Tatuaggi e rap, il mondo di Sancho
Estate 2008, distretto di Kennington, profonda periferia sud di Londra. Due bambini molto più che vivaci, maglietta intrisa di sudore e ginocchia inesorabilmente sbucciate, si sfidano in infiniti uno contro uno sul ruvido asfalto sotto casa. Sono nati ad appena tre mesi di distanza, con una comune, sconfinata, passione per il calcio. Le possibilità che una dozzina di anni più tardi si ritrovino uno di fronte all’altro su un perfetto manto erboso della Premier League, per la scienza della statistica, sono prossime allo zero. E invece. E invece uno di quei bambini era Reiss Nelson, oggi ala dell’Arsenal, nell’ultima stagione in prestito al Fulham. L’altro? Jadon Sancho, naturalmente, appena quattro anni fa passato dal Borussia Dortmund al Manchester United per 85 milioni di euro e ora sempre più vicino al trasferimento alla Juventus. Il molto più che vivace bambino londinese di nome Jadon, nato per l’esattezza a Camberwell, nel marzo del 2000, da genitori originari di Trinidad e Tobago, a quelle strade – non poi così raccomandabili per diventare ragazzo – è rimasto particolarmente legato. Anche quando il Watford si è accorto delle sue doti tecniche e l’ha strappato a quei marciapiedi, anche quando il Manchester City gli ha offerto un posto nel grande calcio mondiale. Il resto è attualità: Borussia, United, Chelsea.
La scomparsa del fratellino
La notorietà intorno a Sancho è cresciuta in maniera esponenziale, di pari passo al conto in banca. Contratti, sponsor, partnership. Come quella, ormai storica, con la Nike, insieme alla quale – appunto – l’esterno offensivo di proprietà dei Red Devils ha inaugurato un playground a Kennington, dispensando sorrisi e autografi in mezzo agli oltre 200 giovani presenti al taglio del nastro. Un piccolo gesto per restituire ai luoghi della sua infanzia una struttura aggregativa e priva di barriere, al fine di concedere opportunità anche a chi altrimenti avrebbe rischiato di non averne. Ma l’infanzia del ragazzino cresciuto a pallone e playstation, molto più che a lezioni nelle aule scolastiche, non è stata tutta in discesa. Quando ancora era piccolo, infatti, Sancho ha dovuto affrontare un drammatico lutto per la scomparsa del fratellino, a cui durante il funerale aveva voluto dedicare una poesia, scritta di suo pugno nella notte precedente alla funzione. Poesia che oggi rappresenta uno dei tanti tatuaggi sulla sua pelle, di certo il più significativo, impresso per sempre sul suo avanbraccio. Il pallone ha aiutato a lenire quel dolore, nel mito di Ronaldinho, di cui per anni ha provato a replicare finte e dribbling sotto casa. I videogiochi sono serviti per distrarsi da passatempi più pericolosi, così popolari a Kennington.
