"Lo sport è un diritto, ora lo dice la Costituzione": l'intervista a Berruto

"Non deve rimanere solo un articolo, ma generare politiche nuove per mettere in pratica i valori educativi, sociali ed economici"
"Lo sport è un diritto, ora lo dice la Costituzione": l'intervista a Berruto© ANSA

«La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Da oggi la Costituzione della Repubblica Italiana sarà ancora più moderna, da oggi la nostra Carta accoglie l’idea di sport e lo fa un giorno dopo aver celebrato alla Camera i suoi settantacinque anni, come volesse essere sicura di mantenersi sempre in forma, lei che nonostante l’età resta meravigliosa e lucida. L’ingresso dello sport e dei suoi valori nella Costituzione è un momento storico per il Paese perché non è affatto un passaggio simbolico, ma può e deve avere dei risvolti pratici per i cittadini, per la loro salute e per la loro cultura. È anche un modo per riavvicinarli alla Costituzione stessa, il libretto di istruzioni della nostra democrazia.

Se lo sport entra nelle pagine della Carta, molti meriti vanno a Mauro Berruto, ex ct della nostra nazionale di pallavolo, uomo di sport, di cultura e di cultura dello sport, ora deputato del PD. È sua l’ispirazione dalla quale è iniziato un poderoso lavoro preparatorio, al quale hanno partecipato decine di persone e che è sfociato nella frase che verrà aggiunta oggi all’Articolo 33 della Costituzione.

Stabilendo, visto che parliamo di sport, una specie di record italiano: neanche un voto contrario nel corso dei vari passaggi che hanno condotto quella frase in aula per il voto di oggi. Berruto sorride. «Sì, a suo modo è un record. Nessuna strumentalizzazione, una piena sintonia di tutte le parti politiche che hanno lavorato senza pensare ai colori».

Ci voleva un ct, evidentemente. «Ci voleva una squadra. Voglio ricordare, per esempio, il grande apporto di “Cultura Italiae” e di “Sport Italiae” che fin da subito hanno collaborato con me e con molti esperti costituzionalisti a quello che tuttora mi sembra un sogno, una visione nata nel periodo del Covid, quando lo sport, insieme a molto altro, si è visto disconoscere la sua importanza fondamentale. Il progetto ha avuto subito l’appoggio di Giovanni Malagò che mise a disposizione la sala della giunta del Coni per la prima riunione con tutte le forze politiche per iniziare un progetto che ha scollinato una legislatura, ma ha sempre conservato la sua forza».

Perché è così importante che lo sport sia nella Costituzione? «Perché lo sport è portatore di tre valori fondamentali: il valore educativo, sociale ed economico. Valori che ora sono garantiti dalla Carta, anzi sono “riconosciuti”. Riconoscere è un verbo importantissimo per chi conosce il lessico della Costituzione: significa che la Repubblica deve operare in modo concreto affinché il diritto allo sport sia garantito a tutti e perché tutti siano messi nella condizione di poterlo esercitare».

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Faccio l’avvocato del diavolo: anche il diritto al lavoro, per citare il più importante, lo sarebbe eppure i risultati sono discutibili. «Certo, sono d’accordo, ma avere un punto fermo e scritto nella madre di tutte le leggi mette a disposizione di tutti un perno intorno al quale agganciare proposte legislative, iniziative, mozioni».

Parlavamo dell’importanza dello sport e dei suoi tre valori. Partiamo da quello educativo? «Lo sport fa parte dell’educazione di un individuo e l’educazione allo sport migliora l’individuo sotto l’aspetto fisico e anche quello culturale. L’idea che l’istruzione non possa essere in nessun modo scissa dal movimento e dalla cosiddetta cultura del movimento è un’idea che ha già dato i suoi frutti con l’insegnante di educazione motoria che è stato introdotto alle Elementari (nelle classi quarta e quinta). Ma ora è impensabile che il processo non continui con l’estensione a tutte le classi e anche alla scuola dell’infanzia, perché l’educazione al movimento fa parte della formazione di una persona».

Il problema restano le strutture. «Un problema enorme: il 50% delle scuole italiane non ha una palestra. Il PNRR ha dedicato 1 miliardo su 209 allo sport: 300 milioni per le scuole. E quei 300 milioni andranno a soddisfare solo il 25% delle richieste, arrivate dal 50% degli istituti che una palestra ce l’ha. Insomma, la situazione è drammatica e non può bastare una frase nella Costituzione a cambiare le cose velocemente, ma quella può diventare il punto su cui fare leva a livello politico. Avere gli insegnanti di educazione motoria in tutte le classi di tutte le scuole, dalla primaria in poi, è un obiettivo raggiungibile. Poi si può anche sfruttare la bellezza del nostro Paese».

