"I nuovi Del Piero e Totti nascono nelle strade. Vi racconto la storia di Foden al City"

L’allenatore del Genoa è stato tra i protagonisti dell’evento in cui Tuttosport ha annunciato i 25 finalisti

Patrick Vieira pensava già molto in campo e non ha perso l’abitudine. Ha idee e dubbi, come tutte le persone intelligenti, e li mischia per provare a capire il mondo. Sul suo, di mondo, ha una manciata di parole intorno alle quali ancora le sue certezze: pazienza, testa, fame, disciplina. Il vocabolario minimo per spiegare come trasformare i giovani in campioni. "Quando ero l’allenatore della formazione del City Under 21, nelle giovanili c’era Phil Foden. Tutti notavano le sue capacità tecniche, molti rimanevano perplessi sulle sue caratteristiche fisiche: troppo piccolo e leggero, dicevano. Eppure, nel club nessuno pensò di scartarlo, fu lasciato crescere, senza forzare salti di categoria, tenendolo con i più piccoli. Alla fine è diventato... Phil Foden. Valeva la pena di aspettare, no? Ecco, la pazienza è un fattore chiave quando si parla di giovani e ne vedo sempre men. Bisogna averne tantissima nei settori giovanili, ma anche in prima squadra. In Francia, dove la crescita dei talenti è fondamentale per la sussistenza dei club, gli allenatori sanno che un giovane può anche costare qualche sconfitta, se questo porta alla sua crescita e alla maturazione di un nuovo campione."

Vieira: "Con Capello non avrei osato chiedere spiegazioni"

La sala, al primo piano della magnifica Badia di Sant’Andrea, annuisce. Lungo il corridoio, c’è una fila di camere, dove alloggiano i ragazzi delle giovanili del Genoa che arrivano da fuori e si trovano una villa del Settecento, circondata da pini e con vista sul mare. Vieira ne ha già allenato qualcuno. "Bisogna dimostrare loro fiducia. Il fatto che il club abbia investito in una struttura come questa è un segnale, capiscono che ci crede. Al City c’è un centro sportivo meraviglioso, il messaggio è chiaro: noi vi mettiamo a disposizione tutto per diventare calciatori, voi dovete dare tutto per crescere. I giovani percepiscono se la fiducia c’è o non c’è. I miei ricordi di giovane calciatore sono legati ai momenti difficili e all’aiuto ricevuto dagli allenatori. Oggi se vedo un giocatore un po’ in crisi, cerco di parlargli, è importante. Poi i giovani sono cambiati: il Vieira diciannovenne, sbarcato nel Milan dei giganti nel 95-96, non avrebbe osato andare a chiedere spiegazioni a Fabio Capello. Anche perché poteva finire male. Oggi è diverso, anche i giovani vengono a chiedere spiegazioni quando non giocano. Non è mancanza di rispetto, è un cambiamento generazionale. Vogliono capire e forse è giusto così. Bisogna spiegare loro il perché delle scelte e così aiutare la loro crescita. È più difficile, sì, forse per gli allenatori di trent’anni fa era più facile perché noi non avevamo il coraggio di chiedere, ma credo che sia importante saper spiegare, essere convincenti."

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Vieira: "Se ce l'ho fatta lo devo a Capello e Wenger"

L’allenatore delle giovanili è un mestiere a parte. In Islanda, dove da vent’anni è partito un programma sportivo molto raffinato, avere il patentino per allenare i giovani è molto più difficile che per allenare i professionisti. "Gli allenatori delle giovanili devono essere più bravi a insegnare. Ma in assoluto devono essere diversi, devono pensare in modo diverso. Il loro obiettivo non è fare punti, non è vincere, ma crescere i giovani. Quando io faccio esordire un ragazzo del Genoa, i più contenti sono proprio i tecnici delle giovanili. Quello deve essere l’obiettivo e quello il messaggio che deve arrivare chiaro dal club."

Si chiacchiera, si parla del passato. Il Milan per Vieira fu un’esperienza fugace. "Ma non è un ricordo negativo, è stato un momento di grande crescita. Ho giocato poco, ma ho potuto lavorare con campioni di livello assoluto e con Capello. Avevo vent’anni e me ne sono andato perché volevo giocare il Mondiale del 98 in Francia e se ce l’ho fatta lo devo a Capello e a Wenger, che mi ha avuto all’Arsenal. Sono stati determinanti per la mia carriera. Un allenatore lo è sempre per un giocatore, perché da loro ho capito le cose fondamentali: sacrificio e determinazione. Loro mi hanno fatto capire in cosa ero carente e come potevo migliorare: con il lavoro. E lavorando, seguendo le loro indicazioni, sono diventato il giocatore che sono diventato. Un allenatore può determinare in meglio o in peggio la carriera di un giocatore."

