MotoGP, se i talloni d'Achille sono Honda e Marquez

L’otto volte campione del mondo Marc Marquez ha rescisso il contratto che lo legava alla Casa giapponese per il prossimo anno
MotoGP, se i talloni d'Achille sono Honda e Marquez© EPA

L’otto volte campione del mondo Marc Marquez ha rescisso il contratto che lo legava alla Honda per il prossimo anno. Me l’avessero detto l’altr’anno, ne avrei riso. Con la Honda Marquez ha vinto, ha dato spettacolo, ha invaso i territori di Rossi & Co e li ha conquistati. Nel 2017, 2018 e 2019 ero ai box con Dovi e la Ducati e ce li siamo trovati troppo spesso ed inesorabilmente davanti. Quel connubio era pressoché imbattibile. Un pilota straordinario su una moto vincente, tatuata addosso. Tra il 2014 ed il famigerato 2020, l’unico tallone d’Achille di Marquez-Honda sono stati Marquez e la Honda. Come nel 2015, quando nel tentativo di umiliare gli avversari il catalano s’è steso quanto basta per permettere alle Yamaha di Rossi e Lorenzo di litigarsi ‘’il Mondiale del biscotto’’. Oppure come nella gara d’apertura del 2020 a Jerez, quando Marquez inciampa sulla sua onnipotenza, si spacca. Sbavando invulnerabilità rientra maldestramente, fa più danni di prima e perde i successivi tre anni. A parte queste parentesi: 6 mondiali, 59 vittorie, 101 podi e 64 pole positions. Mica bruscolini.

La mossa del "Campeon"

E quindi cos’è successo? La mossa del "Campeon" è dettata dall’immensa frustrazione nei confronti di una Honda rimasta al palo dell’evoluzione tecnica. E allora il capitano sega il palo e salta dalla barca che sembra affondare. Da un lato capisco Marquez. Vive la terza ed ultima fase della sua carriera e lo fa con il fuoco di chi vuol tornare alla vittoria o forse con l’ansia di chi vuol dimostrare di essere migliore. Di chi? Di Valentino Rossi? Comunque sia, Marc si ritrova incatenato alla sella di una Honda, lenta e pericolosamente imprevedibile governata da un reparto corse che non ha dimostrato di avere idee chiare, un progetto ambizioso e nemmeno di aver capito la lezione impartita dagli europei. La storia è che negli ultimi anni Honda, appoggiata pigramente alle garanzie di performance di un Marquez in costante convalescenza, ha perso il filo del discorso tecnico. Orfana lungamente del suo ricoverando faro illuminante ha preso sottogamba le nuove mode dell’evoluzione tecnica. Aerodinamica in primis. Ed ancor più miope s’è dimostrata di fronte all’efficacia di quel geniale, spregiudicato e frenetico sviluppo imposto da Ducati & Co. Insomma, la corazzata Honda si è ridotta ad una barchetta in balia di un mare in burrasca e capitan Marc s’è rotto di remare con uno stuzzicadenti.

La scelta di Marquez

Tanto per misurare la temperatura alla crisi di coppia che hanno vissuto Honda e Marquez, quest’anno il catalano ha totalizzato 22 punti dopo 12 weekend con gara doppia. E cioè quanti ne infilava in media, A GARA, nel 2019!!! Se è vero che posso capire la scelta del pilota, non la condivido. Sarà perché preferisco le scelte romantiche a quelle necessariamente vincenti. Supponiamo che lo spagnolo vinca, come è probabile un altro paio di Mondiali in sella ad un’altra moto, avrebbe migliorato la statistica. Sarebbe ancora, e un po’ noiosamente, campione del mondo. Dimostrerebbe, come se servisse, di essere il migliore di quest’anno e del prossimo. Sbadiglio. Ma se Marc invece fosse rimasto fedele alla Casa che gli ha dato tutti quei titoli e che, ricordiamocelo bene, è stata a lui fedele come nessun’altra marca ha fatto con i suoi piloti e se, da vero condottiero, l’avesse riportata in cima all’Olimpo della MotoGP, allora Marc Marquez sarebbe stato più di un pluricampione del mondo. Sarebbe diventato una leggenda, un mito, uno degli dèi della moto. Peccato.

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