Lecce-Milan, step on foot e il calcio come i videogiochi: facciamo chiarezza

Suscita ancora polemiche il gol annullato a Piccoli nel finale del match di sabato al Via del Mare. Proviamo a capire quale potrebbe essere la linea da seguire sul cosiddetto "pestone"
Lecce-Milan, step on foot e il calcio come i videogiochi: facciamo chiarezza

Facciamo un gioco di fantasia. Immaginiamo di essere all’ultimo minuto di una finale dei Mondiali. La tensione è al massimo, il risultato ancora in bilico. Una delle due squadre segna un gol, ma l’azione è viziata da uno “step on foot” simile a quello di Piccoli su Thiaw in Lecce-Milan. Cosa sarebbe meglio fare? Come dovrebbe comportarsi l’arbitro? Il Var dovrebbe intervenire? Il presupposto è abbastanza semplice: tutti gli addetti ai lavori hanno avuto la sensazione che quello del Via del Mare fosse un gol buono. O meglio: che l’annullamento non fosse la scelta più giusta.

Una sensazione spontanea, quasi di pancia. Un’altra percezione generale, che si fa largo in Italia e all’estero (soprattutto in Inghilterra), è che il Var stia modificando, alterando, secondo alcuni persino rovinando il gioco del calcio. Di sicuro il calcio sta cambiando, e l’arbitraggio anche. Negli ultimi anni, da quando è stata introdotta la tecnologia, si è provato a rendere il più possibile “oggettiva” l’applicazione del regolamento.

L'obiettivo del Var

L’obiettivo? Rendere più comprensibili le decisioni e nello stesso tempo aiutare gli arbitri a prenderle, adottando uniformità di giudizio su episodi simili. Il rischio di un tale modo di procedere è oltrepassare il limite, alterando lo spirito di questo sport. Un esempio di circostanza che si è provato a rendere “insindacabile” è proprio lo step on foot. A mio giudizio, però, questo si configura solamente quando c’è una contesa del pallone rasoterra: chi arriva primo toglie la possibilità all’avversario di giungere a sua volta sul pallone e commette un fallo oggettivo (il classico “pestone”). Nel caso di Lecce, non c’è una vera contesa per arrivare sul pallone: questo è in volo, ed entrambi lo seguono con lo sguardo. Una contesa c’è, ma per prendere posizione, come accade spesso sui lanci lunghi e i calci da fermo: Piccoli pesta involontariamente il piede di Thiaw, il quale non reclama il fallo. A Open Var, Rocchi ha specificato che il regolamento in questi casi non distingue tra volontarietà e involontarietà.

 

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“Step on foot” assente nel regolamento Ifab

Se parliamo di regolamento, però, lo “step on foot” non esiste proprio: non è citato dall’Ifab o nel protocollo Var. È un concetto introdotto verbalmente per facilitare gli arbitri, creando una fattispecie oggettiva. Ma allora se il regolamento non codifica questo aspetto, entra in gioco la sensibilità: occorre considerare volontarietà, intensità, dinamica e funzionalità del contatto. In questo caso a mio avviso non c’è niente di falloso. Soprattutto non si configura il “chiaro ed evidente errore”: il Var Guida non sarebbe dovuto intervenire. Di fronte a un episodio come quello del Via del Mare, occorre anzitutto ricordare che l’arbitraggio non è fatto solo di bianco e nero, ma anche di molte zone grigie: in una circostanza come questa, lasciare il giudizio del campo è la soluzione migliore.

L’oggettività assoluta non esisterà mai

Tornando all’ipotetica finale Mondiale, io non avrei annullato quel gol. Innanzitutto se un arbitro decidesse di revocarlo se ne parlerebbe per anni; se invece lo si convalidasse, se ne discuterebbe comunque, ma almeno si rimarrebbe dalla parte degli amanti del calcio, dei romantici. Non dobbiamo trasformare il calcio nella playstation, l’oggettività assoluta è una chimera, non esisterà mai. Questo non vuol dire abolire il Var (come qualcuno vorrebbe fare in Premier League), bensì rimettere in primo piano il giudizio individuale, soggettivo. Qui allora subentra la qualità degli arbitri: per citare un dirigente di lungo corso dell’Aia e della Figc, Danilo Giannoccaro, in Serie A un direttore di gara deve vedere tante cifre dopo la virgola per approssimare il meglio possibile.

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Massa e i cartellini: il dato che fa riflettere

Una premessa: i numeri vanno sempre interpretati. Non possiamo dire che “l’arbitro che ammonisce di più è il più cattivo”, e chi estrae meno cartellini è “più buono”: ci sono sempre tanti fattori in gioco, tra cui il tipo di gara. Certamente spicca il dato di Marchetti, che in 4 partite ha ammonito solo 8 volte, per la media di 2 soli gialli a partita. Fa testo fino a un certo punto: l’arbitro di Ostia non ha diretto big match, a differenza di Massa, che ha estratto 29 gialli in 5 presenze ed è in cima alla classifica. Di sicuro, se queste linee di tendenza dovessero consolidarsi nel tempo avremmo di fronte due profili di arbitro molto diversi: uno meno propenso alla sanzione, l’altro ben più severo. Per quanto riguarda Massa, secondo arbitro italiano in Europa alle spalle di Orsato, quest’anno gli sono state assegnate diverse grandi sfide. Questa media di cartellini risulta decisamente troppo alta rispetto a quello che è diventato il suo status. Ormai, infatti,è un arbitro di élite e dirige squadre di alto livello da più di cinque anni: per fare il definitivo salto di qualità e provare a insidiare la leadership di Orsato, dovrebbe dunque, forse, gestire certe situazioni con maggiore personalità, evitando le ammonizioni.

