Pagina 15 | "E questo è un minuto" per Tuttosport

E questo è un minuto, una serie di contenuti ideati per comunicare che in isolamento possiamo approfittarne per allenare il nostro cervello e il nostro carattere. Alessandro Geraldini, giornalista e scrittore, ha sempre cercato risposte alla stessa domanda: “che forma stiamo prendendo noi e il nostro mondo?”. Allora due anni fa ha deciso di raccontare e commentare le notizie più interessanti e applicabili alla nostra realtà, prese soprattutto da giornali esteri: dalla politica alla neurobiologia, alla ricerca di contenuti capaci di ispirare. Per farlo ho ideato un format: si chiama appunto “E questo è un minuto”.

  Sondaggio: il 40% degli italiani pensa di trascorrere momenti di scarso valore in questi giorni. C’è chi dice che tanti di noi, dopo aver passato una vita a dire “se solo ne avessi il tempo” – riferito a scrivere un libro, imparare una lingua, suonare uno strumento -, oggi che, nonostante il tempo a disposizione, non sono riusciti a fare quello che dicevano di voler fare, sono stati messi davanti alla loro mediocrità. Non è vero: siamo chiusi in casa, stressati, colpiti da immagini che ogni giorno ci ricordano la tragedia in corso, ansiosi per noi stessi, la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro lavoro, il nostro paese, il futuro. È tanta roba. Invece di essere ossessionati dalla “produttività”, dal desiderio di capitalizzare questo momento, iniziamo a complimentarci con noi stessi ogni mattina, per la capacità di adattamento e sacrificio che abbiamo dimostrato e stiamo dimostrando. Complimentiamoci con noi stessi e occupiamoci di chi sappiamo incastrato in una spirale negativa. Manca ancora tempo per sconfiggere questo maledettissimo virus. Forza! E questo è un minuto per tifare ognuno di noi.
 

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E’ stato calcolato che ogni essere umano prende in media 35 mila decisioni al giorno, piccole o grandi, 200 solo sul cibo. E non importa se sono decisioni importanti o meno, il cervello si stanca lo stesso. 

 
Perché Steve Jobs si vestiva sempre uguale? Perché capire E’ stato calcolato che ogni essere umano prende in media 35 mila decisioni al giorno, piccole o grandi, 200 solo sul cibo. E non importa se sono decisioni importanti o meno, il cervello si stanca lo stesso. Perché Steve Jobs si vestiva sempre uguale? Perché capire come vestirsi vuol dire prendere una miriade di decisoni appena sveglio, e sprecare energia utile…che poi se il tuo cervello a un certo punto perde la carica, mica te lo dice: si sa che non siamo bravi ad ammettere i nostri limiti. E una volta scarico, o decidi d’istinto o non decidi: e rischi di sbagliare. C’è un trucco però, che dura un minuto: prima di prendere una decisione, o fare una telefonata, o mandare una mail importante, fermati un secondo, cerca di capire se sei arrabbiato, affamato, solo o stanco. Se lo sei mangia qualcosa, parla con qualcuno a cui vuoi bene, usa una tecnica di rilassamento. E in generale prova a delegare o automatizzare più decisioni possibili, conserva energia per le cose più importanti. Alla fine decidere meglio vuol dire vivere meglio. Inizia ad allenarti. E questo è un minuto per la fase 2 del tuo guardaroba.

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In un esperimento alcuni topi avevano a disposizione cibo, delle topine con cui fare sesso, e un pedale per farsi delle botte di dopamina, un neurotrasmettitore che ci fa sentire bene. Beh i topi rimanevano casti e morivano di fame ma continuavano a dargli giù di pedale, fino a 700 volte in un’ora.

 Un effetto slot machine: lo stesso che abbiamo con mail, social e chat. Il problema è che una volta distratti, quando torniamo a quello che stavamo facendo è come se avessimo perso 10 punti di quoziente intellettivo. E volta per volta cambiamo la struttura neuronale del cervello. Ecco perché uno dei principali consigli di tutti i grandi del tech, gli stessi che “hanno creato un mondo di distrazioni digitali” – da Gates a Zuckerberg – è che per rimanere sani e migliorarsi serve isolamento e leggere… libri. Non che ci si debba dare divieti, stando tutto il giorno a casa. Ma se riesci dosa il digitale, previeni le distrazioni quando fai qualcosa di importante, e ogni tanto butta telefono e telecomando e immergiti in un bel libro. È l’unico mass-media in grado di ribilanciarci. E questo è un minuto per gestire la dopamina.

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In un esperimento hanno chiesto a delle persone di tenere una mano ferma su una lastra di ghiaccio: quelli che dicevano parolacce resistevano di più al dolore e allo stress di quelli che dicevano parole qualsiasi. In un altro esperimento bisognava pedalare il più veloce possibile, e negli ultimi trenta secondi aumentava la resistenza dei pedali. 

