Caso Acerbi e l'altra giustizia sportiva: Juve, Conte e le condanne senza prove

La sentenza suona come inevitabile, alla luce degli elementi sul tavolo e dell’inderogabile garantismo di fondo. Ma in passato non sono mancate deroghe a quest’ultimo principio
Caso Acerbi e l'altra giustizia sportiva: Juve, Conte e le condanne senza prove© Marco Canoniero/Getty Images

E così, dopo dieci giorni di veleni, Francesco Acerbi è stato assolto per mancanza di prove. Per mancanza, meglio, di «alcun ulteriore supporto probatorio e indiziario, rimanendo il contenuto gravemente discriminatorio confinato alle parole dell’offeso» al punto che «non si raggiunge il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto dell’offesa recata», per utilizzare la terminologia del giudice sportivo Gerardo Mastrandrea. La sentenza suona come inevitabile, alla luce degli elementi sul tavolo e dell’inderogabile garantismo di fondo. Se non che, in passato, la giustizia sportiva a quest’ultimo principio abbia derogato eccome.

La Juve e le plusvalenze

Gli esempi più immediati riguardano precedenti casi di insulti razzisti, ma la casistica delle condanne in assenza di prove prescinde da questi. La penalizzazione comminata alla Juventus lo scorso anno riguardo le plusvalenze è lì, fresca, a testimoniarlo. La mancanza di effettivi riscontri aveva indotto l’accusa a mutare il capo d’imputazione a procedimento in divenire, facendo ricorso all’ampio bacino della lealtà sportiva e calpestando i principi del giusto processo. E, poi, a utilizzare come elemento decisivo le intercettazioni telefoniche operate dalla Procura di Torino, senza che queste ultime fossero ancora state vagliate nel contraddittorio del processo penale, unica sede in cui sia possibile (Costituzione alla mano…) procedere alla formazione di una prova.

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Conte e il "non poteva non sapere"

E ancora: i dieci mesi di squalifica inflitti ad Antonio Conte, nel 2012, per il caso scommesse? Nessuna prova, ma la formuletta vincente del non poteva non sapere. Secondo la Commissione Disciplinare Figc, infatti, «è davvero poco credibile che Conte non fosse a conoscenza, anche in ragione del suo carattere accentratore. Ipotizzare che i componenti dello staff o la squadra prendessero decisione a sua insaputa non è oggettivamente credibile». Anche in quel caso, forse, sarebbe servito un po’ di inderogabile garantismo.

Marconi-Santini: le sentenze

E poi, appunto, ci sono i precedenti casi di razzismo, in cui i principi di giurisprudenza hanno valicato anche la presenza di testimoni. Anno di grazia 2020: Michele Marconi, attaccante allora al Pisa, viene squalificato per dieci giornate, sulla base dell’articolo 28 del Codice di Giustizia Sportiva della Figc, in seguito a un duello verbale con Joel Obi del Chievo. «Sviluppando un ragionamento logico, appare verosimile che non vi sia altra plausibile ragione idonea a giustificare la reazione dei giocatori se non quella di aver udito una frase certamente grave e offensiva – si legge nella sentenza della Corte Federale d’Appello, che aveva stabilito la pena –. Non è d’altronde necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito né il superamento del ragionevole dubbio, ma è sufficiente un grado inferiore di certezza». Ecco, appunto. Anno di grazia 2021, ancora: Claudio Santini, attaccante del Padova, incappa in uno stop analogo dopo una disputa con Shaka Mawuli della Sambenedettese. «Il fatto contestato può essere ritenuto provato anche se il quadro probatorio sia formato dalle sole dichiarazioni della persona offesa – spiega addirittura il dispositivo del Tribunale Federale Nazionale in quella circostanza –, purché sia sottoposta a vaglio positivo la sua attendibilità». A distanza di tre anni ha invece prevalso il rigore normativo degli articoli 65, 66 e 68 del Codice, che disciplinano l’operato del giudice sportivo.

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E così, dopo dieci giorni di veleni, Francesco Acerbi è stato assolto per mancanza di prove. Per mancanza, meglio, di «alcun ulteriore supporto probatorio e indiziario, rimanendo il contenuto gravemente discriminatorio confinato alle parole dell’offeso» al punto che «non si raggiunge il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto dell’offesa recata», per utilizzare la terminologia del giudice sportivo Gerardo Mastrandrea. La sentenza suona come inevitabile, alla luce degli elementi sul tavolo e dell’inderogabile garantismo di fondo. Se non che, in passato, la giustizia sportiva a quest’ultimo principio abbia derogato eccome.

La Juve e le plusvalenze

Gli esempi più immediati riguardano precedenti casi di insulti razzisti, ma la casistica delle condanne in assenza di prove prescinde da questi. La penalizzazione comminata alla Juventus lo scorso anno riguardo le plusvalenze è lì, fresca, a testimoniarlo. La mancanza di effettivi riscontri aveva indotto l’accusa a mutare il capo d’imputazione a procedimento in divenire, facendo ricorso all’ampio bacino della lealtà sportiva e calpestando i principi del giusto processo. E, poi, a utilizzare come elemento decisivo le intercettazioni telefoniche operate dalla Procura di Torino, senza che queste ultime fossero ancora state vagliate nel contraddittorio del processo penale, unica sede in cui sia possibile (Costituzione alla mano…) procedere alla formazione di una prova.

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