Calzona, dal caffè all’Europeo con la Slovacchia: “Tutta colpa di Hamsik”

Il ct italiano ha portato la nazionale a Germania 2024, unica qualificata partendo dalla quinta fascia: “Non sono integralista, però mi piace che le mie squadre giochino a calcio”
Calzona, dal caffè all’Europeo con la Slovacchia: “Tutta colpa di Hamsik”© Getty Images

Francesco Calzona è passione pura da uomo del sud, ma è anche freddezza e pragmatismo perché onestà intellettuale e saggezza modellano rughe e carriera. Con un mix di caratteristiche fondamentali che il calcio slovacco andava cercando, ha portato la Nazionale nata nel 1993 dopo la scissione della Cecoslovacchia agli Europei che si terranno in Germania tra giugno e luglio, nella sua prima esperienza da capo allenatore a 55 anni.

L'ex vice di Sarri, Di Francesco e Spalletti tocca così il punto più alto di un cammino che l'ha comunque sempre soddisfatto appieno anche se vissuto dietro le quinte: «Ero un secondo che incideva, avevo un ruolo attivo nelle squadre dove sono stato a fianco dei miei maestri. Ho rifiutato qualche proposta da primo allenatore proprio perché ero contento di quanto stavo facendo...». Fino a quando sul tramonto del mese di agosto del 2022, un suo ex giocatore pensa a lui e gli fa da tramite per diventare allenatore di una Nazionale che era stata eliminata al primo turno dell'ultimo Europeo e aveva fallito l'approdo ai Mondiali del Qatar.  
 
Calzona, ci racconta la telefonata con Hamsik che le ha cambiato la vita?

«Ero fermo a un distributore di Arezzo, vicino a casa mia. Con Marek eravamo rimasti in contatto dai tempi di Napoli, ma non avrei mai pensato che mi domandasse: ti interessa allenare la Slovacchia?». 
 
Attimo di pausa e poi?

«Gli ho detto: finisco di far gasolio e ci penso. In realtà l'ho richiamato già dopo dieci minuti. Era una proposta alla quale non potevo dire no. Mi mise in contatto con la Federcalcio slovacca e poi non lo sentii più fino a quando non firmai il contratto. Il bello di Marek sta anche nella sua discrezione, nel suo spessore umano. Del suo lato calcistico penso sia persino inutile, pleonastico parlare. Era fortissimo, ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato. Poteva benissimo giocare in un top club: Barcellona, Real Madrid, Premier League...».

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I dirigenti della Federcalcio slovacca le avevano chiesto solo la qualificazione o anche di portare un certo tipo di calcio, una ventata di novità?

«Prima di tutto mi hanno chiesto di inserire nel gruppo disciplina e professionalità. Certo, prima di firmare il contratto mi hanno chiesto anche della mia filosofia di gioco. Quanto al risultato sapevano che oltre al Portogallo nel girone avevamo squadre come Bosnia, Islanda, lo stesso Lussemburgo che è in grande crescita e non era così scontato lasciarcele tutte alle spalle».  
Il suo bilancio al timone della Slovacchia parla di 7 vittorie, 4 pareggi, 3 sconfitte, 21 gol fatti e 13 subiti. Segnali di un calcio offensivo...

«Non sono un integralista che si basa solo su costruzione dal basso, verticalizzazioni e intensità. Ci vuole un po' di tutto questo. L'equilibrio è importante, ma giocare a calcio lo è ancora di più. Non mi riconosco nelle etichette di "giochista" o "risultatista", ma di certo se devo comunicare un calcio difensivo allora non sono a mio agio. Ritengo che si debba sempre fare la partita, a meno che l'avversario non si dimostri decisamente più forte e in quel caso bisogna riuscire a limitarlo. Io cerco di proporre un calcio di qualità, ma con grande applicazione. Se superi la prima linea di pressione avversaria poi devi verticalizzare per arrivare il prima possibile in zone di campo dove creare pericoli all'avversario». 
 
Quanto l'ha aiutata avere in squadra un play di qualità come Lobotka, in fiducia nell'anno trionfale con il Napoli, e un regista basso che ama impostare dalla difesa come Skriniar?