 Chi ripeteva parolacce performava di più. In un terzo esperimento hanno chiesto ai volontari di scrivere tutte le parole che gli venivano in mente con un’iniziale. Poi stessa iniziale, ma stavolta parolacce. Chi vinceva la prima prova, e quindi dimostrava di conoscere meglio la sua lingua, vinceva anche la seconda prova. La morale è che le parolacce possono essere fastidiose, ancora di più se dette da bambini, e insopportabili, da prepotenti, se usate per interrompere una discussione. Però se usate al momento giusto possono dare più forza fisica, più resistenza al dolore, e possono dimostrare maggiori capacità mentali, più intelligenza. Basta non esagerare E questo è un minuto.
 

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È dimostrato che leggere un libro concentrati aiuta la capacità di analisi, la comprensione, l’immaginazione, l‘intelligenza emotiva. Solo che da quando sono usciti i media digitali, noi ci siamo abituati allo “skim reading” che vuol dire leggere veloci, per sommi capi, saltando qui e la pezzi di testo, per arrivare prima alla fine. 

 Che cosa succede quando facciamo skim reading? Che analizziamo, e quindi capiamo, di meno. Quindi diventiamo più stupidi e bruciamo circuiti neuronali che hanno seimila anni di età, e che riguardano empatia, pensiero complesso, analisi critica e altre cose fondamentali. Secondo una delle maggiori esperte mondiali del settore, non c’è da panicare, né da prendersela al solito con la tecnologia. No, c’è da bi-alfabetizzare il cervello, cioè renderlo adattabile a lavorare in entrambe le modalità, il che lo renderebbe anche più potente. Come fare? Basta dedicare una parte di ogni giornata per una lettura in modalità profonda. Al resto ci pensa lui, il cervello. E questo è un minuto.
 

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 In media in ogni casa americana ci sono 300mila oggetti, dalle graffette al frigorifero. Gli americani sono un po’ eccessivi in tutto, si sa, ma anche se ci analizzassero a noi italiani, non credo che faremmo tanto meglio. 


Ogni bambino inglese ha in media 238 giochi ma alla fine ne usa 10.
Ogni essere umano passa in media 10 minuti al giorno a cercare qualcosa: alla fine della vita sono 200 giorni buttati via. Quasi sette mesi! Approfitta di questi giorni: butta via le cose inutili, ritrova e metti in ordine quello che hai. E magari, per tutta una serie di buoni motivi, evita, se ti annoi, di compensare ordinandoti di tutto su Amazon. Qualcuno ha detto che il nostro problema non è che diamo troppo valore agli oggetti, è che gliene diamo troppo poco. Ecco perché rischiamo di essere sommersi dalla spazzatura. Allora prima del prossimo acquisto ragiona, rifletti, scegli e poi compra. Altrimenti saranno solo ore in più che prima o poi passerai a cercare cose, per ritrovarle o per disfartene. E questo è un minuto per guadagnare tempo.

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C’è chi è arrivato a dire che, per effetti negativi, è la prossima versione delle sigarette. C’è chi dice che in futuro sarà studiata come la tecnologia simbolo della nostra epoca, altro che computer. Sto parlando della sedia, intesa a 360 gradi. 


Fino all’800 era un oggetto destinato a pochi. Shakespeare nell’“Amleto” non ne nomina nemmeno una. Due secoli Dickens ne “La Casa Desolata”, nomina sedie 187 volte. Negli anni infatti è cambiato il mondo del lavoro, siamo diventati dei fattoni di comfort e la sedia rimane comunque un simbolo di potere. Pensa all’espressione “attaccamento alla poltrona” o al fatto che in inglese il capo azienda è il chairman. È stato calcolato che oggi passiamo il 75% del nostro tempo in posizione sedentaria: per lavorare, vedere film, giocare ai videogiochi, leggere. Tant’è che il mal di schiena è la prima causa globale di disabilità e i disordini metabolici legati alla inattività sono tra le prime cause di morte. Morale: vuoi cambiarla la storia, almeno la tua? Non basta lo sporto purtroppo: dobbiamo imparare a stare scomodi. E questo è un minuto.

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Due chicche sullo stare a casa. A metà Seicento il filosofo e matematico francese Pascal scrisse uno degli aforismi al tempo più contro intuitivi di sempre: “la sola causa dell’infelicità umana è la sua incapacità di rimanere tranquillamente nella sua stanza”. 

