MILANO - Ogni allenatore ha la sua fissazione. Quella di Cristian Chivu è la formazione. E non in nome di una pretattica antidiluviana, ma perché – ipse dixit – “Nessuno deve sentirsi già sicuro e tutti devono farsi trovare pronti”. In questo modo Chivu vuole responsabilizzare la squadra. L’idea è semplice: se un giocatore sa già dal giorno prima di non scendere in campo l’adrenalina scende e, con essa, attenzione e motivazioni. Invece, comunicando la formazione tre ore prima ai giocatori, Chivu punta ad aumentare il senso di responsabilità dei suoi soldati. Questo fa sì che gli allenamenti di rifinitura si consumino in un tourbillon di pettorine, dove i giocatori vengono fatti ruotare senza che riescano a capirci qualcosa. Simone Inzaghi, al contrario, in modo quasi ossessivo faceva provare e riprovare i sincronismi alla squadra che difatti in campo si muoveva come un orologio. Chivu – che ha ereditato un impianto di gioco già molto ben collaudato – dopo aver pensato di introdurre una novità tattica sul tema (il 3-4-2-1) ha fatto retromarcia una volta capito che dal mercato non sarebbero arrivati giocatori funzionali (Koné in primis) per rendere possibile il grande passo senza che il rendimento ne risentisse.
Chivu: ossessione formazione
Non stare a guardare la luna ma essere pragmatici è una dote: anche José Mourinho nella prima stagione all’Inter voleva giocare con il 4-3-3 (Moratti fu costretto a prendergli, oltre a Amantino Mancini, pure Quaresma) ma, quando si rese conto che la squadra faticava con quel sistema di gioco mentre era una corazzata con il 4-3-1-2 di manciniana memoria, fece retromarcia e vinse lo scudetto con il pilota automatico. Chivu, che in quell’Inter giocava, ha mandato a memoria la lezione. Anche perché spesso sono altrettanto rivoluzionarie le scelte che restano sotto traccia, come quelle legate agli allenamenti di tutti i giorni. Chivu, per esempio, ha detto chiaramente alla squadra di non voler sentire bestemmie nelle partitelle: il che è cosa buona e giusta a prescindere, ma aiuta anche i giocatori a mantenere il controllo in campo (questo porta ad attuare scelte migliori quando sale la pressione).
Quando Inzaghi disse: "Dove alleno io, aumentano i ricavi"
Dei cambi non più studiati a tavolino si è detto e sentito tutto: Inzaghi così gestiva il turnover anche all’interno delle partite, mentre Chivu ha scelto di seguire un’altra strada. A fine stagione dal report degli infortuni si capirà chi ci ha visto più lungo. Chivu, una volta terminata la luna di miele con il mondo Inter, dovrà giocoforza confrontarsi anche con i risultati ottenuti da Inzaghi. Il suo predecessore, all’inizio della seconda stagione a Milano, quando il suo futuro sembrava già essere in discussione disse “dove alleno io, aumentano i ricavi, si dimezzano le perdite e arrivano i trofei”. È stato di parola, considerati i sei trofei vinti (il 20° scudetto più 2 Coppe Italia e 3 Supercoppe di Lega oltre alle due finali di Champions raggiunte) e i numeri fatti registrare dai bilanci del club. Al suo arrivo l’Inter faceva registrare 245,6 milioni di perdite, mentre l’esercizio chiuso al 30 giugno ha registrato un attivo di 35,4 milioni, cosa mai accaduta a latitudini nerazzurre.