È questo l’unico tassello che gli manca, visto che ha finalmente trovato continuità di rendimento sotto il profilo tecnico: non a caso potrebbe essere l’altro italiano insieme a Orsato a essere scelto per gli Europei. Un altro dato che sorprende riguarda Doveri: il romano, a differenza di Massa, ha sempre ammonito poco. Quest’anno il suo operato è tuttavia in controtendenza, e nelle prime dodici giornate Doveri ha persino estratto tre rossi. A prescindere da questo dato l’arbitro romano appare sotto il suo standard abituale: l’augurio è che torni quanto prima su alti livelli, perché ne abbiamo bisogno.

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Serie A, proteste: contestazioni in aumento contro i big

«Proteste? La Serie A è in linea con Ifab, Premier ed Europa»: il designatore Gianluca Rocchi si è espresso così domenica sera a Open Var per quel che riguarda l’elevato numero delle ammonizioni per proteste: un dato che risulta in aumento rispetto allo scorso anno. Il confronto tiene conto solo dei gialli per contestazioni all’arbitro ed evidenzia un +12 rispetto alla dodicesima giornata della stagione 2022-2023. D’altronde si comincia a entrare nel vivo della competizione, ed effettivamente tra le squadre più sanzionate ci sono proprio le big (vedere ad esempio il Milan, col caso recentissimo di Giroud al Via del Mare di Lecce). Non soltanto: quest’anno si ammonisce molto anche per comportamento non regolamentare (perdite di tempo, palloni allontanati prima della battuta di un calcio da fermo, ecc.). Il dato di maggior rilievo è che ad ammonire per proteste o Cnr (comportamento non regolamentare) non sono solamente gli arbitri più giovani, cioè con meno esperienza, anzi: spiccano i nomi di Daniele Orsato, Davide Massa, Fabio Maresca (anche se per lui non si tratta di una novità). Sono dunque i direttori di gara più stimati, più autorevoli, quelli che per “anzianità” conoscono meglio i giocatori.

Un tale dato ci dice con chiarezza che in questo frangente del campionato (molto equilibrato sia in testa sia in coda) non è riconosciuto appieno il carisma degli arbitri più esperti. L’auspicio è che in un futuro prossimo si possa ricorrere a soluzioni meno drastiche: se i cartellini per proteste sono in aumento, non dipende soltanto da un’”imposizione dall’alto”. Servirebbe infatti più empatia tra i protagonisti in campo: giocatori, arbitri, allenatori e addetti ai lavori. A quel punto sfumerebbe la necessità di ricorrere alle sanzioni e si eviterebbero gli estremi della Premier, dove quest’anno si è scelto di estrarre cartellini al minimo cenno di disapprovazione da parte dei giocatori.

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Facciamo un gioco di fantasia. Immaginiamo di essere all’ultimo minuto di una finale dei Mondiali. La tensione è al massimo, il risultato ancora in bilico. Una delle due squadre segna un gol, ma l’azione è viziata da uno “step on foot” simile a quello di Piccoli su Thiaw in Lecce-Milan. Cosa sarebbe meglio fare? Come dovrebbe comportarsi l’arbitro? Il Var dovrebbe intervenire? Il presupposto è abbastanza semplice: tutti gli addetti ai lavori hanno avuto la sensazione che quello del Via del Mare fosse un gol buono. O meglio: che l’annullamento non fosse la scelta più giusta.

Una sensazione spontanea, quasi di pancia. Un’altra percezione generale, che si fa largo in Italia e all’estero (soprattutto in Inghilterra), è che il Var stia modificando, alterando, secondo alcuni persino rovinando il gioco del calcio. Di sicuro il calcio sta cambiando, e l’arbitraggio anche. Negli ultimi anni, da quando è stata introdotta la tecnologia, si è provato a rendere il più possibile “oggettiva” l’applicazione del regolamento.

L'obiettivo del Var

L’obiettivo? Rendere più comprensibili le decisioni e nello stesso tempo aiutare gli arbitri a prenderle, adottando uniformità di giudizio su episodi simili. Il rischio di un tale modo di procedere è oltrepassare il limite, alterando lo spirito di questo sport. Un esempio di circostanza che si è provato a rendere “insindacabile” è proprio lo step on foot. A mio giudizio, però, questo si configura solamente quando c’è una contesa del pallone rasoterra: chi arriva primo toglie la possibilità all’avversario di giungere a sua volta sul pallone e commette un fallo oggettivo (il classico “pestone”). Nel caso di Lecce, non c’è una vera contesa per arrivare sul pallone: questo è in volo, ed entrambi lo seguono con lo sguardo. Una contesa c’è, ma per prendere posizione, come accade spesso sui lanci lunghi e i calci da fermo: Piccoli pesta involontariamente il piede di Thiaw, il quale non reclama il fallo. A Open Var, Rocchi ha specificato che il regolamento in questi casi non distingue tra volontarietà e involontarietà.

 

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