© Juventus FC via Getty Images
Federico Chiesa ne ha ricevuti tanti di complimenti in questi primi mesi da juventino, più che mai in queste ultime settimane in cui è stato anima agonistica e uomo determinante sul piano tecnico della squadra di Pirlo. Pochi, forse nessuno, però, sono stati così pesanti come quello che gli fa Alessio Tacchinardi, 404 partite nella Juventus e 15 trofei: «Ha il dna della mia Juve: la stessa voglia di non mollare mai». Quella Juve è l’ultima che ha alzato al cielo la coppa della Champions League e guarda caso Chiesa è stato il giocatore che più di ogni altro, molto più di ogni altro, nelle due partite contro il Porto ha tenuto viva la speranza di tornare ad alzarla. Con i tre gol, uno all’andata e due martedì sera, ma non solo.
E’ qualcos’altro che spinge Tacchinardi a “convocare” Chiesa nella sua Juve, quella dei due cicli di Lippi. Qualcosa che l’ex centrocampisa aveva scoperto un bel po’ di tempo fa: «Avevo visto Chiesa a San Siro contro l’Inter al suo primo o forse secondo anno in Serie A. Fischiato da tutto lo stadio dopo essere andato a terra qualche volta. E mi dissi: “Questo è un grande giocatore”. Intanto perché è un grande atleta, poi perché giocava con quella “ignoranza”, quella spavalderia, quell’ambizione che in pochi hanno: i grandi. Ed è quella che serve alla Juve. Io ci sono stato tanto e ho visto che chi non aveva quell’ambizione in bianconero non ha sfondato e chi ce l’aveva sì. Chiesa fuori dal campo è umile, si vede che il padre gli ha trasmesso i valori giusti, ma in partita è una iena. Anche parlando dopo la partita con il Porto ha dimostrato grande personalità, sta entrando nel mondo Juve a 360 gradi e questo lo sta aiutando. Parliamo di un ragazzo che farà la storia del calcio italiano».
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