Calciopoli, quando il Palazzo alimenta i sospetti

Le verità del calcio? Nelle zone grigie! Nessuno ricorda più che vi furono misteri clamorosi
Calciopoli, quando il Palazzo alimenta i sospetti© LaPresse

Le rivelazioni di Massimo Cellino riportano alla mente molte oscure dinamiche dei ruggenti anni durante i quali si srotolava la vicenda di Calciopoli. Nessuno - allora e nemmeno oggi: siamo onesti - immaginava che nella sede della Lega Calcio a Milano si consumassero gli autodafè delle carte compromettenti da parte dei dirigenti subentrati agli indagati. In molti di noi, però, cominciava a serpeggiare il dubbio che qualcosa non fosse chiaro, che aleggiasse un “non detto” e un “non rivelato” che non rendeva giustizia al quadro complessivo del cosiddetto sistema. Era straniante, per esempio, ascoltare Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto (gli allora designatori finiti sotto accusa) ribadire continuamente, nel corso del maxi processo nell’aula dello Stadio Olimpico a Roma, che «Tutti ci telefonavano, chiamavano tutti i dirigenti». Sembrava un goffo tentativo di scaricare le accuse o, al limite, di coinvolgere gli altri club nella logica del “tutti colpevoli nessun colpevole”.

Le rivelazioni successive

Una sensazione balorda, insomma, nel clima dei quei giorni... E invece le rivelazioni successive avrebbero poi acclarato che avevano ragione gli allora designatori, al punto che lo stesso Procuratore Federale, Stefano Palazzi, che aveva chiesto le condanne per la Juventus e gli altri club formulò le stesse richieste per l’Inter con i reati, però, ormai prescritti. Perché scoprimmo dopo che delle 171mila telefonate intercettate dai carabinieri diretti dal colonnello Attilio Auricchio ne vennero trascritte circa 3mila, segnate con “baffetti” colorati in base all’importanza: verdi quelle poco interessanti, gialle e arancioni interessanti, rosse molto interessanti. Molte che riguardavano Inter, Cagliari e Roma, seppure colorate di giallo e rosso, non vennero appunto considerate.

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Misteri clamorosi

A questo si univa la fretta, sostenuta dalla necessità di arrivare a sentenze celeri in barba a “giusto processo” e tutela delle difese. Ormai prevale la narrazione, ma nessuno ricorda più che vi furono misteri clamorosi come la scomparsa del video girato a Coverciano che avrebbe (già, avrebbe...) dovuto sostanziare l’accusa sui sorteggi arbitrali truccati. Sparito e sostituito da foto taroccate, al punto che per questo “falso” fu indagato lo stesso magistrato, Narducci, che produsse la “prova regina” con mezzi artefatti. Nessuno ricorda nemmeno che i tre saggi nominati dall’allora commissario Figc Guido Rossi non imposero affatto di assegnare lo scudetto all’Inter.

La zona grigia nel calcio

Anzi, tra le righe, i tre saggi Gerhard Aigner, Massimo Coccia, Roberto Pardolesi consigliavano cautela: “la FIGC ha certamente il potere discrezionale di deliberare la non assegnazione del titolo di campione d'Italia alla squadra divenuta prima in classifica a seguito della penalizzazione della squadra o delle squadre che la precedevano se, alla luce di criteri di ragionevolezza e di etica sportiva (ad es. quando ci si renda conto, ancorché senza prove certe, che le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l’intero campionato, ovvero che anche squadre non sanzionate hanno tenuto comportamenti poco limpidi), le circostanze relative al caso di specie rendono opportuna tale non assegnazione”. Ecco, “ci si renda conto ancorché senza prove certe”: sapevano i saggi, eccome, che nel calcio prevale la zona grigia.

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Le rivelazioni di Massimo Cellino riportano alla mente molte oscure dinamiche dei ruggenti anni durante i quali si srotolava la vicenda di Calciopoli. Nessuno - allora e nemmeno oggi: siamo onesti - immaginava che nella sede della Lega Calcio a Milano si consumassero gli autodafè delle carte compromettenti da parte dei dirigenti subentrati agli indagati. In molti di noi, però, cominciava a serpeggiare il dubbio che qualcosa non fosse chiaro, che aleggiasse un “non detto” e un “non rivelato” che non rendeva giustizia al quadro complessivo del cosiddetto sistema. Era straniante, per esempio, ascoltare Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto (gli allora designatori finiti sotto accusa) ribadire continuamente, nel corso del maxi processo nell’aula dello Stadio Olimpico a Roma, che «Tutti ci telefonavano, chiamavano tutti i dirigenti». Sembrava un goffo tentativo di scaricare le accuse o, al limite, di coinvolgere gli altri club nella logica del “tutti colpevoli nessun colpevole”.

Le rivelazioni successive

Una sensazione balorda, insomma, nel clima dei quei giorni... E invece le rivelazioni successive avrebbero poi acclarato che avevano ragione gli allora designatori, al punto che lo stesso Procuratore Federale, Stefano Palazzi, che aveva chiesto le condanne per la Juventus e gli altri club formulò le stesse richieste per l’Inter con i reati, però, ormai prescritti. Perché scoprimmo dopo che delle 171mila telefonate intercettate dai carabinieri diretti dal colonnello Attilio Auricchio ne vennero trascritte circa 3mila, segnate con “baffetti” colorati in base all’importanza: verdi quelle poco interessanti, gialle e arancioni interessanti, rosse molto interessanti. Molte che riguardavano Inter, Cagliari e Roma, seppure colorate di giallo e rosso, non vennero appunto considerate.

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