Rovella, i messaggi di Allegri e i due idoli: “Un ex Juve e un ex Inter”

Il giovane centrocampista si confessa a 360°: “Con il mio procuratore sono stato chiaro, avrei lasciato la maglia bianconera solo per andare al Monza. Qui si ragiona da grande squadra”

MONZA - Basta guardarlo negli occhi, per capire che il ragazzo è sveglio. D’altronde si era già ampiamente intuito il 25 luglio 2020 quando, alla prima da titolare in Serie A contro l’Inter, fu l’unico a non andare a fondo nonostante lo 0-3 finale.

Nicolò, quella sera si prese un 6 dal sottoscritto, unica sufficienza nel Genoa. Partiamo con un gioco: lei a Rovella che voto darebbe per la prima parte di stagione?

«Mi darei un 7. È andata abbastanza bene, anche se in qualche partita sono un po’ calato nel finale. Però direi che sono soddisfatto».

Il momento più bello e quello più brutto?

«Di momenti belli ne scelgo due: il primo è stato l’esordio in casa con la Juve contro il Sassuolo quando sono entrato per Locatelli a un quarto d’ora dalla fine; il secondo la vittoria col Monza per 3-0 a Genova con la Samp. Il più brutto è il periodo che ha preceduto l’esonero di Stroppa».

Non ha citato l’espulsione a Empoli...

«Eh ha ragione... Tutta la vita il momento più brutto della mia stagione».

Galliani che le ha detto?

«Si è arrabbiato. Però, a fine partita io avevo già chiesto subito scusa a tutti: diciamo che avevo già messo le mani avanti... È stato un brutto gesto, un po’ l’adrenalina, l’agonismo, l’immaturità. Proprio l’altro giorno ho pagato la multa offrendo la cena ai compagni».

A lei tutto si può dire fuorché difetti di personalità...

«Pure quando ero piccolo volevo sempre la palla. E, quando ho iniziato a giocare in prima squadra, hanno iniziato a correggermi questo difetto perché io voglio sempre palla, pure quando sono messo male in campo. È una cosa su cui sto ancora lavorando per migliorare perché è vero che avere personalità può essere un pregio, ma la personalità va anche saputa gestire».

Perché con Stroppa vi eravate impantanati?

«Il nostro era un gruppo nuovo e aveva bisogno di un periodo di assestamento anche per conoscerci meglio: io ero appena arrivato, tanti altri erano qui solo dall’estate. Già a Lecce, quando abbiamo pareggiato 1-1, avevamo giocato un po’ meglio: poi siamo ripartiti».

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Ed è arrivata la vittoria con la Juve.

«Un po’ mi è anche dispiaciuto perché loro erano arrabbiatissimi e in un periodo un po’ così, ma solo un po’ perché ormai ero un giocatore del Monza e, quando sei in una squadra, devi dare il massimo per vincere contro chiunque. Anche contro i tuoi ex compagni».

Col senno di poi, vista l’esplosione di Miretti e Fagioli, si è un po’ pentito di aver lasciato Torino?

«Ovviamente tutti vorrebbero giocare nella Juve e sarebbe piaciuto anche a me, non lo nego. Però, se devo dire la verità, dico di no. Perché la scelta fatta fa parte di un percorso di crescita che ho iniziato dall’anno scorso quando ero in prestito al Genoa e credo che a ventuno anni sia più importante giocare con continuità e fare esperienza. E qui a Monza ho trovato Berlusconi e Galliani, un centro sportivo bellissimo, una società di alto livello e si ragiona come una grande squadra anche se siamo appena saliti in A».

Tra l’altro un giovane non è che può restare in una grande squadra sperando che chi è davanti si infortuni...

«Appunto, quello è il problema. È chiaro che nelle gerarchie parti sotto e, o ti metti l’anima in pace facendo il massimo in allenamento e, se poi hai fortuna, giochi. Oppure - come ho fatto io - vai a giocare un anno e poi torni con un’esperienza in più».

Come si riconquista la Juve?

«Lavorando a testa bassa e facendo il massimo per il Monza. La Juve è una conseguenza: prima bisogna lavorare bene e giocare bene. Qui al Monza il livello è alto e quindi si impara sicuramente».

C’erano altre squadre che la volevano?

«Questo lo sa il mio procuratore, ma io ho detto a lui: “Se devo andare via dalla Juve, ci vado solo per il Monza”. Se non fossi venuto qui, sarei rimasto a Torino».

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Allegri lo sente?

«Ogni tanto sì. E lui chiama anche Galliani. Lo ha fatto pure dopo Empoli...».

Perché in Italia faticano tanto i giovani?

«Semplice, perché c’è paura che commettano errori. Invece vanno lasciati liberi di sbagliare. Normale che un ragazzo, se viene lanciato in certi contesti, commetta errori. E, per la paura di compromettere un risultato, qui da noi si tende a puntare sui giocatori più esperti».

Sull’argomento esistono due linee di pensiero: c’è chi sostiene che un giovane impara di più giocando e chi allenandosi con i grandi giocatori. Qual è la sua idea?

