Era tenace Boniperti che parla da ogni angolo del Museum: giocatore, capitano, presidente, simbolo immortale di juventinità. Gli attribuiscono la frase che «vincere è l’unica cosa che conta» (la cui paternità è invece di Vince Lombardi, mitico coach negli Anni 60), ma più che delle parole, che usava sempre malvolentieri, la sua eredità è fatta di esempi, in campo e fuori. Attaccante di qualità e cattiveria, non si accontentava di avere un tiro potente e preciso, agilità nei movimenti e una discreta classe, ci aggiungeva una ferocia agonistica temutissima dagli avversari e, talvolta, dai compagni sempre spronati a dare il massimo come faceva lui. È stato il prototipo del capitano juventino, forse dello juventino stesso: combattere sempre per il club. Aveva iniziato quando il calcio era dominato dal Grande Torino e alla Juventus restavano briciole di successo da conquistare, ma l’onore da difendere. «In tempi cupi come questi suona attualissima la sua frase: Più buia è la notte, più vicina è l’alba», spiega Paolo Garimberti, che del J-Museum è il presidente e può trasformarsi all’occorrenza in Virgilio, guidando la visita con orgoglio.
Un Virgilio innamorato come Dante che si perde davanti alle teche di Sivori e Charles, «la mia prima Juventus, quella che mi ha conquistato con la fantasia spericolata di Omar e il muscoloso rigore di John. Mi ricordo il mio esordio da tifoso a Marassi, un 3-1 inflitto al Genoa, nel quale Charles mollò un ceffone a Sivori, che come al solito stava surriscaldando l’ambiente e gli avversari con le sue irresistibili provocazioni». Era una Juventus tenace anche quella, anche perché figlia di tempi duri, quelli dal 1952 al 1957, un quinquennio nero, con due noni posti e una proposta, sventata sdegnosamente da un giovanissimo Umberto Agnelli, di fusione con il Torino. Era il momento più buio della notte, albeggiò con una Juventus stellare. «Resistere nei momenti bui fa parte dell’essere tifoso. Oggi si vive di momenti, di flash, dell’estremizzazione del presente, ma il tifo di una squadra non può prescindere dalla sua storia, il passato non solo offre fondamenta per costruire il futuro, ma non si può dimenticare. Un tifoso abbraccia tutta la storia di un club e la storia del club abbraccia lui. Contestualizzare il momento è sempre importante, altrimenti non ci si gode abbastanza le vittorie e si soffre troppo per le sconfitte. Il museo serve anche a questo, a immergersi in questi 125 anni e contestualizzare il presente». Nella sua circolarità, la stanza dei trofei, abbagliante di argento e oro, rende in modo fisico questa sensazione.