 
Pascal voleva sfatare il mito secondo il quale per sentire e scoprire cose nuove e utili dobbiamo sempre andare in posti nuovi. E se nel nostro cervello ci fossero già esperienze che bastano per dieci vite? In fondo che altro è il cervello se non l’ultima frontiera della realtà virtuale? Poi a fine settecento uno scrittore di 27 anni, de Maistre, si chiuse a casa e scrisse un libro ironico “ Un viaggio intorno alla mia stanza”. Voleva comunicare che il piacere che troviamo in posti nuovi dipende più dalla mentalità con cui viaggiamo che dalla destinazione. Se solo la applicassimo a quello che ci circonda potremmo scoprire che la nostra realtà è molto più sexy di quanto pensiamo. E questo è un minuto per la (nostra) fase 2.
 

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Perché la nostra testa non riesce a smettere di creare problemi? Perché sembriamo volerci inventare sempre nuovi problemi? Vari studi scientifici ci dicono che non siamo programmati per essere felici. Siamo programmati per sopravvivere. 

 
E quindi cerchiamo sempre qualcosa da aggiustare, perchè poi ci sentiamo meglio. Tanti di noi credono che una vita di successo vuol dire una vita senza problemi. Non è vero, tutti hanno problemi. Una vita di successo è fatta di problemi. E soluzioni più complesse. C’è chi dice che viviamo in un’epoca in cui etichettiamo come “traumi” o di “violenze” cose di cui quasi nessuna generazione precedente si sarebbe preoccupata. I giorni che stiamo vivendo ci dicono che possono arrivare problemi che non avremmo mai immaginato possibili. Che si può vivere in stato di guerra anche senza bombe che esplodono. E che una volta passato il peggio, speriamo il prima possibile e con meno vittime possibili, potremo finalmente rimettere a fuoco, e in ordine, i nostri problemi, personali e generali. E questo è un minuto per dire che ne usciremo più forti.

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La teoria sulle “preferenza di orizzonte”, formulata dal prof. Peter Atwater riguarda come percepiamo il mondo, in base al nostro livello di fiducia. Quando la fiducia è alta, abbiamo una mentalità "noi-ovunque-per sempre". Pensiamo agli altri e al futuro. Quando la fiducia è bassa, la mentalità è "io-qui-ora". 

 
“La nostra fissazione sul cambiamento climatico, il nostro entusiasmo per attaccarlo” ha detto Atwater, “è stato un riflesso della straordinaria fiducia che avevamo. Il tipo di pensiero strategico e a lungo termine, davvero lungimirante e futuristico si verifica solo nei momenti di picco di fiducia ", ha detto Atwater. Un'altra teoria l’ha formulata un esperto di sicurezza, il Dr. Wucker, che ha etichettato i problemi altamente probabili e prevedibili con l’espressione “rinoceronti grigi”. Questo per dire che altro che cigno nero -quindi un problema inaspettato e improvviso- il virus è stato un rinoceronte grigio. Come del resto è il cambiamento climatico. Teniamoci stretta la lezione per il futuro: anche solo per il gusto di non dover sentir mai più dire “te l’avevo detto”. E questo è un minuto.

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Perché più si diventa grandi più si hanno problemi di memoria a breve termine

 
La capacità di concentrazione è uguale in bambini e adulti. La differenza sta nell’incapacità, con l’età, di filtrare le distrazioni, informazioni irrilevanti. Nel cervello sono due processi distinti. "Valorizzazione": capacità di concentrarci sulle cose che contano. “Soppressione”: capacità di ignorare le cose che non servono. Però ci sono alcuni trucchi che possono stimolare il cervello a rafforzare e riorganizzare le connessioni neurali esistenti: si chiama neuroplasticità. Consigli per eliminare le distrazioni: pulisci e ordina la tua scrivania, reale o desktop che sia, limitati a uno schermo, un’ app, un tab alla volta. Dopo che hai visto qualcosa che vuoi ricordare chiudi gli occhi. Per mettere il turbo alla concentrazione è utile fare esercizio fisico, meditare. Ci sono esercizi cognitivi e videogiochi d'azione immersivi fatti apposta. E questo è un minuto di ginnastica per il cervello.

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Sugli effetti negativi dei social in generale, e di Instagram in particolare, ne abbiamo sentite tantissime: depressioni, disordini alimentari, solitudine, problemi con il sonno ecc. 


Due studi di due delle più grandi università americane però, ci dicono che riattivare memorie felici - o terapia della reminiscenza-, può curare vari sintomi della depressione: soprattutto la ricorrenza di pensieri negativi e gli alti livelli di cortisolo al mattino. Visto che un possessore di iPhone fa in media 2mila foto all’anno, un delirio, la selezione del “meglio di” di tutti i nostri momenti felici è proprio su Instagram, o in generale sui social. E pare che riguardare le nostre foto, rivivere quei momenti felici, ammorbidisce la depressione e fa bene in generale. Non è una teoria, è già stata testata con uno studio fatto su pazienti depressi anni fa. Un’altra soluzione, testata, è cercare profili di persone o gruppi che hanno il nostro stesso “problema”, o comunità nate per occuparsi di questo o quell’altro problema: l’arma di rigenerazione di massa dell’empatia. E questo è un minuto.

