Juve, dai cori in Polonia alla coerenza di Weah. E farsi rispettare?

È subentrata l'abitudine a comportamenti imbarazzanti da parte di chi riveste un ruolo istituzionale: la pubblica denigrazione non può essere normalità
Juve, dai cori in Polonia alla coerenza di Weah. E farsi rispettare?

Non ho dubbi che quei campioni di atletica leggera, nel cantare divertiti e danzanti quel coro anti Juve inspiegabilmente partito dagli altoparlanti dello stadio di Chorzow, fossero guidati da uno spirito esclusivamente goliardico e amichevole. Nessuna impressione, per quanto mi riguarda. E forse la questione sta esattamente lì: ci siamo abituati, tutti. Non mi riferisco all’ormai ben nota ossessione di tanti disperati che sui social e nei bar vivono il calcio come odio per una squadra (sempre quella) ben più che come supporto per la propria.

Juve sotto scacco con motivazioni surreali

Quelli che se per le plusvalenze, dopo 20 anni di tolleranza assoluta verso chiunque, la Juve resta sei mesi sotto scacco e resta senza Champions con motivazioni surreali, restano con la bava alla bocca con quei «vergognatevi, avete patteggiato». Magari dopo dieci patteggiamenti ben più compromettenti della propria squadra negli anni passati, finiti però curiosamente in basso a pagina 23. E neanche ai soliti noti con tesserino che, dopo averci raccontato il calcio per decenni sulle tv principali, hanno poi tolto la maschera alimentando quotidianamente un velenoso e pericoloso odio “ad squadram”. Non serve toccare il fondo arrivando a pensare a loro.

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Abituati a comportamenti imbarazzanti

Il vero problema è che ci siamo abituati a comportamenti imbarazzanti da parte di chi riveste un ruolo istituzionale (del resto è istituzionale anche la maglia azzurra): dal PM che ostenta fiero l’odio per i bianconeri al fine di alleggerire il clima di un convegno sportivo, fino alla maestra elementare che invoglia i suoi giovanissimi studenti a cantare cori contro la Juve, filmandoli per postare successivamente il video nella chat con i genitori; dai sindaci che cercano gradimento con slogan populisti perfino sul calcio o dai politici di rilievo che si fanno fotografare senza alcun pudore con una sciarpa becera, fino a quei tribunali in cui tra sciarpe della squadra locale spunta un cartello che denigra i rivali più odiati.

L’esempio di George Weah

Ci sarebbero mille altri esempi, ma proprio mentre devo chiudere mi appare un video in cui George Weah, in una celebre trasmissione di fine anni ’90, confessa di avere sempre tifato per la Juventus. Gelo. Tentativi da studio di ottenere una rettifica («Non ci risulta»), la battuta del noto attore tifoso rossonero («e quando sei guarito?») ma il campione insiste: «Gioco nel Milan, ma sono da sempre un grande tifoso della Juve». Inconcepibile, no? Grazie a George e in bocca al lupo al figlio Timothy, allora, ma devo chiudere davvero e resta solo lo spazio per una preghiera alla società: sì, resti antipatica, priorità assoluta delle Juve vincenti, ma si impegni affinché la pubblica denigrazione nei suoi confronti smetta di essere normalità quantomeno per chi riveste ruoli istituzionali, che indossi una formale toga, una solenne fascia tricolore o una sportivissima maglia azzurra. Così, per vedere l’effetto che fa, anche sui tifosi bianconeri.

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Non ho dubbi che quei campioni di atletica leggera, nel cantare divertiti e danzanti quel coro anti Juve inspiegabilmente partito dagli altoparlanti dello stadio di Chorzow, fossero guidati da uno spirito esclusivamente goliardico e amichevole. Nessuna impressione, per quanto mi riguarda. E forse la questione sta esattamente lì: ci siamo abituati, tutti. Non mi riferisco all’ormai ben nota ossessione di tanti disperati che sui social e nei bar vivono il calcio come odio per una squadra (sempre quella) ben più che come supporto per la propria.

Juve sotto scacco con motivazioni surreali

Quelli che se per le plusvalenze, dopo 20 anni di tolleranza assoluta verso chiunque, la Juve resta sei mesi sotto scacco e resta senza Champions con motivazioni surreali, restano con la bava alla bocca con quei «vergognatevi, avete patteggiato». Magari dopo dieci patteggiamenti ben più compromettenti della propria squadra negli anni passati, finiti però curiosamente in basso a pagina 23. E neanche ai soliti noti con tesserino che, dopo averci raccontato il calcio per decenni sulle tv principali, hanno poi tolto la maschera alimentando quotidianamente un velenoso e pericoloso odio “ad squadram”. Non serve toccare il fondo arrivando a pensare a loro.

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