Inzaghi, trofei e critiche silenziate: il trionfo Inter del Normal One

Ha accettato, dopo l’addio di Conte, la politica a zero euro di Suning e messo a tacere pure il fuoco amico. E per il gioco espresso ha conquistato pure Guardiola

MILANO - Quattordici anni dopo l’addio di José Mourinho e a due anni e mezzo dal divorzio con Antonio Conte, i tifosi interisti hanno scoperto il fascino del Normal One. Un allenatore che non parla di “prostituzione intellettuale”, che non addita i dirigenti “perché salgono sul carro” usando toni sferzanti contro la proprietà, ma - al contrario - che parla il minimo sindacale (pure meno), non è avvezzo alle polemiche e alza il tono della voce solo quando viene messo in discussione l’operato del suo staff o non viene data giusta rilevanza al suo lavoro. Simone Inzaghi è una strana creatura sbarcata sul pianeta Inter: vince - la Supercoppa di Riad è il quinto trofeo conquistato in due anni e mezzo - ha un forte senso di appartenenza all’azienda per cui lavora nel senso più nobile del termine e ha una capacità di resilienza sconosciuta a latitudini nerazzurre. Strano pure sentire Beppe Marotta parlare di Inzaghi come «Un giovane allenatore che può avere una carriera luminosa», concetti espressi qualche giorno fa e non ai tempi in cui Simone allenava la Primavera della Lazio.

Il pensiero di Marotta

Il pensiero dell’ad - il più sferzante nelle critiche una stagione fa, quando l’allenatore sembrava non avere più un futuro a Milano prima che la grande cavalcata di fine stagione silenziasse l’opposizione interna - è quello di molti. A Inzaghi viene ancora rinfacciato lo scudetto perso in volata sul Milan nonostante a inizio stagione gli avessero chiesto di arrivare quarto e pure quanto accaduto nella prima parte della scorsa stagione, dove l’Inter ha troppo presto abdicato all’idea di vincere il campionato. Peccati originali che, paradossalmente, lo rendono ancora un allenatore sotto esame: non bisogna essere Sherlock Holmes per capire che, dovesse perdere lo scudetto, Inzaghi tornerebbe a essere messo pesantemente in discussione. Un allenatore si giudica dai risultati, in Italia. E Inzaghi non farà eccezione anche se vanta meriti innegabili, al di là dei trofei vinti. Intanto il suo lavoro è stato una manna per Steven Zhang e per l’Inter tutta: tra Coppe, coppette e la cavalcata non preventivata fino alla finale di Champions, ha tenuto in linea di galleggiamento il club.

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Finanze e mercato

Perché - non va dimenticato - se l’Inter non fosse arrivata fino a Istanbul (e conquistato un posto nelle prime 4 in campionato), oltre a Onana e Brozovic avrebbe salutato pure uno tra Lautaro, Barella e Bastoni. E lo stesso accadrà alla fine di questa stagione, sempre che Zhang riesca a compiere la missione rifinanziamento con Oaktree o con un altro partner disposto a offrirgli interessi più convenienti. L’Inter - altra novità a latitudini nerazzurre - ha stupito per la bellezza del gioco espresso e il primo a certificarlo è stato Pep Guardiola, che ha testato con mano a Istanbul quanto fosse complicato affrontare Lautaro e compagni, indicandoli come potenziali favoriti anche per questa edizione di Champions. Non è un caso che il livello di calcio prodotto dalla squadra si sia ulteriormente alzato nelle ultime settimane, questo perché Inzaghi è riuscito ad allenarla e non ha pensato solo a gestire le energie.

Il problema di Inzaghi

Il problema tornerà a galla quando si riproporrà l’alternanza tra campionato e Champions e per questo motivo Inzaghi e con lui tutti all’Inter si auguravano che ci fosse una distanza di sicurezza con la Juve che invece, grazie al calendario pasticciato per far posto alla Supercoppa, è addirittura balzata davanti in classifica. Un problema in più per un allenatore che ha saputo anche fare da psicologo nei suoi anni all’Inter e ultima prova sono le carezze rivolte ad Alexis Sanchez, decisivo per battere il Napoli. L’Inter, per arrivare in fondo, avrà bisogno di tutti e per questo motivo, Inzaghi ha chiesto di avere due titolari per ruolo nel 3-5-2. Nella prossima stagione, con Zielinski e Taremi in più, ci si andrà vicino, ora tocca fare finta che ci siano.

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MILANO - Quattordici anni dopo l’addio di José Mourinho e a due anni e mezzo dal divorzio con Antonio Conte, i tifosi interisti hanno scoperto il fascino del Normal One. Un allenatore che non parla di “prostituzione intellettuale”, che non addita i dirigenti “perché salgono sul carro” usando toni sferzanti contro la proprietà, ma - al contrario - che parla il minimo sindacale (pure meno), non è avvezzo alle polemiche e alza il tono della voce solo quando viene messo in discussione l’operato del suo staff o non viene data giusta rilevanza al suo lavoro. Simone Inzaghi è una strana creatura sbarcata sul pianeta Inter: vince - la Supercoppa di Riad è il quinto trofeo conquistato in due anni e mezzo - ha un forte senso di appartenenza all’azienda per cui lavora nel senso più nobile del termine e ha una capacità di resilienza sconosciuta a latitudini nerazzurre. Strano pure sentire Beppe Marotta parlare di Inzaghi come «Un giovane allenatore che può avere una carriera luminosa», concetti espressi qualche giorno fa e non ai tempi in cui Simone allenava la Primavera della Lazio.

Il pensiero di Marotta

Il pensiero dell’ad - il più sferzante nelle critiche una stagione fa, quando l’allenatore sembrava non avere più un futuro a Milano prima che la grande cavalcata di fine stagione silenziasse l’opposizione interna - è quello di molti. A Inzaghi viene ancora rinfacciato lo scudetto perso in volata sul Milan nonostante a inizio stagione gli avessero chiesto di arrivare quarto e pure quanto accaduto nella prima parte della scorsa stagione, dove l’Inter ha troppo presto abdicato all’idea di vincere il campionato. Peccati originali che, paradossalmente, lo rendono ancora un allenatore sotto esame: non bisogna essere Sherlock Holmes per capire che, dovesse perdere lo scudetto, Inzaghi tornerebbe a essere messo pesantemente in discussione. Un allenatore si giudica dai risultati, in Italia. E Inzaghi non farà eccezione anche se vanta meriti innegabili, al di là dei trofei vinti. Intanto il suo lavoro è stato una manna per Steven Zhang e per l’Inter tutta: tra Coppe, coppette e la cavalcata non preventivata fino alla finale di Champions, ha tenuto in linea di galleggiamento il club.

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