Procede lesto e inarrestabile il fiume, nel suo avvicinamento al Grande Blu. Viene presto l’autunno ed è molto più breve dell’estate. Sicché, è quasi subito inverno. Falstaff, definitivamente licenziato, non tornerà mai più. O forse soltanto nel ricordo privato, per non morire dentro prima che fuori. La criniera del leone, una volta coperto il sole dalle nubi del tempo, si fa arruffata. Anche il passo non è più quello di una volta. Tante tempeste ha attraversato Agnelli III. Persino troppe, anche per le grandi spalle di un re. Ora è arrivato il momento di leggersi e di rileggersi attraverso il gioco degli specchi. Un gioco pericoloso. Il vecchio sovrano Lear, reduce egli stesso dalla Tempesta, impazzì osservando il suo volto di uomo illustre solcato da ferite profonde. E vide, soprattutto, il viso di Cordelia. Diventò cieco, Lear. Ma proprio in quel momento, con la sua figlia accanto a parlargli dolcemente, vide sul serio ciò che aveva mai osservato prima quando si illudeva di possedere gli occhi del falco, ma in realtà era miope. In inverno è più facile sentire e ascoltare le voci perché la neve, silenziosa e segreta, cade senza fare rumore. La voce di un figlio, Edoardo, che raccontava un giorno a un amico: «Mio padre, che adoro e che venero, un pomeriggio mi telefonò nella casa di Villar. Tieniti pronto, questa sera, perché andremo alla partita insieme. Lo aspettai fino a quando il sonno non mi avvolse facendomi addormentare, completamente vestito, sulla poltrona della sala. Era notte fonda. Non venne mai, mio padre. Anche questo è mio padre». L’ultima voce, un sussurro. Forse. Prima del nuovo e definitivo ed eterno incontro, durante il quale sarà bastato chiedere scusa per essere stati perdonati. E? finito anche l’inverno, adesso. Non ci sono più stagioni, né altre esistenze da vivere per poi essere raccontate. La testa del fiume ha raggiunto il Grande Blu e si è buttata dentro. Anzi, si è lasciata andare con voluttuoso senso di abbandono. Stanco di potere e di guerra, di compromessi e di finzioni, di successi e di pause, di cortigiani e di finti amici. Pacificato con se stesso e quindi indifferente a tutto ciò che verrà detto su di lui da chi vorrà narrare la storia del grande fiume. Resta la memoria. Quella rimarrà sempre: privilegio per pochissimi. Eppoi, piano e fatalmente, anche lei si farà più lieve e sfumerà con i passi nel tempo sempre più rari di chi, una volta all’anno, arrancherà sui gradini di pietra di quella antica scala che porta alla cappella da dove si vedono i tetti delle case della brava gente di montagna. Lì, sotto la roccia e ascoltando con attenzione, sarà possibile sentire il rumore che fa una esile vena di acqua, fresca e ancora incontaminata, con tanta voglia di uscire per diventare un grande fiume.