Nella prima riunione programmatica dopo Istanbul, Simone Inzaghi aveva chiesto ai dirigenti che fossero confermati in blocco i quattordici considerati titolari nella stagione precedente, ma ci aveva messo poco a intuire che non sarebbe andata così, visto che da quella riunione era uscito con un volto da funerale.
Probabilmente non pensava che all’appello mancassero in così tanti. D’accordo, Skriniar e Brozovic erano dati per persi (lo slovacco si era promesso al Psg, mentre il croato aveva rapporti ormai logori con Marotta e Ausilio), però alla lista degli addii, oltre ai senatori (Handanovic e D’Ambrosio) si sono aggiunti Onana - il più rimpianto - Dzeko e Lukaku. In pratica, si è dissolta la spina dorsale della formazione titolare contro il City (Onana, Brozovic, Dzeko). Ma c’è dell’altro perché Inzaghi, evidentemente convinto da Beppe Marotta sulla necessità di “alzare l’asticella”, nel giorno del vernissage stagionale ha apertamente parlato di scudetto, abbandonando la proverbiale prudenza dialettica. Questo anche perché l’allenatore certo non immaginava che un paio di giorni dopo sarebbe scoppiata la bomba Lukaku che ha portato a effetti collaterali ancora ben visibili. Il belga, nei pensieri di Inzaghi, andava sostituito da Alvaro Morata (operazione rivelatasi più costosa di quanto preventivato e quindi presto abbandonata). Evaporato pure lo spagnolo, l’allenatore - a cui non ha mai fatto difetto l’aziendalismo - si sarebbe fatto andare bene almeno Scamacca, andato però all’Atalanta e ora aspetta Arnautovic, non esattamente un giovincello né il centravanti su cui costruire le ambizioni di vincere la seconda stella. Il tutto per non parlare del portiere: Sommer, che vista l’età, più che l’erede è lo zio di Onana, si è presentato sul posto di lavoro solo il 9 agosto, ovvero a dieci giorni dall’inizio del campionato, mentre Trubin è andato al Benfica e al suo posto è arrivato Audero, fresco di retrocessione con la Sampdoria.