«Dai campioni si impara tantissimo e l’ho provato sulla mia pelle stando alla Juve, però è ancora più importante fare le proprie esperienze. Perché un conto sono le partitelle in allenamento, un altro sono le partite vere. E per quanto tu possa giocare con o contro grandi campioni, in partita ci sono situazioni diverse, momenti che devi imparare a gestire, emozioni che vanno controllate: tutte cose che ti fanno crescere».

Il giocatore che più l’ha impressionata?

«Di Maria: per la velocità con cui fa le giocate e poi perché tecnicamente è proprio di un altro livello. Poi a me piace molto Locatelli che gioca nel mio ruolo. A Genova ho giocato con Pandev, qui ci sono Pessina, Sensi, Pablo Mari: se prendi qualcosa da ciascuno, migliori sicuramente».

Ecco, lei dove deve ancora migliorare?

«Sicuramente devo mettere su un po’ di muscoli, poi devo migliorare nella fase di non possesso, mentre in quella di possesso non devo pensare a voler sempre la palla ma a muovermi bene sul campo. E poi devo iniziare a fare qualche gol, visto che sono ancora a zero, meno di così è impossibile...».

Se è diventato un giocatore professionista, a chi deve dire grazie?

«A Paolo, mio papà, perché mi ha portato ovunque e ha visto tutte le mie partite, anche se facevo un torneo giovanile in Repubblica Ceca. E devo dire grazie pure a Francesco “Ciccio” Bega il procuratore che mi ha portato a Genova e mi ha sempre seguito».

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Passando agli allenatori, ovviamente a esclusione di Palladino?

«Thiago Motta che mi ha fatto esordire, sempre contro l’Inter ma a San Siro».

Che le ha detto prima di entrare?

«Di stare tranquillo e di giocare senza pensieri come facevo in allenamento. E che si fidava di me».

L’idolo da ragazzino?

«Ne avevo due, Marchisio e Sneijder. E poi Modric».

Cosa ha portato Palladino con il suo arrivo al Monza?

«Idee nuove e capacità di fare gruppo: questa è la nostra forza».

Alla Nazionale ci pensa?

«Ovvio, è il sogno di ogni ragazzino».

Quanto le ha fatto male guardare il Mondiale in tv?

«Ha fatto malissimo: speriamo sia l’ultima volta».

Voi state rifacendo la preparazione?

«Sì e si corre... È come se fossimo a fine agosto, tanto che Galliani ci ha detto che nel primo campionato ci siamo salvati, ora tocca fare il secondo e vanno dimenticati i 9 punti sulla terz’ultima. Questo discorso ce lo ha fatto il primo dicembre, ma lui ci ha detto che era il primo luglio...». Inimitabile. 

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MONZA - Basta guardarlo negli occhi, per capire che il ragazzo è sveglio. D’altronde si era già ampiamente intuito il 25 luglio 2020 quando, alla prima da titolare in Serie A contro l’Inter, fu l’unico a non andare a fondo nonostante lo 0-3 finale.

Nicolò, quella sera si prese un 6 dal sottoscritto, unica sufficienza nel Genoa. Partiamo con un gioco: lei a Rovella che voto darebbe per la prima parte di stagione?

«Mi darei un 7. È andata abbastanza bene, anche se in qualche partita sono un po’ calato nel finale. Però direi che sono soddisfatto».

Il momento più bello e quello più brutto?

«Di momenti belli ne scelgo due: il primo è stato l’esordio in casa con la Juve contro il Sassuolo quando sono entrato per Locatelli a un quarto d’ora dalla fine; il secondo la vittoria col Monza per 3-0 a Genova con la Samp. Il più brutto è il periodo che ha preceduto l’esonero di Stroppa».

Non ha citato l’espulsione a Empoli...

«Eh ha ragione... Tutta la vita il momento più brutto della mia stagione».

Galliani che le ha detto?

«Si è arrabbiato. Però, a fine partita io avevo già chiesto subito scusa a tutti: diciamo che avevo già messo le mani avanti... È stato un brutto gesto, un po’ l’adrenalina, l’agonismo, l’immaturità. Proprio l’altro giorno ho pagato la multa offrendo la cena ai compagni».

A lei tutto si può dire fuorché difetti di personalità...

«Pure quando ero piccolo volevo sempre la palla. E, quando ho iniziato a giocare in prima squadra, hanno iniziato a correggermi questo difetto perché io voglio sempre palla, pure quando sono messo male in campo. È una cosa su cui sto ancora lavorando per migliorare perché è vero che avere personalità può essere un pregio, ma la personalità va anche saputa gestire».

Perché con Stroppa vi eravate impantanati?

«Il nostro era un gruppo nuovo e aveva bisogno di un periodo di assestamento anche per conoscerci meglio: io ero appena arrivato, tanti altri erano qui solo dall’estate. Già a Lecce, quando abbiamo pareggiato 1-1, avevamo giocato un po’ meglio: poi siamo ripartiti».

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