Cinà, lezione futuro: pregi e difetti del figlio d'arte pronto a superare i suoi

Il giovane Federico battuto da Dimitrov, ma l’esperienza a Miami sarà preziosa. Il figlio d’arte deve lavorare molto, però già adesso ha un rovescio di primo livello e un’ottima volée

È un gioco troppo serio, il tennis, per non avvolgerlo di sorrisi e di emozioni. Servono a stare meglio con se stessi, in un mondo non facile. E con i piedi per terra. Altrimenti ci pensano gli altri, che sono tipi bruschi al solito, e con i giovani lo sono anche di più, educati secondo la regola mai scritta ma da sempre in voga, che se i ragazzi sono forti meglio che si facciano subito l’idea peggiore degli avversari che li tiranneggiano: le batoste subite oggi riemergeranno nei successivi confronti, come bolle di sapone in una vasca.

Federico Cinà, il figlio d'arte pronto a superare i genitori

Federico Cinà, che in famiglia chiamano Palli e i più Pallino, anche se il ragazzo tanto “ino” non è mai stato, le regole che governano il tennis le conosce per antica frequentazione, e cioè da sempre, essendo a un passo dai suoi primi 18 anni (li compirà il 30 di questo mese). È nato tennista, un altro dei figli d’arte che presto consegnerà al padre, Francesco Cinà, e alla madre, Susanna Attili, l’incombenza di sentirsi “genitori d’arte” di un figlio destinato a diventare molto più forte di quanto non lo siano stati loro. Anzi, quel fatidico momento è già in divenire. Francesco da giocatore è stato il numero 427 Atp nel 1995, prima di diventare coach di lusso di un’atleta che ha fatto la storia più bella del nostro tennis, Roberta Vinci, tra vittorie in Fed Cup, doppi vinti a go-go e una semifinale degli US Open da impazzire, conquistata contro Serena Williams lanciata verso il possibile Grand Slam. Resta Susanna, la mamma, 407 in singolare ma 131 in doppio nel 1994, il moloch familiare da superare. Federico è 370, il secondo diciassettenne più alto in classifica (dopo il tedesco Justin Engel, 355) e a Miami, rifornito di wild card dall’organizzazione, ha superato d’un balzo settanta posizioni. È il più forte singolarista di casa Cinà, e da ciò che si è visto lo sarà presto anche in assoluto, anzi, il numero 131 doppistico della mamma può essere il suo prossimo obiettivo in singolo. Le qualità ci sono.

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Pregi e difetti di Federico Cinà

Lo si è visto anche contro Grigor Dimitrov che quando Federico era in fasce già faceva il tennista. E si è visto anche quanto Federico debba lavorare per fare suo tutto ciò che gli serve e ancora non ha. Riassumo in breve, ben sapendo che il coach papà avrà preso appunti ben più ampi di quanto io non possa permettermi di elencare. Al momento direi che occorra una maggiore scioltezza e armonia nel gioco delle gambe, che sono lunghe (per buona sorte) e aduse talvolta a intruppare tra loro e a non garantire sempre la miglior posizione nel colpire la palla. Poi una presenza in campo più solida e arcigna, più sicura, dunque occorrerà lavorare sulle timidezze tipiche della gioventù. Infine, proseguire il lavoro sul dritto, che di tanto in tanto prende direzioni misteriose. Ma il rovescio è di primo livello, il servizio può diventarlo presto, la volée d’istinto incanta (una, colpita di taglio tra le gambe, e trasformata in un drop imprendibile ha incantato anche Dimitrov), e il sorriso che accompagna i colpi più belli un marchio di fabbrica da non sottovalutare. In quello ho rivisto i dialoghi tra il padre e la Vinci, anche i più nervosi, che finivano spesso tra risate scaccia pensieri.