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Vieira: "I Del Piero e Totti nascono nelle strade"

Poi ci sono i fenomeni. "Il più grande con cui ho giocato? Facile dire Zidane, ma ve ne dico uno meno scontato: Dennis Bergkamp, mamma mia che tecnica." Li avevamo anche noi, una volta: "Del Piero, Totti... Se volete vederne ancora dovete ritornare a giocare nelle strade. La tecnica si impara lì. Tre ore di gioco in strada valgono come settimane di lezioni di tecnica. Non si gioca più nei parchi, nelle strade e questo peggiora la tecnica. Le scuole calcio ingabbiano la fantasia e la tecnica."

E poi conta la forza mentale: "Sapete chi mia ha impressionato di più nella mia carriera? Lilian Thuram. Che testa! Gli dicevano che non aveva abbastanza tecnica per diventare un grande calciatore. E lui, finito ogni allenamento, faceva un’ora di tecnica, con una concentrazione micidiale, una determinazione senza eguali. E alla fine ha trascinato la Francia a vincere il Mondiale... quello che non doveva diventare un campione." Oggi Vieira si ritrova i figli del suo amico Thuram, avversari in Serie A: "Sì, lo ammetto mi fa impressione. Li ho visti piccolini quando eravamo alla Juve e ora uno gioca nell’Inter e l’altro nella Juve, che roba!" Dna o insegnamento? "Insegnamento! Si vedono le lezioni del papà, l’educazione, la cultura del lavoro."

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Patrick Vieira pensava già molto in campo e non ha perso l’abitudine. Ha idee e dubbi, come tutte le persone intelligenti, e li mischia per provare a capire il mondo. Sul suo, di mondo, ha una manciata di parole intorno alle quali ancora le sue certezze: pazienza, testa, fame, disciplina. Il vocabolario minimo per spiegare come trasformare i giovani in campioni. "Quando ero l’allenatore della formazione del City Under 21, nelle giovanili c’era Phil Foden. Tutti notavano le sue capacità tecniche, molti rimanevano perplessi sulle sue caratteristiche fisiche: troppo piccolo e leggero, dicevano. Eppure, nel club nessuno pensò di scartarlo, fu lasciato crescere, senza forzare salti di categoria, tenendolo con i più piccoli. Alla fine è diventato... Phil Foden. Valeva la pena di aspettare, no? Ecco, la pazienza è un fattore chiave quando si parla di giovani e ne vedo sempre men. Bisogna averne tantissima nei settori giovanili, ma anche in prima squadra. In Francia, dove la crescita dei talenti è fondamentale per la sussistenza dei club, gli allenatori sanno che un giovane può anche costare qualche sconfitta, se questo porta alla sua crescita e alla maturazione di un nuovo campione."

Vieira: "Con Capello non avrei osato chiedere spiegazioni"

La sala, al primo piano della magnifica Badia di Sant’Andrea, annuisce. Lungo il corridoio, c’è una fila di camere, dove alloggiano i ragazzi delle giovanili del Genoa che arrivano da fuori e si trovano una villa del Settecento, circondata da pini e con vista sul mare. Vieira ne ha già allenato qualcuno. "Bisogna dimostrare loro fiducia. Il fatto che il club abbia investito in una struttura come questa è un segnale, capiscono che ci crede. Al City c’è un centro sportivo meraviglioso, il messaggio è chiaro: noi vi mettiamo a disposizione tutto per diventare calciatori, voi dovete dare tutto per crescere. I giovani percepiscono se la fiducia c’è o non c’è. I miei ricordi di giovane calciatore sono legati ai momenti difficili e all’aiuto ricevuto dagli allenatori. Oggi se vedo un giocatore un po’ in crisi, cerco di parlargli, è importante. Poi i giovani sono cambiati: il Vieira diciannovenne, sbarcato nel Milan dei giganti nel 95-96, non avrebbe osato andare a chiedere spiegazioni a Fabio Capello. Anche perché poteva finire male. Oggi è diverso, anche i giovani vengono a chiedere spiegazioni quando non giocano. Non è mancanza di rispetto, è un cambiamento generazionale. Vogliono capire e forse è giusto così. Bisogna spiegare loro il perché delle scelte e così aiutare la loro crescita. È più difficile, sì, forse per gli allenatori di trent’anni fa era più facile perché noi non avevamo il coraggio di chiedere, ma credo che sia importante saper spiegare, essere convincenti."

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