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“L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa” disse il Presidente americano Roosevel nel 1933


Era l’apice della Grande Depressione. “Una volta che il mondo sembra un luogo pericoloso la paura conosce pochi limiti” ha detto di recente uno psicologo americano. Più parliamo di una minaccia che non conosciamo bene, più attiviamo la paura. Più ci da insicurezza, più ci fa paura. È una spirale. Che scatena stress e ci spinge ad azioni irrazionali. Prima la paura si trasmetteva da persona a persona, con le parole ma anche con l’odore. È dimostrato che la paura si può fiutare. Poi sono arrivati i social media e…BUM! Uno studio ci dice che se una notizia ci spaventa o ci fa arrabbiare, abbiamo maggiori probabilità di condividerla, anche se non l’abbiamo verificata. Un bel problema. Lo studio dice che l’unica soluzione è ascoltare chi ci capisce, studiare, riflettere e agire, ma in modo razionale. Quindi, vista l’esplosione di fake news e teorie assurde sul virus, e visto che abbiamo imparato a non toccarci occhi, naso e bocca, pensiamoci due volte pure prima di premere il tasto “condividi”. E questo è un minuto contro la paura.

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Una dei tanti problemi della nostra epoca è il pensare, e quindi parlare, in assoluto: bianco e nero.


O è cosi o è colà. Zero sfumature. In fondo è più facile, si fa meno fatica. Ma adesso c’è anche la scienza a dirci che ci fa male. Primo: i “bianco o nero”, chiamiamoli cosi, tendono a credere a pregiudizi e faziosità, come le famose fake news. Secondo: obiettivi, relazioni e autostima dei “bianco o nero” con gli anni non possono che andare a peggiorare. Terzo: idee e pensieri “bianchi o neri” appaiono in persone che hanno il 50% in più di possibilità di sviluppare ansie e depressioni varie e l’80% in più di probabilità di sviluppare tendenze al suicidio. “Gli uomini”, diceva un filosofo greco (Epitteto), “non sono disturbati dalle cose, dal contesto, ma dalla visione che ne hanno”. Insomma, dal modo in cui pensiamo. Quindi in campana, soprattutto di questi tempi. Curiosità e flessibilità, non sono solo segni di intelligenza, fanno anche bene alla salute. E questo è un minuto per guardare il mondo a colori.

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Se il nostro cervello preferisce vivere nel passato o nel futuro ma il presente è la nostra unica salvezza, che fare?


In un esperimento hanno scoperto che un mantra, quindi una parola o un’espressione ripetuta continuamente, rilassa la parte più egocentrica del cervello, che è quella associata con attività come pianificare il futuro, valutare, vagare con la mente. Non servono parole religiose o scientifiche, ne basta una qualsiasi. Ecco perché si sono inventati un mantra universale. È una semplice frase: “in questo momento è cosi”. Usalo mei momenti di difficoltà. Certo non risolve problemi come una bacchetta magica, però può essere un aiuto per accettare la realtà, riflettere, calmarsi prima di reagire. Del resto anche Ray Dalio -uno squalo di Wall Street, mica un monaco buddista- ha detto: “io sono iperrealista, perché ho scoperto le enormi ricompense che arrivano quando, a livello profondo, accetti, capisci e lavori con la realtà cosi com’è, non come la vorresti”.

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Se il nostro cervello preferisce vivere nel passato o nel futuro ma il presente è la nostra unica salvezza, che fare?


In un esperimento hanno scoperto che un mantra, quindi una parola o un’espressione ripetuta continuamente, rilassa la parte più egocentrica del cervello, che è quella associata con attività come pianificare il futuro, valutare, vagare con la mente. Non servono parole religiose o scientifiche, ne basta una qualsiasi. Ecco perché si sono inventati un mantra universale. È una semplice frase: “in questo momento è cosi”. Usalo mei momenti di difficoltà. Certo non risolve problemi come una bacchetta magica, però può essere un aiuto per accettare la realtà, riflettere, calmarsi prima di reagire. Del resto anche Ray Dalio -uno squalo di Wall Street, mica un monaco buddista- ha detto: “io sono iperrealista, perché ho scoperto le enormi ricompense che arrivano quando, a livello profondo, accetti, capisci e lavori con la realtà cosi com’è, non come la vorresti”.

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