In che senso? «Ho allenato per cinque anni in Finlandia e l’educazione motoria è molto importante nel loro sistema scolastico. Bene, in Finlandia hanno delle palestre nelle quali noi giocheremmo il campionato di volley di A2, ma in compenso le istituzioni spingono gli insegnanti a svolgere l’attività sportiva all’aperto con una regola che può far sorridere, ma è indicativa: “a meno che la temperatura non sia inferiore ai -15 gradi”. Ora, al di là che la nostra concezione di freddo magari sarebbe un’altra, l’idea delle cosiddette palestre a cielo aperto non è una follia e può essere applicata, soprattutto al Sud, dove la carenza di palestre è ovviamente e drammaticamente più alta che al Nord».

Educare allo sport significa muoversi e stare meglio, ma anche capire il significato dello sport. Avremmo più sportivi e meno tifosi in questo modo? «Sarebbe un effetto collaterale magnifico. Naturalmente non c’è niente di sbagliato nel tifo sportivo, ma le derive sono spesso pericolose. Siamo un Paese che guarda molto sport e ne pratica poco: questo incide nell’incultura sportiva che porta alle degenerazioni violente e discriminanti. Abituarsi al movimento, praticare uno sport, uno qualsiasi, porta a ragionare in modo diverso quando si vedono le competizioni dei professionisti. E questo è un valore sociale importante. Lo sport poi è inclusivo, tutto il settore paralimpico ci insegna che chiunque può e deve fare sport: ecco un altro aspetto del valore sociale dello sport che ci dà in continuazione lezioni di uguaglianza e parità».

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Una pratica maggiormente diffusa dello sport, fin dall’età infantile, potrebbe anche portarci qualche medaglia olimpica in più? «Beh, sì, sarebbe un fatto oggettivamente statistico, ma non è uno degli obiettivi per il quale lo sport viene aggiunto alla Costituzione, perché qui non parliamo di sport professionistico, ma dello sport per tutti. Quindi non solo dei ragazzi in età scolare, ma anche degli anziani, di tutti i cittadini che devono essere messi nella condizione di potersi muovere per aumentare il loro benessere psicofisico. Nessuno discute più il fatto che lo sport aumenti il benessere di una persona, a questo punto quel benessere diventa un diritto, come quello alla salute, anzi strettamente legato a quello alla salute. È indicativo che lo sport abbia trovato spazio nell’articolo 33. Pensate, all’inizio abbiamo discusso molto se la collocazione giusta fosse al 32, che garantisce, appunto, il diritto alla salute e alle cure; oppure al 34 che garantisce il diritto all’istruzione. Si è deciso per il 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Per un allenatore come me, è una collocazione quasi poetica: lo sport, infatti, è arte perché è perfezione di un movimento, fantasia e ispirazione, ma anche scienza, perché riguarda la biologia e la fisica. E l’ambiente».

In che senso l’ambiente? «Nel senso che lo sport aumenta la sensibilità nei confronti dell’ambiente. Qualche giorno fa ero con dei ragazzi che praticavano la canoa. Mai sarebbe venuto loro in mente di gettare una bottiglietta di plastica nel fiume o nel lago dove gareggiano e si allenano. Chi vive lo sport all’aperto capisce l’importanza dell’ambiente ed è il primo a proteggerlo».

E poi ha citato un valore economico dello sport. Cosa intende esattamente? «Ci sono migliaia di pagine che documentano in modo scientifico che un euro investito nello sport di base fruttano da 4 a 7 euro di risparmio nella spesa per il servizio sanitario nazionale. Siamo un Paese con un tasso di obesità e sedentarietà fra i più alti in Europa, abbiamo un’incidenza enorme di malattie cardiovascolari, disturbi metabolici e diabete: tutte patologie che diminuiscono in modo sostanziale con la pratica sportiva. Insomma, se fin qui qualcuno potrebbe sostenere che abbiamo fatto poesia, adesso arriva la prosa: se diminuiscono le ospedalizzazioni, si spendono meno soldi in sanità e tutto questo si può misurare in euro. Parliamoci chiaro: viviamo in un Paese dove l’aspettativa di vita è molto alta, intorno agli 83 anni, ma dai 61 in poi abbiamo la percentuale più alta di persone che vanno a incidere sul servizio sanitario nazionale. E siccome la demografia è una scienza e ci dice che l’aspettativa di vita è destinata ad aumentare, la denatalità non accenna a diminuire e quindi se non riduciamo quel delta fra l’età dell’aspettativa di vita e quella alla quale iniziamo ad avere necessità di cure mediche, il servizio sanitario rischia il collasso. Lo sport è una risposta, perché più movimento significa meno malattie».

