impero: Rcs, La7 e Cairo Communication). A fine novembre, lui e il sindaco Lo Russo decisero di incontrarsi a pranzo in gran segreto nell’Alessandrino, a Masio (paesino di origine della famiglia Cairo), ciascuno accompagnato da uno stretto, fidato collaboratore. Ore dopo si materializzò, però, la classica soffiata altrui, non cercata dai protagonisti: e il mattino successivo la notizia (a quel punto confermata dai vertici del Municipio) campeggiò su queste colonne e su La Stampa. Interpretazione plausibile, al di là delle puntualizzazioni dei vertici comunali: Cairo e il sindaco fecero un nuovo punto sul doppio obiettivo possibile, la vendita del club e dello stadio a un medesimo potenziale acquirente «ricco e bravo». E lo stadio, si sa, rappresenta soltanto un gravame per la Città (impianto fin qui affittato; ma la concessione scadrà il 30 giugno e va deciso il da farsi). Il sindaco ha dichiarato più volte anche in pubblico di aver avviato l’iter (trattative con l’Agenzia delle Entrate) per liberare lo stadio dalle ipoteche, così da renderlo vendibile.

L'ultimo Natale di Cairo

Nei prossimi mesi, allora, come non aspettarsi novità a fronte di un Cairo come minimo disposto a valutare candidati acquirenti? Un contratto con la sospensiva a 3 mesi (cioè un’intesa condizionata) può rappresentare l’uovo di Colombo: accordo (o preaccordo) per l’acquisto del club a cifre predefinite, a patto che poi si materializzi anche la compravendita dello stadio. Se, strada facendo, questo scenario si rivelasse reale, si spiegherebbe così anche il conclamato desiderio del sindaco di rendere i destini dello stadio suscettibili (prima possibile) a qualsivoglia decisione. E la soluzione farebbe felici tutti: i due venditori, il candidato acquirente e naturalmente i tifosi del Torino. Che giusto 4 mesi fa cominciavano a scendere in piazza, subito dopo la cessione di Bellanova nella seconda metà di agosto: la goccia che fece traboccare il vaso. Di lì in avanti la contestazione è divampata progressivamente in crescendo sia in casa sia in trasferta, tra marce (Torino-Atalanta), proteste feroci anche al Filadelfia (prima del derby), sciopero del tifo nel primo tempo (Torino-Monza), tazebao di striscioni in Maratona (Torino-Napoli), svuotamento della curva e “assedio pacifico” a Cairo nel post partita (Torino-Bologna). E così torniamo all’incipit: se nel 2025 Cairo venderà, sarà anche il trionfo della logica delle cose, dei fatti e dei rapporti causa/effetto, tra volontà diffuse e indiscrezioni sotterranee. L’alternativa opposta non ci pare avere senso, oggi come oggi. «Ma finora non si è ancora presentato nessuno!», ripete lui. Cos’è, semplicemente dispiaciuto?

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TORINO - L’ultimo Natale? Sì. O, quantomeno, più sì che no, decisamente. Giacché sarebbe davvero clamoroso se tra un anno il padrone del Torino fosse ancora Urbano Cairo, Cairo Urbano. Se mettiamo in fila tutto quanto è successo già soltanto negli ultimi 4 mesi e proviamo anche a immaginare i prossimi... appuntamenti, il peso delle indiscrezioni e l’analisi delle parole e dei fatti ci fanno concludere che il 2025 sarà l’anno della (agognata) cessione del club granata. A chi, però, è ancora tutto da vedersi: e capirsi. Red Bull? Arabia Saudita, fondo Pif? Investitori qatarini? Fondi Usa? A sentire Cairo, non lo sa neanche lui: «Per ora non si è presentato nessuno», ha ripetuto a più riprese pure di recente. Poi, certo, si può anche decidere di credergli solo in parte. Però le sue parole restano. Come le sue smentite, elargite in forme diverse un po’ a tutti i media da almeno due mesi a questa parte. Un tempo diceva: «Io non voglio vendere, difatti il Toro non è in vendita». Poi la comunicazione è man mano cambiata, tra novembre e dicembre. «Non voglio rimanere patron a vita, i ventenni finiscono» (e Cairo aveva acquistato il club dai Lodisti nel 2005). Adesso, e da qualche settimana, siamo al: «Non voglio vendere, ma se arrivasse qualcuno più ricco e bravo di me sarei disposto a cedere il club». Però? «Però non è ancora arrivato nessuno». Intanto? «Intanto sono diventato il presidente più longevo della storia del Torino». Non certo un dettaglio irrilevante, per un personaggio come lui accusato spesso di qualcosa di simile al culto della personalità.

Chi vuole il Toro?

La sensazione, se ci fermassimo qui? Ci sembrerebbe di partecipare a un gioco dell’oca. Ma le indiscrezioni, le analisi a largo spettro e l’esigenza di sintesi ci invitano a considerare un altro gioco da tavolo, se proprio è necessario evocarne uno: il Monopoli, ça va sans dire. In ballo la possibile compravendita di due caselle direttamente interconnesse, al momento di proprietà di due soggetti diversi: il Torino Fc, in mano a Cairo, e lo stadio Grande Torino, tornato nelle tasche del Comune dopo il fallimento del club di Cimminelli nel 2005 (con annesse ipoteche da 38 milioni complessivi: cifre oggi da rivalutare). L’esito possibile nel nuovo anno, e specificatamente nel primo semestre? Un doppio passaggio di proprietà a un solo acquirente. Prefigurare infatti l’acquisto del solo Torino, cioè senza lo stadio (a quel punto da affittare sulla medesima falsariga della gestione Cairo), significherebbe dover immaginare l’epifania di un candidato acquirente di modesta levatura economica e dal ridotto respiro strategico. Non certo un soggetto «più ricco e bravo» di Cairo. Un club come quello granata, che da 6 anni non produce utili ma soltanto perdite a bilancio (e che può avere un valore di mercato tra 130 e 170 milioni), non può interessare, sic et simpliciter, a qualche fondo arabo o statunitense oppure a una multinazionale come la Red Bull (nella galassia delle sue società di calcio, l’affare stadio si è sempre collegato all’acquisto/rilancio di un nuovo club di proprietà). Il colosso della bevanda energetica ha mai confermato o smentito alcunché: da anni la policy aziendale di Red Bull è questa. Gli austriaci hanno varato una sponsorizzazione, nel Torino: un anno a 400 mila euro. E guardano da tempo al calcio italiano, uno dei campionati europei (e quindi uno dei mercati) più importanti ancora da conquistare (Austria a parte, tra acquisti in solitudine e compartecipazioni sono già entrati in Germania, in Inghilterra e in Francia). L’evocazione bull-toro è poi sotto gli occhi di tutti: a cominciare degli strateghi di marketing della multinazionale di Salisburgo. Tuttavia, al di là delle tante voci e indiscrezioni, non si hanno ancora certezze su un definitivo interesse di Red Bull per l’acquisto del Torino. Rumours diffusi anche su Pif (il fondo sovranno dell’Arabia Saudita), ma anche in questo caso senza certificazioni di sorta.

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