«Stiamo parlando di due grandi campioni, che hanno seguito da subito le mie idee e quando giocatori di questo livello si sintonizzano immediatamente con l'allenatore anche il resto del gruppo segue alla lettera il percorso. Ho una squadra con 2-3 top player, ma per il resto dobbiamo tenere alto il livello con allenamenti e organizzazione. Sia Lobotka che Skriniar hanno mostrato grande entusiasmo quando ho proposto loro un calcio che non puntasse solo a difendere campo, posizioni e risultato». 

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Pensa di aver fatto un'impresa in rapporto alla forza del girone?

«Non eravamo certo i favoriti, anzi siamo l'unica Nazionale ad aver raggiunto la fase finale degli Europei partendo da una quinta fascia. La Federazione ci ha messo a disposizione tutto quanto era necessario per dare il massimo, noi l'abbiamo dato mettendoci anche tanta voglia di stupire. Siamo partiti con 3000 spettatori e abbiamo finito con lo stadio sold out, sono soddisfazioni. Con il Portogallo abbiamo perso di misura sia all'andata, dove in casa loro abbiamo segnato due gol, sia al ritorno».  
 
Come nasce la passione del calcio in Francesco Calzona?

«Sono nato in Calabria, ma sono toscano di adozione. Ho giocato in squadre dilettantistiche con anche un paio di presenze tra i professionisti nell'Arezzo, che rimane la mia città base. Affrontavo Sarri da avversario, un giorno la squadra in cui giocavo mi chiede di smettere e di prendere la guida tecnica. Ci provo, ma la voglia di giocare era ancora tanta. Faccio a loro il nome di Sarri, che diventa così il mio allenatore. Da allora si è creato un rapporto fortissimo e sono stato il suo vice nella sua enorme crescita professionale, dal punto più basso a quello più alto. Ho tenuto a lungo anche il lavoro di rappresentante di una ditta di caffè, ma il sogno è sempre stato quello di poter mantenere la mia famiglia con il calcio. Ci sono riuscito e sono un uomo felice». 
 
Ha lavorato anche con Di Francesco e Spalletti, vi siete già fatti i complimenti reciproci con il ct azzurro?

«Non ancora, eravamo entrambi impegnati in partite molto delicate. Ci sentiremo sicuramente e penso anche che ci vedremo. Ma non da avversari, non voglio trovare l’Italia sul mio cammino agli Europei se non il più tardi possibile...».

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Francesco Calzona è passione pura da uomo del sud, ma è anche freddezza e pragmatismo perché onestà intellettuale e saggezza modellano rughe e carriera. Con un mix di caratteristiche fondamentali che il calcio slovacco andava cercando, ha portato la Nazionale nata nel 1993 dopo la scissione della Cecoslovacchia agli Europei che si terranno in Germania tra giugno e luglio, nella sua prima esperienza da capo allenatore a 55 anni.

L'ex vice di Sarri, Di Francesco e Spalletti tocca così il punto più alto di un cammino che l'ha comunque sempre soddisfatto appieno anche se vissuto dietro le quinte: «Ero un secondo che incideva, avevo un ruolo attivo nelle squadre dove sono stato a fianco dei miei maestri. Ho rifiutato qualche proposta da primo allenatore proprio perché ero contento di quanto stavo facendo...». Fino a quando sul tramonto del mese di agosto del 2022, un suo ex giocatore pensa a lui e gli fa da tramite per diventare allenatore di una Nazionale che era stata eliminata al primo turno dell'ultimo Europeo e aveva fallito l'approdo ai Mondiali del Qatar.  
 
Calzona, ci racconta la telefonata con Hamsik che le ha cambiato la vita?

«Ero fermo a un distributore di Arezzo, vicino a casa mia. Con Marek eravamo rimasti in contatto dai tempi di Napoli, ma non avrei mai pensato che mi domandasse: ti interessa allenare la Slovacchia?». 
 
Attimo di pausa e poi?

«Gli ho detto: finisco di far gasolio e ci penso. In realtà l'ho richiamato già dopo dieci minuti. Era una proposta alla quale non potevo dire no. Mi mise in contatto con la Federcalcio slovacca e poi non lo sentii più fino a quando non firmai il contratto. Il bello di Marek sta anche nella sua discrezione, nel suo spessore umano. Del suo lato calcistico penso sia persino inutile, pleonastico parlare. Era fortissimo, ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato. Poteva benissimo giocare in un top club: Barcellona, Real Madrid, Premier League...».

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