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Lo sport ha anche il potere di far girare l’economia. Avete calcolato di quanto? «I dati sono difficili da elaborare, perché il concetto di indotto è molto largo, ma se pensiamo all’impatto che lo sport generico il turismo, con la tecnologia, con l’abbigliamento tecnico, con le lezioni... beh si arriva a calcolare una cifra intorno 25 miliardi di euro, quindi quasi l’1,5% del Pil».

A questo punto abbiamo capito perché lo sport è importante ed è importante che entri nella Costituzione. Ora cosa dobbiamo aspettarci? «Che quella frase inserita nell’articolo 33 trovi applicazione, il che significa iniziative di legge, decisioni e progetti da portare avanti. Se penso ai miei prossimi quattro anni da deputato, penso soprattutto a questo: all’obiettivo di garantire quel diritto allo sport che ora è sancito dalla Carta».

In pratica? «Penso all’edilizia scolastica, alla carenza delle palestre di cui abbiamo parlato. Del fatto che le palestre esistenti chiudono per tre mesi all’anno, proprio i tre mesi in cui i ragazzi sono più liberi di praticare sport, il che è veramente un ossimoro. Penso alla conformazione delle città e al dare ai cittadini la possibilità di praticare sport all’aperto. Penso ad aiuti per le famiglie che non possono permettersi lo sport. Lo sport, il movimento, è un diritto e va garantito».

Curiosità: perché lo sport non era già nella Costituzione? «Bisogna pensare al momento in cui la Costituzione è stata redatta. I padri costituenti venivano dalla stagione del Fascismo che, come spesso accade nei regimi nazionalisti, aveva strumentalizzato lo sport per farne uno strumento di propaganda politica e cultura. Peraltro distorcendone completamente l’autentica natura, perché lo sport è un linguaggio universale di pace, fratellanza e amicizia tra i popoli. Lo sport è inclusivo, non divisivo».

Le vittorie, nello sport, si dedicano. Forse gli articoli della Costituzione no, ma a chi penserà votando? «Io dedico tutto questo a Pietro Mennea, atleta profeta della fatica, 4 lauree, esperto di diritto dello sport. Sognava questo traguardo, ci abbiamo messo un po’ troppo, ma ci siamo riusciti. So che in qualche modo sarà in aula con noi e sarà felice».

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«La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Da oggi la Costituzione della Repubblica Italiana sarà ancora più moderna, da oggi la nostra Carta accoglie l’idea di sport e lo fa un giorno dopo aver celebrato alla Camera i suoi settantacinque anni, come volesse essere sicura di mantenersi sempre in forma, lei che nonostante l’età resta meravigliosa e lucida. L’ingresso dello sport e dei suoi valori nella Costituzione è un momento storico per il Paese perché non è affatto un passaggio simbolico, ma può e deve avere dei risvolti pratici per i cittadini, per la loro salute e per la loro cultura. È anche un modo per riavvicinarli alla Costituzione stessa, il libretto di istruzioni della nostra democrazia.

Se lo sport entra nelle pagine della Carta, molti meriti vanno a Mauro Berruto, ex ct della nostra nazionale di pallavolo, uomo di sport, di cultura e di cultura dello sport, ora deputato del PD. È sua l’ispirazione dalla quale è iniziato un poderoso lavoro preparatorio, al quale hanno partecipato decine di persone e che è sfociato nella frase che verrà aggiunta oggi all’Articolo 33 della Costituzione.

Stabilendo, visto che parliamo di sport, una specie di record italiano: neanche un voto contrario nel corso dei vari passaggi che hanno condotto quella frase in aula per il voto di oggi. Berruto sorride. «Sì, a suo modo è un record. Nessuna strumentalizzazione, una piena sintonia di tutte le parti politiche che hanno lavorato senza pensare ai colori».

Ci voleva un ct, evidentemente. «Ci voleva una squadra. Voglio ricordare, per esempio, il grande apporto di “Cultura Italiae” e di “Sport Italiae” che fin da subito hanno collaborato con me e con molti esperti costituzionalisti a quello che tuttora mi sembra un sogno, una visione nata nel periodo del Covid, quando lo sport, insieme a molto altro, si è visto disconoscere la sua importanza fondamentale. Il progetto ha avuto subito l’appoggio di Giovanni Malagò che mise a disposizione la sala della giunta del Coni per la prima riunione con tutte le forze politiche per iniziare un progetto che ha scollinato una legislatura, ma ha sempre conservato la sua forza».

Perché è così importante che lo sport sia nella Costituzione? «Perché lo sport è portatore di tre valori fondamentali: il valore educativo, sociale ed economico. Valori che ora sono garantiti dalla Carta, anzi sono “riconosciuti”. Riconoscere è un verbo importantissimo per chi conosce il lessico della Costituzione: significa che la Repubblica deve operare in modo concreto affinché il diritto allo sport sia garantito a tutti e perché tutti siano messi nella condizione di poterlo esercitare».

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