Marotta da Fedez: Alla Juve non ero un protagonista. Ronaldo? Andai via perché…

Il dirigente dell'Inter si è raccontato ai microfoni ricordando la stagione in bianconero e le ragioni dell'addio
Marotta da Fedez: Alla Juve non ero un protagonista. Ronaldo? Andai via perché…

"Moggi ha detto che l'Inter vince lo scudetto? Mi tocco. Siamo in una fase interlocutoria del campionato". Sono le parole del Ds dell'Inter Beppe Marotta, che ai microfoni del podcast condotto da Fedez "Wolf-Storie che contano", si è detto scaramantico sulle sorti della stagione nerazzurra. L'ex Amministratore Delegato della Juve ha inoltre riscostruito il proprio passato, dalla gavetta come magazziniere alla Varese"È stata una grande palestra di vita. Dopo aver assistito agli allenamenti dovevo pulire le scarpe e sgonfiare i palloni. Dopo il liceo sono diventato responsabile del settore giovanile", al campionato in serie cadetta con il Venezia, passando per la promozione in Serie A con la Samp fino all'approdo alla Juve. E ovviamente, il passaggio all'eterna rivale Inter. Ma non sono mancate osservazioni sul futuro del calcio e sui competitor della scena europea.

Marotta e il futuro dei giovani nel calcio

"C'è stata un'involuzione nel coltivare i giovani. La scuola non supporta la crescita dei nostri figli. Il talento lo hai nel dna, ma ci devono essere anche i bravi maestri", ha detto il Ds nerazzurro. "Se hai un buon maestro, impari a eliminare gli errori. Ma c'è un'altra grande lacuna: la mancanza di strutture, pertanto c'è una grande dispersione. Talento o testa? Entrambi. Il campione è un talento che diventa campione perché impara ad acquisire la giusta mentalità di lavoro.

Il mercato arabo e la concorenza Usa

"Quella araba non è una bolla, perché ha una ricchezza indecifrabile. I soldi non sono tutto, però, applicati a una buona cultura del lavoro e competenza, rendono più facile vincere. Quello americano, invece, è un modello di business particolare", ha proseguito Marotta. Successivamente l'amministratore delegato nerazzurro ha parlato dell'annata che lo ha formato di più: "Ogni volta che gestivo una società imparavo molto. L'esperienza e la competenza danno cose positive. È stata una crescita lenta. Sono partito dalla provincia, è stata una bella gavetta. Se c'è un momento toccante è stato quando ho vinto il campionato di Serie B con il Venezia. Abbiamo festeggiato sul Canal Grande, ho toccato il cielo con un dito. Poi, bisogna sempre alzare l'asticella e ho avuto altre soddisfazioni. Oggi guardo all'aspetto umano: ho ricevuto tanto dalla vita e dallo sport, giusto che restituisca qualcosa".

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Marotta, il calcio e l'economia

Marotta ha proseguito: "La mia esperienza dice che nel calcio non si guadagna. Chi si avvicina al calcio, tra i presidenti, lo fa per passione. Non ne conosco uno che si sia arricchito, tanti che si sono rovinati. Una società di calcio è un'azienda privata di interesse pubblico. Tutti possono parlarne e tutti dicono la loro. Non si guadagna, ma si può non perdere col concetto di sostenibilità. I mecenati non ci sono più. Il sistema dello sport professionistico italiano, anzitutto il calcio, risente della situazione economica del Paese. Le grandi aziende sono sempre meno e sempre meno capitali privati che possano essere messi a disposizione dello sport".

"Inter, se non ci fosse stata Suning..."

L'ad ha continuato: "Una volta c’erano grandi industriali che sostenevano il calcio e non solo. Quindi è stato necessario trovare altre strade e capitali al di fuori dei confini nazionali. Oggi la presenza di capitali stranieri nel calcio italiano è molto forte, fortunatamente. Pensiamo a Milano, le cui due squadre sono di proprietà una cinese, l’altra statunitense, e di ciò dobbiamo essere grati. Se non ci fosse stata Suning, non so cosa sarebbe successo all'Inter. Il calcio italiano inoltre sconta un forte gap di produttività rispetto agli altri campionati europei: i diritti televisivi - che costituiscono oltre il 70% dei ricavi delle squadre - per la Serie A valgono circa 1,3 miliardi, per la Premier League 4 miliardi. I nostri vivai? C’è stata un’involuzione notevole, dovuta anche al fatto che una volta il calcio si giocava ovunque: dai cortili agli oratori. Inoltre, il sistema scolastico italiano non incentiva la pratica sportiva, anzi. Non abbiamo una realtà come quella americana, dove lo sport dalle high school ai college è una componente fondamentale del percorso formativo dei ragazzi, anche attraverso le borse di studio sportive. Altro grande problema è la mancanza di strutture per lo sport di base e giovanile".

