Juve, Villar Perosa e le foto di Giglio: "La paura di Ronaldo e le partite a carte con i tifosi"

Lo Speciale di Tuttosport sullo storico appuntamento di inizio stagione: racconti, interviste, reportage e curiosità
Juve, Villar Perosa e le foto di Giglio: "La paura di Ronaldo e le partite a carte con i tifosi"

Dal 1976, con l’arrivo di Giovanni Trapattoni in panchina, al 2020, con l’ultimo scudetto vinto dalla Juventus targata Maurizio Sarri: Salvatore Giglio ha trascorso una vita dietro all’obiettivo di una macchina fotografica per raccontare i bianconeri con scatti mai banali. Da Platini a Del Piero, da Roberto Baggio a Cristiano Ronaldo, fuoriclasse o meteore sono passati tutti attraverso i suoi flash. «Il calcio e le persone sono però cambiate, tutti i valori di una volta non esistono più» commenta laconico.

La tradizione di Villar Perosa però è rimasta…

«Meno male, anche se ora è un’altra cosa. In passato a Villar Perosa i giocatori giocavano a carte e facevano passeggiate con i tifosi, non è come adesso che non si possono neppure avvicinare. La gente veniva anche da fuori regione, piazzava le tende all’esterno del campo e trascorreva lì le ferie, era un ambiente familiare, non c’erano tanti filtri. E la Juventus si fermava tanto tempo a Villar: lì svolgeva la preparazione estiva, la prima amichevole della stagione e, quando giocava in casa, andava pure in ritiro».

Da testimone storico della Juventus, c’era un rito di Villar Perosa che ricorda in particolare?

«Di aneddoti ce ne sarebbero a iosa, non basterebbe una pagina di giornale. Beh, la sera della vigilia c’era il rito delle caldarroste: si cominciò con Trapattoni, le mangiammo dopo cena. E visto che il giorno dopo la Juve vinse, continuammo così per tutte le vigilie».

Ma le mangiavate anche fuori stagione?

«Certo, ce le procurava il direttore dell’albergo di Villar».

Uno dei miti di Villar Perosa era l’elicottero dell’Avvocato…

«Senza il suo arrivo non si dava il via alla festa. Se era fuori Villar atterrava nel prato vicino al campo, se era già in paese, aspettava la squadra in villa per salutare tecnico e giocatori, poi scendeva in auto. Un tempo non c’erano le tribunette vip, l’Avvocato si sedeva su una sedia o in panchina a bordo campo, molte volte era con il figlio Edoardo. Guardava e chiedeva, voleva sempre informarsi su tutti. Se è rimasta la tradizione di Villar Perosa possiamo ringraziare Giovanni Agnelli».

In che senso?

«L’Avvocato teneva così tanto a quell’amichevole tra prima squadra e Primavera che nelle sue ultime volontà ha lasciato scritto di disputarla sempre finché un membro della famiglia Agnelli fosse stato alla Juve. Qualche dirigente avrebbe voluto eliminarla dalla programmazione estiva, ma la proprietà si è opposta».

Si ricorda l’ultima volta dell’Avvocato a Villar Perosa?

«Certo, era l’estate 2002. E’ stata l’ultima volta per Agnelli e pure per Giampiero Boniperti. Arrivarono insieme sorridenti e io li immortalai con uno scatto. L’Avvocato morì nel gennaio 2003 e Boniperti non ci volle più venire da solo».

C’è una foto scattata a Villar Perosa alla quale è particolarmente affezionato?

«Sì, ce n’è una bellissima di Scirea con Platini dentro la rete, l’ho inserita anche nella mia mostra e tutti ne sono stati entusiasti perché è molto espressiva, nell’atteggiamento dei due campioni c’è tutto».

Si ricorda i suoi primi scatti a Villar?

«Come no. Due anni prima di diventare il fotografo ufficiale della Juve avevo un negozio a Orbassano e un giorno salgo a Villar con tutta l’attrezzatura per vedere se potevo fare un po’ di foto ai giocatori. Incrociai sul campo Pietro Anastasi, si prestò subito per uno scatto, lo ringrazia e lui mi rispose “Sono io che devo ringraziare lei”. Dopo qualche anno la foto di Giglio diventa il premio per la squadra che vinceva la partitella in allenamento: la appendevano nello spogliatoio e prendevano in giro i compagni sconfitti. Ci si divertiva così, allora non c’erano internet o i social».

A proposito di scherzi, ce ne racconti qualcuno…

«Memorabili sono quelli di Marocchino: una volta lancia un cono gelato dalla finestra dell’albergo e centra la moglie di un dirigente proprio nel décolleté… Non parliamo poi dei gavettoni o di quando, dopo l’allenamento e la doccia, si sedeva fuori nel cortile quasi nudo e con 4 lattine di Coca Cola. Trapattoni lo sgridava, ma lui imperterrito: sulla strada dell’albergo c’era una pasticceria ed era una sua tappa fissa. E al tecnico rispondeva che non era lui ma un suo sosia».

Un’altra certezza di Villar Perosa è l’invasione di campo…

«Le partite non arrivano mai al novantesimo (ride). Ricordo il primo anno di Cristiano Ronaldo: probabilmente non era stato avvisato del rito dell’invasione oppure se l’aspettava negli ultimi cinque minuti. Ho visto attraverso l’obiettivo l’apprensione nei suoi occhi, quasi paura. L’invasione è un problema anche per noi fotografi: i tifosi calpestano tutto e tutti. Quando vediamo che la gente sta per entrare in campo, ci mettiamo al riparo».

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