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Cinà, la sconfitta contro Dimitrov serva da lezione

Li conosce anche Federico, quei momenti. Girava con il padre per il Tour, e c’era anche lui quando Roberta sconfisse la Williams sull’Ashe Stadium. Aveva otto anni. Così come sapeva che Dimitrov non gli avrebbe concesso granché. Federico l’ha impegnato in un primo game di tremori e palpitazioni, nel quale il ragazzino ha avuto la palla break per andare subito in vantaggio. Poi le cose si sono complicate, il filo dei pensieri si è smarrito dietro lo scoramento di quel possibile vantaggio gettato al vento, e sono occorsi non pochi game per ritrovare le giuste cadenze. Il secondo set li ha visti spalla a spalla fino al 3 pari, poi Federico ha avuto bisogno di un game per rifiatare e allentare la pressione, e lì Dimitrov se n’è andato. Giocando molto bene, tra l’altro. Perché almeno a questo il baby Cinà l’ha costretto. E non è poco. Tutto ciò accadeva mentre uno degli sponsor più amichevoli di Federico, Lorenzo Musetti, che lo volle al suo fianco l’anno scorso per tentare la scalata a Wimbledon (si fermò in semifinale, se ricordate), era alle prese con un Quentin Halys assai ben disposto, e di certo superiore al nostro finché Lollo non ha deciso di liberare quel talento che, nel circuito di oggi, solo lui possiede, e che continuo a non capire perché a volte dia quasi l’impressione di trattenerlo. Per carità, Halys è un pezzo avanti in questa smania da “cupio dissolvi” avendo sprecato sulla mancanza di autostima una promettente carriera, che solo ora, ventottenne, lo vede al best ranking da numero 57. Ma certo il primo set di Musetti non prometteva bene, del tutto paralizzato dai molti contropiede elaborati dal francese. Tra alti lai e una racchetta fatta a pezzi, Lollo si è riattivato nella seconda frazione, tra rischi indicibili e un tie break che Halys, memore dei problemi di un’intera carriera, gli ha consegnato con due doppi falli consecutivi. E nel terzo è finalmente spuntato il miglior Musetti di stagione quello che rischia i colpi e li pensa in termini che ai più sono preclusi. Dietro a quella feconda gragnola di dritti e rovesci mi è sembrato che Lollo reclamasse la propria

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È un gioco troppo serio, il tennis, per non avvolgerlo di sorrisi e di emozioni. Servono a stare meglio con se stessi, in un mondo non facile. E con i piedi per terra. Altrimenti ci pensano gli altri, che sono tipi bruschi al solito, e con i giovani lo sono anche di più, educati secondo la regola mai scritta ma da sempre in voga, che se i ragazzi sono forti meglio che si facciano subito l’idea peggiore degli avversari che li tiranneggiano: le batoste subite oggi riemergeranno nei successivi confronti, come bolle di sapone in una vasca.

Federico Cinà, il figlio d'arte pronto a superare i genitori

Federico Cinà, che in famiglia chiamano Palli e i più Pallino, anche se il ragazzo tanto “ino” non è mai stato, le regole che governano il tennis le conosce per antica frequentazione, e cioè da sempre, essendo a un passo dai suoi primi 18 anni (li compirà il 30 di questo mese). È nato tennista, un altro dei figli d’arte che presto consegnerà al padre, Francesco Cinà, e alla madre, Susanna Attili, l’incombenza di sentirsi “genitori d’arte” di un figlio destinato a diventare molto più forte di quanto non lo siano stati loro. Anzi, quel fatidico momento è già in divenire. Francesco da giocatore è stato il numero 427 Atp nel 1995, prima di diventare coach di lusso di un’atleta che ha fatto la storia più bella del nostro tennis, Roberta Vinci, tra vittorie in Fed Cup, doppi vinti a go-go e una semifinale degli US Open da impazzire, conquistata contro Serena Williams lanciata verso il possibile Grand Slam. Resta Susanna, la mamma, 407 in singolare ma 131 in doppio nel 1994, il moloch familiare da superare. Federico è 370, il secondo diciassettenne più alto in classifica (dopo il tedesco Justin Engel, 355) e a Miami, rifornito di wild card dall’organizzazione, ha superato d’un balzo settanta posizioni. È il più forte singolarista di casa Cinà, e da ciò che si è visto lo sarà presto anche in assoluto, anzi, il numero 131 doppistico della mamma può essere il suo prossimo obiettivo in singolo. Le qualità ci sono.

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