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Marotta, le parole sullo stadio

Sullo stadio: "Noi abbiamo l'idea Rozzano, il Milan San Donato. Perché due stadi? Una piccola bugia bianca: lo stadio è la propria casa, dove si trasmette il senso di appartenenza. Poi, però, ci sono altri vantaggi: lo stadio ti garantisce anche la possibilità di introitare fonti di reddito. San Siro va rispettato come icona, rappresenta la storia, ma a volte bisogna anche essere un po' cinici. Se fossimo stati proprietari di San Siro avremmo potuto superare quelle problematiche burocratiche che abbiamo solo in Italia. Queste lungaggini burocratiche hanno fatto sì che si aprissero altre strade. Stadio insieme al Milan? C'è anche quell'ipotesi, anche se sarebbe un fatto unico".

Marotta, il sogno di mercato

Sul giocatore che comprerebbe a tutti i costi se ne avesse la possibilità: "Difficile dirlo, ce ne sono tanti. Non punterei su un solo giocatori, ma su diversi. Non posso fare nomi, sarebbe una mancanza di rispetto verso i miei, che sono forti. Quanto costa Haaland? Penso 250-300 milioni di euro. All'Inter abbiamo un organico profondo". Poi, sul più grande di sempre tra Juve e Inter: "Per la Juve prima Sivori e poi Del Piero. Per l'Inter Mazzola e Zanetti. L'allenatore italiano migliore di sempre? Ancelotti".

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Marotta e i campioni alla Juventus

Marotta ha risposto così alla domanda su chi sia il più grande giocatore che avesse mai avuto in rosa: "Alla Juventus ho avuto Buffon, Chiellini, Barzagli, Pirlo. Quelli erano campioni veri e lo sono diventati nel corso degli anni". E ancora: "Ronaldo? Un'icona, ma non è stato quello il motivo per il quale me ne sono andato. Me ne sono andato dalla Juventus perché, a una certa età, è giusto lasciare ai giovani. Lì c'erano tanti giovani bravi, giusto che abbiano voluto impostare un rinnovamento dopo 9 anni. Ho ancora un ottimo rapporto con Andrea Agnelli. Cambiamento fisiologico". Restando sulla Juve: "Periodo magico. Ma non ero un attore protagonista, c'erano grandi allenatori e giocatori"

Così gli interisti hanno accolto un ex Juve

Infine, Marotta ha ricordato il momento del passaggio all'Inter e l'accoglienza riservatagli da parte dei nuovi tifosi. "Quando sono arrivato, mi vedevano come il gobbo che arrivava - ha detto il Direttore sportivo - . Devi avere pazienza e tempo per accreditarti. Ma, come sempre capita nello sport, i risultati sono quelli che contano. Da quando sono arrivato, l'Inter ha ottenuto dei buoni risultati, per cui credo di essere simpatico a gran parte degli interisti". E ancora, ha giudicato così la sua stagione juventina: Periodo magico. Ma non ero un attore protagonista, c'erano grandi allenatori e giocatori".

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"Moggi ha detto che l'Inter vince lo scudetto? Mi tocco. Siamo in una fase interlocutoria del campionato". Sono le parole del Ds dell'Inter Beppe Marotta, che ai microfoni del podcast condotto da Fedez "Wolf-Storie che contano", si è detto scaramantico sulle sorti della stagione nerazzurra. L'ex Amministratore Delegato della Juve ha inoltre riscostruito il proprio passato, dalla gavetta come magazziniere alla Varese"È stata una grande palestra di vita. Dopo aver assistito agli allenamenti dovevo pulire le scarpe e sgonfiare i palloni. Dopo il liceo sono diventato responsabile del settore giovanile", al campionato in serie cadetta con il Venezia, passando per la promozione in Serie A con la Samp fino all'approdo alla Juve. E ovviamente, il passaggio all'eterna rivale Inter. Ma non sono mancate osservazioni sul futuro del calcio e sui competitor della scena europea.

Marotta e il futuro dei giovani nel calcio

"C'è stata un'involuzione nel coltivare i giovani. La scuola non supporta la crescita dei nostri figli. Il talento lo hai nel dna, ma ci devono essere anche i bravi maestri", ha detto il Ds nerazzurro. "Se hai un buon maestro, impari a eliminare gli errori. Ma c'è un'altra grande lacuna: la mancanza di strutture, pertanto c'è una grande dispersione. Talento o testa? Entrambi. Il campione è un talento che diventa campione perché impara ad acquisire la giusta mentalità di lavoro.

Il mercato arabo e la concorenza Usa

"Quella araba non è una bolla, perché ha una ricchezza indecifrabile. I soldi non sono tutto, però, applicati a una buona cultura del lavoro e competenza, rendono più facile vincere. Quello americano, invece, è un modello di business particolare", ha proseguito Marotta. Successivamente l'amministratore delegato nerazzurro ha parlato dell'annata che lo ha formato di più: "Ogni volta che gestivo una società imparavo molto. L'esperienza e la competenza danno cose positive. È stata una crescita lenta. Sono partito dalla provincia, è stata una bella gavetta. Se c'è un momento toccante è stato quando ho vinto il campionato di Serie B con il Venezia. Abbiamo festeggiato sul Canal Grande, ho toccato il cielo con un dito. Poi, bisogna sempre alzare l'asticella e ho avuto altre soddisfazioni. Oggi guardo all'aspetto umano: ho ricevuto tanto dalla vita e dallo sport, giusto che restituisca qualcosa".

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