Chi le ricorda Pioli tra gli allenatori che ha avuto?
«Direi nessuno perché il modo di allenare oggi rappresenta l’evoluzione di quello che è stato il calcio nel passato. Ora si allena su concetti diversi rispetto a quando giocavo io. Ai miei tempi in campo c’erano posizioni precise da occupare, mentre un allenatore moderno dà più concetti possibili che il giocatore deve elaborare durante la partita».
Qual è la dote migliore di Pioli?
«La capacità con cui ha trasferito ai giocatori la presa di coscienza della forza della squadra, il non aver mai concesso alibi a nessuno, il fatto di non essersi mai pianto addosso a fronte di alcune avversità passate nell’ultima stagione e il fatto che, a differenza di altri, non si è mai nascosto mostrando le ambizioni del club. Grazie a tutto questo, Pioli ha aumentato la competitività di una squadra che in campo si è sempre mostrata spavalda, ma mai presuntuosa».
A proposito: si aspettava che il Napoli andasse così forte?
«Se rispondessi di sì, direi una follia: credo che nessuno si aspettasse che tenessero quel ritmo. Credo che il loro exploit sia frutto di un mix dato dall’allenatore, che ha preso coscienza dell’importanza del lavoro svolto, e dai giocatori che sono stati bravi a ridistribuire tra loro le responsabilità dopo che sono state fatte alcune cessioni molto importanti. Però è indubbio che il lavoro fatto da Spalletti sia la cosa migliore espressa dal calcio italiano in questa prima parte di stagione».
A gennaio, tra il 4 e il 13 il Napoli affronterà Inter e Juventus: pensa siano già decisive quelle due sfide?
«Diranno tanto e soprattutto diranno se le altre pretendenti allo scudetto possono iniziare a pensare di accorciare il distacco dalla capolista. Saranno due scontri diretti che potranno reindirizzare la seconda parte di stagione oppure, al contrario, se il Napoli dovesse continuare a vincere, beh inizierebbe a diventare impossibile andare a prenderlo».